Voci dall’Antartide – Vol. 4

Come ultimo post per il 2013 dedicato all’Antartide voglio presentarvi un’intervista al ricercatore che ha consentito nei mesi precedenti il nostro collegamento a puntate (vedi post precedenti nel blog BluLab) con la base italiana antartica durante la XXVIII spedizione italiana estiva da poco conclusa.

Ricordo che in Antartide, oltre alla Stazione Italiana Mario Zucchelli, che viene utilizzata solo per l’estate antartica, è operativa per l’intero anno anche la base italo-francese Concordia (Dome C) dove anche quest’anno (nona campagna invernale) 15 ricercatori-tecnici proseguiranno il lavoro di ricerca nell’ambito dei programmi antartici congiunti con la Francia.

La Stazione Concordia si trova sul plateau antartico a 3.200 m di altitudine, e rimane in completo isolamento per nove mesi (febbraio-novembre), con temperature esterne che raggiungono i -80°C. Nonostante le basse temperature, i ricercatori dovranno lavorare spesso all’esterno per proseguire gli studi di glaciologia, chimica e fisica dell’atmosfera, di astrofisica, di astronomia e di geofisica. Continueranno, inoltre, analisi e test medici sui partecipanti per lo studio dell’adattamento dell’uomo in un ambiente così estremo nell’ambito di progetti scientifici in collaborazione con la European Space Agency (Esa).

Proprio per cercare di capire meglio cosa significa per un ricercatore vivere in un continente estremo come quello antartico ho deciso di realizzare un’intervista a Marino Vacchi, un ricercatore di ISPRA e ISMAR-CNR che nei mesi precedenti è stato il nostro collegamento con l’Antartide.  Subito dopo il suo ritorno dalla campagna estiva mi ha concesso una mini-intervista che ora vi propongo.

Marino Vacchi (in piedi) e Paolo durante una fase del campionamento di carote di ghiaccio antartico

Marino Vacchi (in piedi) e Paolo Guidetti durante una fase del campionamento di carote di ghiaccio antartico (Foto Paul Nicklen).

 

 Da quanto tempo partecipi alle spedizioni in Antartide?

 Ahimè…. da tanto, veramente tanto.  25 anni.

La mia prima volta risale all’estate australe 1987/88. A quel tempo si effettuava un unico lungo periodo di spedizione. Si partiva in nave dalla Nuova Zelanda, in Novembre e si arrivava, salvo problemi alla nave e se il ghiaccio non rallentava troppo la navigazione, dopo una decina di  giorni di traversata.  Si cominciava il rientro a fine febbraio, con il mare già in fase di ricongelamento. A quel tempo esisteva solo una base, a Terra Nova Bay, ancora  in costruzione. Eravamo alla terza spedizione italiana.  Era ancora lontana  la possibilità di atterrare sul pack con aerei (C-130) che permettono attualmente di raggiungere la base  con un volo di circa 10 ore. A quel tempo anche le comunicazioni con chi restava a casa erano difficili. Non c’era naturalmente posta elettronica e si telefonava dalla nave tramite un ponte radio via Roma radio. Era davvero un’altra  epoca. Da allora sono tornato in Antartide 15 volte, sia alla base italiana che in altre basi ed ho spesso lavorato a bordo di navi  durante campagne oceanografiche in zone antartiche e subantartiche. Una delle campagne più particolari alla quale ho partecipato è stata a bordo della nave americana Palmer (campagna ICEFISH) durante la quale abbiamo lavorato in aree subantartiche nel settore Atlantico, partendo in inverno da Punta Arenas e sbarcando a Cape Town. Durante questo viaggio, oltre ad aver campionato specie di pesci di eccezionale interesse, ho potuto visitare  la South Georgia dove riposa il grande esploratore antartico Shackleton, una delle personalità più carismatiche della fase eroica dell’esplorazione polare.

L’ultima isola visitata durante ICEFISH è stata Tristan da Cunha dove, ben prima di me altri liguri avevano messo piede (e radici). Basti dire (la storia è lunga, avventurosa  e mi porterebbe fuori tema) che REPETTO e LAVARELLO sono  cognomi molto comuni laggiù (come a Camogli).

 Quali sono le temperature minime alle quali sei stato?

Alla Base Italiana, attualmente il nome è “Mario Zucchelli,  in ottobre (periodo di apertura) ci sono temperature di -15°,- 20° C nelle zone meno esposte alla insolazione. Queste temperature sono del tutto sopportabili con i nostri equipaggiamenti per il lavoro di campo, a patto che non ci sia vento forte. La presenza di vento peggiora di molto la situazione, per effetto del cosiddetto “wind chill”.  Per esempio un vento di modesta entità (diciamo velocità 10 nodi) con temperatura misurata di -15°C produce  gli effetti di un raffreddamento che corrispondono ad una esposizione a -25°C.

Immagine aerea della Base Italiana in Antartide Mario Zucchelli (Foto di Paul Nicklen)

Immagine aerea della Base Italiana in Antartide “Mario Zucchelli” (Foto di Paul Nicklen).

 È stato necessario seguire un training di preparazione prima di arrivare?

Si. Tutto il personale che partecipa alle spedizioni deve superare  un corso di addestramento. Il corso dura circa due settimane e comprende una prima parte  presso il centro ENEA del Brasimone  (Appennino tosco-emiliano) e una seconda presso il Centro Addestramento Alpino ad Aosta. La prima parte è di preparazione generale, con lezioni teoriche, addestramento al primo soccorso, anti incendio e simulazioni di incidenti in acqua. Nella seconda parte, di solito sul versante italiano del Monte Bianco, vengono effettuate esercitazioni di campo, come allestimento di tende,  manovre sul ghiaccio (cordate, recupero da crepaccio); si apprendono tecniche di sopravvivenza; si prova a guidare  mezzi speciali (cingolati e/o motoslitte); ci si esercita anche nell’utilizzo di radio da campo e  GPS.

Il corso si fa una sola volta ma per partecipare ad ogni spedizione bisogna sempre superare una visita di controllo sanitario molto accurata, da cui deve risultare una  idoneità attestata dagli Istituti Medico Legali dell’Aeronautica Militare.

Quale è stata la tua attività di ricerca durante questa spedizione?

L’attività è parte del un progetto di ricerca di ecologia che sto attualmente coordinando. Il progetto si intitola: “Vulnerabilità dei pesci polari al cambiamento climatico: ciclo vitale, habitats e relazione con il ghiaccio marino in “Antarctic silverfish” (Pleuragramma antarcticum).

L’Antarctic  silverfish è piccolo pesce al centro delle catene trofiche antartiche e sostentamento   diretto o indiretto di tutti predatori di apice, dai pinguini alle foche, ai cetacei. Nel  2004 avevo trovato enormi quantità di uova di silverfish in fase avanzata di sviluppo embrionale sotto la banchisa, tra cristalli di ghiaccio, a temperature al limite del congelamento (-1.92°C).

Esemplari di Antarctic silverfish (Foto di Marino Vacchi)

Esemplari di Antarctic silverfish (Foto di Marino Vacchi).

Sto effettuando campagne di monitoraggio per misurare  l’estensione dell’area di riproduzione del silverfish (l’unica nota fino ad oggi) e soprattutto per capire la relazione di questa specie con il ghiaccio marino durante il  ciclo vitale. Le domande alle quali tento di dare una risposta sono:

La riproduzione del silverfish avviene obbligatoriamente sotto la copertura di ghiaccio, in pieno inverno australe?

Se sì, quale è il grado di vulnerabilità di questa specie di fronte alle variazioni nelle dinamiche di formazione stagionale del ghiaccio antartico, legate all’attuale cambiamento climatico?

Quali possono essere gli effetti sulla consistenza delle popolazioni di Pleuragramma antarcticum e quali i conseguenti effetti destabilizzanti negli ecosistemi costieri in cui questa specie svolge un ruolo così cruciale?

Bene, anche questa ultima spedizione a Terra Nova bay  è stata fatta per cercare di  dare delle risposte. Ho raccolto campioni di larve, giovanili e di adulti di silverfish,  per valutarne l’età dalla schiusa (larve e giovanili),  e lo stato riproduttivo (adulti)  e collocare temporalmente il momento stagionale della riproduzione.Ogni tassello di conoscenza sul ciclo vitale del silverfish e sul suo rapporto con ghiaccio marino, è un passo in avanti nella nostra conoscenza e capacità di valutare il grado di vulnerabilità di questa specie  e degli ecosistemi di cui fa parte di fronte ai cambiamenti climatici in corso.

 Come puoi descrivere l’ambiente del continente Antartico?

Il ghiaccio, nella sua grandiosità è l’aspetto che più di tutto caratterizza l’ambiente Antartico. Dai ghiacciai che scendendo dalla calotta glaciale arrivano direttamente in mare creando “lingue di ghiaccio” galleggianti lunghe decine di km da cui si distaccano i grossi icebergs tabulari. Il ghiaccio marino che si forma per rapido congelamento della superficie del mare all’approssimarsi dell’autunno antartico; si produce dapprima il cosiddetto “pancake ice” (ghiaccio a frittelle), destinato rapidamente a compattarsi per formare l’immensa  copertura  di oltre 2 metri di spessore che ricoprirà durante l’inverno gran parte dei mari antartici per oltre 20 milioni di chilometri quadrati.

La caratteristica conformazione del ghiaccio a "frittelle" (Pancake Ice - Foto di Volker Siegel)

La caratteristica conformazione del ghiaccio a “frittelle” (Pancake Ice – Foto di Volker Siegel)

 Quanto ci sente “lontani”?

Nelle prime spedizioni a cui ho partecipato (alla fine degli anni 80’),  il senso di isolamento si avvertiva molto anche in relazione alla difficoltà dei mezzi di comunicazione e alla durata delle spedizioni. Queste prime spedizioni duravano infatti tre mesi e il solo modo di comunicare con l’Italia era via telefono dalla nave attraverso un ponte radio con cui si aveva una comunicazione incerta, di scarsa qualità, e piuttosto costosa (per cui le telefonate erano limitate al massimo).

Ora è tutto diverso dal punti di vista dei collegamenti e delle comunicazioni ed è raro sentirsi “lontani”. Si arriva in Antartide velocemente con aerei di tipo militare (C-130) che atterrano su piste ricavate sul ghiaccio. Le comunicazioni telefoniche sono molto efficienti e per nulla costose la maggior parte delle Basi (compresa quella Italiana) ha il collegamento internet che permettono di trasmettere dati in tempo reale, di consultare banche bibliografiche e di comunicare via   

L’emozione è sempre la stessa o dopo tante spedizioni la vivi come un’esperienza di routine?

La partecipazione ad una spedizione antartica è ogni volta una nuova avventura, sia dal punto di vista professionale che umano. L’ambiente naturale ha una forza di attrazione che si rinnova ogni volta e ogni volta procura emozioni forti. Se poi si ha fortuna di lavorare in diverse aree antartiche e in Stazioni scientifiche di altre nazioni le esperienze e le emozioni si amplificano, come anche le motivazioni professionali.  Esiste anche un vero e proprio “Mal d’Antartide”, che manifestano molti partecipanti dopo un’esperienza antartica.

 Come si vive nella base antartica?…..Ci racconti la tua giornata tipo?

La mia esperienza è limitata naturalmente alla base italiana sulla costa del mare di Ross, che è una base attiva solo nell’estate antartica. Qui la vita è piuttosto frenetica perché in un breve periodo bisogna completare campionamenti e progetti. Ci sono delle regole generali che valgono per il personale scientifico e per il personale logistico.  12 ore di lavoro (dalle 8 alle 20 con pausa pranzo tra le 13 e le 14), tutti i giorni della settimana eccetto la domenica in cui di solito si ha il pomeriggio libero.

Quindi sveglia alle 7; bagno doccia rapida, colazione e inizio attività con uscite nelle zone di campionamento o attività nei laboratori per i ricercatori. La cena è a partire dalle 20. Dopo cena si ha sempre qualche lavoro da finire in laboratorio; da quando abbiamo i computer e la posta elettronica di solito le serate passano davanti al computer. Qualche volta si organizza una serata al “cinema” dopo aver scelto un film da vedere insieme alla televisione o una partita a carte.

 Quanto contano i rapporti umani ?

Come in tutte le piccole comunità isolate i rapporti umani sono importantissimi. In generale c’e  curiosità per il lavoro degli altri. A parte i rapporti con colleghi “scientifici” io personalmente apprezzo moltissimo la possibilità di collaborare con i tecnici della Base (meccanici, falegnami, idraulici etc) che in molte occasioni sono stati indispensabili per  riparare, mettere a punto o addirittura inventare attrezzature di campo e di laboratorio. Non sempre tutto è semplice e idilliaco naturalmente; è soprattutto quando c’è qualche contrattempo o qualche problema che si misura la capacità di interagire correttamente. Mi è capitato di incontrare anche persone che caratterialmente non sono proprio adatte ad interagire in modo adeguato, sono di solito persone abituate ad anteporre le loro esigenze a quelle di tutti gli altri e che dopo la prima esperienza non ritornano più.

 Come si vivono i rapporti tra i due sessi?

Penso che i punti di vista siano diversi e soprattutto siano diverse le esperienze tra basi permanenti (dove si convive per 12,15 mesi) e basi stagionale. Per quanto riguarda la base italiana mi sembra abbastanza bene, soprattutto negli ultimi anni, da quando cioè le “ragazze” non sono delle eccezioni ma fanno parte delle spedizioni in numero relativamente elevato.

Com’è il rapporto tra le basi delle nazioni che stazionano in Antartide?

Esiste una forte collaborazione in primo luogo di tipo logistico. Le Basi diventano da questo punto di vista dei porti di mare con gente in transito che arriva e che parte per altre destinazioni in Antartide. La Base italiana coordina le sue attività di movimentazione dei partecipanti e delle attrezzature con la Base statunitense di McMurdo e con la Base Italo-Francese di Concordia. Inoltre esiste anche un rapporto di collaborazione a livello scientifico che prevede  scambio di ricercatori che soggiornano nelle diverse Basi.   

Arrivo dei ricercatori con un C-130 nella Base Americana (Foto di Marino Vacchi).

Arrivo dei ricercatori con un C-130 nella Base Americana (Foto di Marino Vacchi).

 Cosa si mangia?

Nella nostra Base si mangia all’Italiana e molto bene. Nella prima parte della spedizione di solito si hanno a disposizione verdura e frutta fresca. In seguito ci si deve accontentare di verdure surgelate e come frutta c’è soltanto quella in scatola. I cuochi sono tra le persone più importanti della base e a volte dimostrano anche molta fantasia. Ricordo un anno (eravamo a corto di viveri perché la nave aveva avuto un ritardo) che i cuochi cercavano ogni sera di inventarsi qualcosa di fantasioso, e riempivano sempre la ciotola del formaggio con pane grattugiato  per  condire la pasta. Al sabato sera c’è la tradizione della pizza e ogni giorno c’è il pane fresco.

 Quando tornerai?…Per fare cosa?

 Ancora non lo so. Ho appena presentato una nuova proposta di ricerca al Programma Nazionale di Ricerche in Antartide. Se la proposta sarà stata convincente e sarà accettata andrò a fine anno alla Base Italiana e il prossimo anno parteciperò ad una campagna oceanografica nel Mare di Ross per collaborare ad uno studio sulle catene alimentari e sulla dinamica degli ecosistemi locali Mi occuperò in particolare dell’ecologia dell’Antarctic silverfish.

 Puoi dare una tua definizione del continente Antartico?

Un ambiente unico, in cui la vita ha seguito percorsi evolutivi straordinari. Un laboratorio naturale. Un patrimonio dell’Umanità.

Ringraziamenti speciali: l’appuntamento con la serie di articoli “Voci dall’Antartide” è stato realizzato per gentile concessione del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide che ringrazio, nella speranza che conceda questo privilegio anche per la prossima spedizione a cui Marino Vacchi parteciperà.

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