Il modo di dire “Sano come un pesce” deve essere sfatato.
Il detto popolare ha radici lontane, in un tempo in cui i pesci erano visti come esseri viventi che “non si ammalano mai”… in verità anche i pesci si ammalano, ma, per ovvie ragioni, rimane sempre molto difficile osservare un pesce “gravemente malato” nel suo ambiente naturale; gli individui deboli vengono predati molto più facilmente e quindi scompaiono rapidamente. I pesci in definitiva si ammalano nella stessa misura degli altri esseri viventi del regno animale.
La diffusione di agenti patogeni rappresenta una seria minaccia per i pesci provocando improvvisi eventi di mortalità di massa che possono portare alla scomparsa di specie considerate rare e alla drastica riduzione di specie un tempo abbondanti.
L’anemia dei salmoni, per esempio, descritta per la prima volta in Norvegia nel 1984, si è diffusa in modo pandemico provocando l’inizio della profonda crisi che ha portato nel 2008 al collasso della produzione dell’allora maggiore esportatore di salmoni: il Cile. Per colpa di un virus (Orthomyxovirus) la produzione cilena è crollata del 75% in due anni con una perdita di almeno 5mila posti di lavoro. L’anemia infettiva dei salmoni (Infectious Salmon Anemia, ISA) è una malattia derivante probabilmente dall’adattamento ad un nuovo ospite di un virus già noto che, fortunatamente, ha colpito solamente i salmoni allevati in acquacoltura. Il virus, legato a quelli della comune influenza, non si trasmette all’uomo in caso di ingestione delle carni infette (né crude né cotte) e neppure qualora si maneggi del pesce malato.
Recentemente un’altra patologia virale, nota con il nome di Encefalo-Retinopatia Virale (ERV o VER), ha generato, come l’anemia, pesanti perdite economiche negli impianti di allevamento di tutto il mondo; quest’ultima ha tuttavia oltrepassato il confine degli impianti di allevamento causando una moria massiva di cernie selvatiche in Giappone e nell’ottobre dello scorso anno anche presso le coste del basso Salento (Puglia).
Esiste quindi la possibilità che il virus che causa la malattia (Betanodavirus) si diffonda dagli impianti di acquacoltura all’ambiente naturale circostante.
Il contagio può essere favorito da una serie di fattori tra cui l’abitudine di molti pesci selvatici di avvicinarsi alle gabbie di allevamento per trovare riparo e soprattutto per nutrirsi, sia del mangime destinato ai pesci allevati sia talvolta degli stessi pesci allevati. In altri casi è il pesce allevato che fuoriuscendo dalle gabbie di allevamento è potenzialmente in grado di diffondere l’infezione nell’ambiente naturale. Inoltre, anche il trasporto a livello globale di avannotti delle specie di allevamento può contribuire a diffondere il virus in aree del mondo in cui questo non è ancora presente.
Un primo studio dedicato alla verifica della presenza di questo virus in specie selvatiche, pubblicato nel gennaio 2013 sulla rivista “BMC Veterinary Research”, è stato effettuato da ricercatori (Niccolò Vendramin, Anna Toffan, Valentina Panzarin, Elisabetta Cappellozza, Calogero Terregino, Giovanni Cattoli) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Padova, centro di referenza in Italia per le malattie dei pesci, in collaborazione con un veterinario ittiopatologo (Pierpaolo Patarnello) e alcuni ricercatori dell’Università del Salento (Antonio Terlizzi e Perla Tedesco).
Lo studio, stimolato anche da testimonianze da parte di pescatori di morie di massa e comportamenti natatori anomali di alcune cernie filmate in immersione da alcuni subacquei salentini, è stato condotto presso le Aree Marine Protette di Porto Cesareo (Mar Jonio) e di Torre Guaceto (Mar Adriatico) campionando diversi esemplari appartenenti a diverse specie di pesci, focalizzandosi oltre che sulle cernie anche su quelle specie considerate maggiormente sensibili al virus, tra cui la spigola (Dicentrarchus labrax). I campioni di tessuto encefalico e gonadico, i principali bersagli del virus, sono stati analizzati con innovative indagini biomolecolari.
I risultati ottenuti hanno messo in luce una percentuale di positività al virus nei pesci indagati pari al 30%, con un’elevata prevalenza soprattutto nella spigola confermando la stretta relazione tra il virus presente nei pesci degli allevamenti e le specie selvatiche indagate in natura.
Gli effetti delle morie negli impianti sono ovviamente devastanti in quanto determinano la perdita del pesce allevato ma anche in popolazioni selvatiche tali effetti sono altrettanto preoccupanti da un punto di vista ecologico perché un evento di mortalità di massa a carico di grossi predatori si può ripercuotere lungo tutta la catena trofica, andando a influenzare pesantemente anche le specie che occupano livelli trofici inferiori. Il rischio è quello di un depauperamento di specie ittiche pregiate con pesanti ricadute a livello economico ed ambientale.
Per evitare tutto questo è necessario implementare programmi di monitoraggio ambientale al fine di comprendere meglio i meccanismi di diffusione epidemiologica di questa ed altre patologie infettive ed essere quindi in grado di prevenire o comunque affrontare nel miglior modo possibile eventuali focolai circoscritti prima che le patologie sfocino in pericolose pandemie.
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