Dalla culla alla tomba: Analisi di vita per l’ambiente (e non solo)

Per tutti ormai dovrebbe essere un fatto pressoché automatico associare a qualsiasi cosa si compri o si utilizzi una modifica più o meno marcata sull’ambiente che ci circonda. Che sia l’immissione di sostanze inquinanti  nell’aria, il consumo di risorse naturali o l’eutrofizzazione delle acque, le conseguenze ambientali delle attività dell’uomo dovrebbero essere ben note alla comunità ed in particolare anche a coloro che si occupano di  generazione di energia ed efficienza energetica. Ma come valutare queste conseguenze o, per meglio dire, questi impatti? Questa domanda non è nuova, ed ha portato nel corso degli anni all’elaborazione e allo sviluppo di un approccio che oggi è una vera e propria metodologia codificata: Life Cycle Assessment o, in breve, LCA. Questa metodologia, indicata anche come “analisi del ciclo di vita”, si basa sul prendere in esame tutte le fasi che riguardano la vita del prodotto (inteso come bene o servizio) che si sta studiando, comprese quelle di approvvigionamento dei materiali e dell’energia impiegati, di utilizzo vero e proprio del bene/servizio e di smaltimento dei rifiuti. Per questo, spesso ci si riferisce all’LCA descrivendola sinteticamente come un’analisi “dalla culla alla tomba”, espressione che ben evidenzia il concetto che ne è alla base, ovvero la capacità di coprire tutto l’arco delle attività che più o meno direttamente sono legate  all’oggetto dello studio, e che spesso sono indicate come processi upstream, core e downstream. Al di là degli  elementi propri che costituiscono un’analisi LCA e per i quali sarebbe necessario un approfondimento ad hoc,sono i risultati che possono essere ottenuti dall’applicazione della metodologia il vero aspetto interessante.
Innanzitutto, la certezza di aver impiegato una procedura prestabilita e scientifica e quindi, dai risultati ripetibili  e comparabili, permette a chi dispone di tali informazioni di poter fare le proprie scelte in maniera più  consapevole, premiando i comportamenti o i prodotti più green. Questo naturalmente vale soprattutto per il lato “utente” o “consumatore”. D’altra parte, anche chi produce il bene o fornisce il servizio analizzato può meglio identificare le parti più critiche dei propri processi, quelle su cui è opportuno agire per meglio tutelare l’ambiente.
Nata quarant’anni fa, la metodologia LCA si è affermata negli anni ’90 a partire dal comparto industriale chimico e oggi la sua validità è riconosciuta a livello internazionale, come dimostra la sua standardizzazione in norme del gruppo ISO 14000. Le tematiche ambientali non sono però le sole che possono essere affrontate mediante il “life cycle thinking”. Ad esempio, anche tutte quelle analisi di carattere economico che mirano a quantificare in maniera completa il costo associato ad una determinata attività (per citarne alcune, la verifica dei costi di produzione di un bene mobile o immobile, gli studi di fattibilità per investimenti di qualsiasi settore, le analisi comparative di differenti scenari) possono applicarlo. In questo caso, si parla più propriamente di Life Cycle Cost Analysis o LCCA. Anche l’Italia dell’energia, seppur timidamente, sembra essersi accorta delle potenzialità di questo approccio, soprattutto per la valutazione dell’effettiva convenienza delle soluzioni di miglioramento energetico. Tanto per citare un caso, il recente d.lgs. 102/2014, che obbliga le aziende grandi o energivore a realizzare diagnosi energetiche, ha inserito tra i criteri di conduzione degli audit proprio un riferimento a questo tipo di analisi. Nell’allegato 2 al decreto infatti si legge: “(le diagnosi energetiche di qualità) …ove possibile, si basano sull’analisi del costo del ciclo di vita, invece che su semplici periodi di ammortamento, in modo da tener conto dei risparmi a lungo termine, dei valori residuali degli investimenti a lungo termine e dei tassi di sconto”.

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