Indicators for Sustainable Development Goals ed il contributo dell’Università di Siena

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SDSN Leadership Council, An Action Agenda for Sustainable Development (2013)

Dopo aver pubblicato, nel Giugno 2013, il report An Action Agenda for Sustainable Development, che individuava dieci priorità operative per l’agenda dello sviluppo globale post-2015 e proponeva 10 obiettivi specifici (i c.d. Sustainable Development Goals), nonché 30 target ad essi correlati, nella prospettiva di rendere questi gli ‘eredi’ dei Millennium Development Goals, incorporando in un’ottica olistica sostenibilità ambientale, inclusione sociale e sviluppo economico, il Leadership Council del United Nations Sustainable Development Solutions Network ha lanciato ad inizio 2014 un framework integrato composto da 100 indicatori allo scopo di assistere il raggiungimento di quegli stessi obiettivi e monitorarne il progresso. Suddetti indicatori si basano in particolare sul concetto di continuità con gli indicatori previsti per i vigenti MDGs, sulla loro applicabilità a livello globale, sulla affidabilità e completezza dell’attività raccolta dei dati, sull’esistenza di un consenso diffuso sul loro utilizzo, sulla possibilità di disaggregazione a livello locale ed in risposta ad altre differenze sociali ed economiche ai fini di una maggiore efficacia del processo di monitoraggio.

 

Frutto di un intenso lavoro condotto dai Thematic Groups di SDSN, tale framework è contenuto nel nuovo report Indicators for Sustainable Development, il cui draft preliminare è stato reso noto lo scorso 14 febbraio. La consultazione pubblica che ne è seguita, conclusasi il successivo 28 marzo, ha visto l’invio di un numero straordinario di commenti ed osservazioni, che UNSDSN ha provveduto a riportare sul proprio sito e che sono reperibili qui.

 

L’Università degli Studi di Siena ha partecipato a tale consultazione con un proprio documento, elaborato collettivamente dal Network Siena Sostenibilità sotto la supervisione  del Prof. Simone Bastianoni e del suo gruppo di ricerca (Ecodynamics Group), il quale analizza in maniera critica gran parte del report proponendo al contempo suggerimenti e modifiche che, nell’ottica di coloro che vi hanno contribuito, potrebbero incrementarne l’impatto e fornire un supporto ancora più solido al raggiungimento dei Sustainable Development Goals. Le osservazioni del nostro ateneo, reperibili alle pagine 395-398 del relativo pdf, devono ovviamente essere lette in parallelo ai passaggi del report cui essi si riferiscono.

 

 

 

 

Sostenibilità e offerta didattica: un nuovo insegnamento presso l’Università degli Studi di Siena

di Dario Piselli, coordinatore Greening USiena

 

E’ opinione comune, nell’ambito del dibattito globale riguardante il perseguimento di uno sviluppo sostenibile, che la complessità e la multidisciplinarietà delle questioni trattate impongano (oggi più che mai) un ripensamento in senso critico del sistema dell’educazione, ed in particolare di quella superiore, ai fini di una formazione delle nuove generazioni che ad esse fornisca gli strumenti conoscitivi ed applicativi necessari per affrontare le inedite sfide ambientali e sociali del nostro antropocene. Laddove il concetto di sostenibilità (e la definizione di politiche, tecnologie, processi con esso coerenti) appariva, fino a qualche anno fa, come esclusivo di una ristretta cerchia di addetti ai lavori, oggi si comprende infatti che, fino al momento in cui tale concetto non sarà incorporato nella società ed assimilato dall’opinione pubblica e dal modello produttivo, un cambiamento di rotta risulterà impossibile.

 

Schermata 2014-02-18 alle 10.32.27In questa prospettiva, dunque, il ruolo delle Università si rivela fondamentale. E’ un ruolo che viene sempre più enfatizzato da progetti internazionali, quali ad esempio il progetto delle Nazioni Unite UN SDSN, e network come la Copernicus Alliance, che nell’ambito della conferenza di Rio+20 ha lanciato un People’s Sustainability Treaty on Higher Education; un ruolo, soprattutto, che deve stimolare grande attenzione al tema dell’offerta didattica, puntando sulla promozione di insegnamenti dedicati allo sviluppo sostenibile ed alle sue molteplici dimensioni.

 

L’Università degli Studi di Siena, che proprio del progetto UN SDSN, lanciato dal Segretario Generale Ban Ki-Moon e diretto dall’economista Jeffrey D. Sachs, recentemente è stata individuata quale Centro di Coordinamento per l’Area del Mediterraneo (il c.d. MED Solutions), ha in questo senso deciso di fornire ai suoi studenti, a partire dall’anno accademico 2013/2014, un nuovo insegnamento assolutamente innovativo nel panorama universitario italiano, accessibile da tutti i corsi di studio (sotto forma di crediti liberi) ed aperto anche agli esterni, teso a fornire competenze di base sia dei principi e delle dimensioni della sostenibilità sia degli strumenti utili per operare in contesti professionali e di studio con adeguate capacità in materia di sviluppo sostenibile.

 

Il corso, denominato ‘Sostenibilità‘, partirà il 7 marzo e si comporrà di 24 seminari che vedranno la partecipazione, oltre che del prof. Simone Bastianoni (cui è stata affidato l’insegnamento) e di altri docenti dell’ateneo, di esperti delle varie discipline, attraverso un approccio trandisciplinare (necessario, come già considerato, per affrontare un tema di implicazioni tanto vaste) che coniugherà aspetti ambientali, economici, giuridici, energetici, urbanistici, sociologici.

 

Si tratta, ovviamente, di un primo passo in questa ricerca di un’integrazione più profonda tra contesto accademico e sostenibilità (è possibile, peraltro, che in futuro si cerchi di rendere il corso obbligatorio per tutti gli studenti); tuttavia, esso può già adesso rappresentare un esempio da seguire per le altre Università, laddove si consideri che formare i giovani al tema dell’innovazione, in senso sostenibile, dell’economia, delle policies e più in generale della società, significa accrescere la funzione (ed il prestigio) dell’educazione superiore stessa come strumento di empowerment professionale ed al contempo stimolarne un rilancio sotto forma di ‘finestra sul reale’ attraverso la quale gli studenti si possano di nuovo aprire al mondo ed alle sue sfide più attuali e concrete.

 

Per informazioni e per iscriversi all’insegnamento, visitare il sito del DSFTA dell’Università degli Studi di Siena o la pagina dedicata su UniSi.it.

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Dal 19 al 23 novembre a Siena c’è “Are U #AWARE?”

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Grazie all’impegno di Università degli Studi di Siena, dal 19 al 23 novembre si svolgerà “Are U #AWARE?“, manifestazione dedicata ai temi della sostenibilità che coinvolgerà tantissimi soggetti della comunità universitaria (e non solo) in laboratori, mostre, seminari ed incontri. La serie di iniziative, nata nell’ambito della Settimana UNESCO per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile (18-24 novembre), promossa dalla Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, si propone di avvicinare i giovani alle sfide ambientali e sociali del nostro tempo, mostrando al contempo come istruzione universitaria, cultura e buone pratiche individuali siano tre aspetti inscindibili e necessari per una formazione che possa fornire alle nuove generazioni gli strumenti atti ad influenzare in prima persona le politiche globali relative allo sviluppo sostenibile. Tra l’altro, il fatto che un simile evento sia stato ideato utilizzando  rigorosamente risorse e competenze già presenti all’interno del nostro ateneo ci riempie di orgoglio e dimostra come esso possieda un patrimonio di conoscenze e di entusiasmo su questi temi che in futuro potrà essere sfruttato in maniera crescente, sia dal punto di vista della didattica che da quello della ricerca e della partecipazione al dibattito internazionale.

 

Qua sotto trovate il programma aggiornato a sabato 9 novembre e l’elenco provvisorio dei partners del progetto; a breve sarà inoltre disponibile il materiale cartaceo, ma già da adesso vi invitiamo a comunicare idee e pensieri relativi alla manifestazione utilizzando l’hashtag twitter #USienAware. Vi invitiamo inoltre -ovviamente- a partecipare alle iniziative, a seguire gli aggiornamenti attraverso i profili social dell’ateneo e di Greening USiena, e soprattutto ad invitare amici e/o studenti, anche attraverso l’apposita pagina Facebook che trovate qui.

 

Il programma degli eventi aggiornato al 9 novembre:

 

19 novembre
ore 15.00 – Incontro pubblico su network MED Solutions. Il rettore presenterà lo stato di avanzamento del progetto (Sala Consiliare del Rettorato, Banchi di Sotto 55)

 

20 novembre
ore 15.00 – GreeningLab: Laboratorio di buone pratiche in collaborazione con Gira e Ricicla (Sala Cinema del Polo Umanistico, via Fieravecchia 19)
ore 18.30 – Evento organizzato dalla Siena School for Liberal Arts. Costruire la “tipicità”: il prodotto locale tra politica e ‘tradizione’. Uno sguardo antropologico in Toscana – Incontro con Michela Badii (Sede Siena School for Liberal Arts, via Tommaso Pendola 37)

 

21 novembre
ore 15.00GreeningLab: Laboratorio di buone pratiche in collaborazione con Gira e Ricicla (Sala Cinema del Polo Umanistico, via Fieravecchia 19)
ore 17.00 – Proiezione del documentario Surviving Progress, di Mathieu Roy e Harold Crooks (Sala Cinema del Polo Umanistico, via Fieravecchia 19)

 

22 novembre
ore 15.00 – Presentazione dell’insegnamento trasversale di sostenibilità con la prof.ssa Sonia Carmignani ed il prof. Simone Bastianoni (Aula Magna Storica del Rettorato, Banchi di Sotto 55)
ore 17.00 – “Lotta alle malattie e sviluppo sostenibile: voci dal mondo”. Seminario con Gianluca Breghi (Fondazione Sclavo), gli studenti internazionali del Master of Vaccinology Novartis ed il direttore scientifico del Master, il prof. Emanuele Montomoli (Aula Magna Storica del Rettorato, Banchi di Sotto 55)

 

23 Novembre
ore 11.00GreeningLab: incontro con l’artista Andrea Fagioli (Orto Botanico dell’Università di Siena, via Pier Andrea Mattioli 4)
ore 15.00 – Inaugurazione mostra fotografica “Biodiversità floristica in terra di Siena” di Gianmaria Bonari (Serra Tepidario dell’Orto Botanico dell’Università di Siena, via Pier Andrea Mattioli 4)
La manifestazione si chiuderà con una degustazione di olio e vino gentilmente offerta dal Consorzio Agrario Di Siena.

 

Durante tutta la settimana, presso l’Orto Botanico di Siena sarà inoltre possibile visitare la mostra di scultura ‘Fitosintesi: per una fioritura consapevole ed ecosostenibile’, di Andrea Fagioli, attiva fino al 21 marzo 2014.

 

Elenco dei partners aggiornato
Siena School for Liberal Arts, USiena Welcome, Ne.S.So., Siena2019EU, Provincia di Siena, Novartis Vaccines and Diagnostics, Fondazione Sclavo, Gruppo Erasmus Siena (ESN), Associazione Culturale Gira e Ricicla, Centro Europe Direct Siena, Consorzio Agrario di Siena, La Bottega di Stigliano, MondoMangione

 

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Riformare i sussidi europei alla pesca

di Dario Piselli, coordinatore Greening USiena

 

Manca poco più di un mese al 22 ottobre, data (ancora indicativa) in cui il Parlamento Europeo si riunirà in seduta plenaria per esaminare in prima lettura la proposta di regolamento relativa alla sostituzione dell’attuale Fondo Europeo per la Pescaimage-upload (FEP), lo strumento (che rientra nel più generale quadro normativo conosciuto come Politica Comune della Pesca) con cui l’Unione disciplina l’allocazione dei sussidi comunitari all’industria ittica. Il nuovo Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP), destinato a succedere al FEP attraverso la procedura legislativa ordinaria della UE, è stato peraltro già oggetto di svariati dibattiti, sia in sede di negoziato tra Consiglio e Parlamento che all’interno della Commissione per la Pesca di quest’ultimo. Prendendo le mosse dall’intervento che ho tenuto durante la conferenza internazionale di lancio del network MED Solutions, svoltasi presso la Certosa di Pontignano nel luglio scorso (vedi qui), intendo sottolineare le criticità principali della proposta di riforma, che pure si propone di compiere dei sostanziosi passi avanti rispetto ad una situazione ancora disastrosa degli stocks ittici europei (ed in particolare, di quelli del mar Mediterraneo) ed a porre rimedio al problema di una ancora insufficiente riduzione della capacità di pesca della flotta comunitaria, come noto sproporzionata rispetto agli stocks medesimi. Sia detto en passant, il seguente post non prende in considerazione il regolamento sulla riforma della Politica Comune della Pesca, che pure presenta numerosi profili di interesse, e si concentra invece sulla questione dei sussidi comunitari.

 

Introduzione: lo stato degli stocks del Mediterraneo

 

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Totale delle catture nel mar Mediterraneo e nel mar Nero dal 1970 al 2012. Fonte: FAO

Negli ultimi decenni, il Mar Mediterraneo ha visto le sue risorse ittiche assottigliarsi ad un ritmo spaventoso. Secondo la FAO, le catture in quest’area sono diminuite del 15% dal 20071, mentre durante lo stesso periodo l’Europa nel suo complesso ha assistito ad una crescita esponenziale della domanda di prodotti ittici, con un deficit tra importazioni ed esportazioni che, nel 2010, ammontava a 10 miliardi di dollari2 (l’anno successivo, il 62% del pesce consumato dagli europei proveniva da paesi terzi3). Secondo la Commissione Europea, l’82% degli stocks del Mediterraneo sono sovra-sfruttati (le stime dell’Agenzia Europea per l’Ambiente parlano di un 50-78% di stocks ‘fuori dai limiti biologici di sicurezza’4), mentre per la FAO il 50% sono sovra-sfruttati ed il 33% sfruttati completamente5. Con riferimento alla singole specie, tutte le riserve di merluzzo europeo (Merluccius merluccius) e di triglia di fango (Mullus barbatus) sono considerate sovra-sfruttate nell’ultimo report SOFIA 20126, mentre i principali stocks di piccolo pesce pelagico (sardine e acciughe) vengono definite alternativamente come sovra-sfruttati o sfruttati completamente.

 

I sussidi comunitari al settore ittico nell’Asse 1 del FEP e in futuro

 

La Politica Comune della Pesca dell’Unione Europea e lo Strumento Finanziario di Orientamento della Pesca (SFOP), in vigore dal 1994 al 2006, sono stati in passato oggetto di critiche per quello che la Commissione stessa identificava come “un conflitto tra priorità nel finanziamento, come il supporto per la riduzione dello sforzo di pesca e della capacità da un lato, e l’aiuto alla modernizzazione e al rinnovo dei vecchi segmenti della flotta europea dall’altro”7. Con l’introduzione del Fondo Europeo per la Pesca (FEP), che elenca tra i suoi obiettivi principali (il cosiddetto Asse 1) il supporto al bilanciamento tra capacità di pesca della flotta europea e risorse ittiche disponibili, l’Unione Europea ha provato a cambiare strada, ma nel Quinto Rapporto Annuale sull’implementazione del FEP, pubblicato nel 2011, la Commissione ha sottolineato gli insuccessi nell’implementazione delle misure, come nel caso dell’aiuto finanziario per la cessazione permanente o temporanea delle attività di pesca:

 

 “le valutazioni successive del FEP e del suo predecessore (SFOP) hanno evidenziato un problema ricorrente nel modo in cui la cessazione permanente dell’attività è usata nella pratica. Essa è incoraggiata non tanto dal bisogno di adattare la flotta alle risorse disponibili, ma dalle difficoltà economiche delle flotte, indipendentemente dalla situazione degli stocks. Il requisito, previsto dal FEP, di elaborare piani di bilanciamento dello sforzo di pesca prima di cessare l’attività non ha risolto il problema. Al contrario, in alcuni di tali piani la cessazione permanente è esplicitamente presentata come uno strumento per compensare la riduzione delle opportunità di pesca e migliorare le prospettive economiche dei pescherecci rimanenti. Di conseguenza, la cessazione permanente è spesso utilizzata non da quei pescherecci che esercitano la pressione maggiore sugli stocks, ma da quelli con le peggiori prospettive finanziarie, fatto questo che limita l’efficacia del bilanciamento generato.”8

 

Secondo la Corte Europea degli Auditori (ECA), nonostante il supporto per la dismissione dei pescherecci, si stima che l’effettiva capacità di pesca della flotta europea nel periodo 1992-2008, “se si considera l’impatto dell’innovazione tecnologica, sia aumentata del 14%9. La stessa Commissione Europea ha descritto la capacità di pesca dell’Unione come ancora “troppo alta”10.

 

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Trend del numero di pescherecci UE dal 1992 al 2007, sotto differenti regimi di controllo della capacità di pesca. Nonostante la riduzione sia evidente, si stima che l’innovazione tecnologica abbia di fatto annullato l’efficacia di queste misure. Fonte: EEA

 

Il pacchetto di riforme oggetto di discussione da parte delle istituzioni europee intende ridurre ulteriormente o eliminare i sussidi che aumentano la capacità di pesca (ad es., aiuti per l’acquisto di carburante e per la modernizzazione delle navi), inserendo nel nuovo FEAMP una previsione espressa di esclusione per (a) operazioni che aumentano la capacità di pesca dei pescherecci, (b) costruzione di nuovi pescherecci, decommissioning o importazione di pescherecci; (c) cessazione temporanea delle attività di pesca”.

 

Nelle parole di T. Markus, “laddove i sussidi aumentano o mantengono una capacità eccessiva, il denaro pubblico sta fondamentalmente finanziando le inefficienze del settore ittico e danneggiando l’ambiente marino”11; ciò rende una riforma della PCP e dei fondi europei necessaria ed urgente, ma suggerisce anche il bisogno di un enforcement efficace e di un controllo capillare sul rispetto delle misure adottate.

 

Cosa fare?

 

1. Riservare il supporto alla piccola pesca

 

Per rompere il circolo vizioso tra richiesta crescente di prodotti ittici, sovra-sfruttamento e depressione delle comunità Schermata 2013-09-13 alle 16.31.16costiere (l’occupazione nel settore ittico è diminuita del 31% dal 2002, non per la modestissima riduzione delle flotte ma piuttosto per lo sviluppo tecnologico, il declino delle riserve e la diminuzione dei prezzi causata dalla domanda di mercato), la Politica Comune della Pesca deve essere radicalmente ripensata: invece di proporre alcune misure specifiche ed un livello di sussidi più alto per la piccola pesca (mi riferisco qui ai drafts preliminari del regolamento FEAMP che sarà discusso in Parlamento), i legislatori comunitari dovrebbero guardare all’obiettivo di una riduzione graduale di tutti i sussidi ai grandi pescherecci e di una destinazione degli stessi alla prima categoria, come mezzo di tutela dei piccoli pescatori e delle comunità costiere. In particolare, i sussidi all’innovazione tecnologica dovrebbero essere consentiti soltanto a questi ultimi e soggetti al più severo controllo; inoltre, all’interno del concetto di ‘innovazione tecnologica consentita’ i policymakers non dovrebbero includere aiuti per l’efficienza energetica dei motori, che rischierebbero di trasformarsi in sussidi che aumentano la capacità di pesca, e permettere solo investimenti su sicurezza, selettività delle reti e degli strumenti, igiene e meccanismi di controllo.  Un incentivo finanziario sull’efficienza energetica potrebbe essere ancora supportato soltanto se unito ad un parallelo investimento sulla riduzione della capacità di pesca. Non dovrebbe infatti essere dimenticato che, come sottolineato dalla Corte Europea degli Auditori, pescherecci con motori efficienti hanno comunque un incentivo ad aumentare il loro sforzo di pesca, per esempio rimanendo più ore in mare.12

 

2. Controllo sui sussidi al carburante

 

I sussidi al carburante sembrano essere esclusioni dalle previsioni dell’art.27 della proposta di regolamento FEAMP, che stabilisce che “i costi di funzionamento non possono essere oggetto di sussidio se non dove espressamente previsto”. Tuttavia, si dovrà evitare che, negli investimenti sull’ efficienza energetica, gli Stati Membri siano tentati di includere misure che potrebbero essere incentivi per il carburante ‘mascherati’.

 

3. Fondi per i servizi di consulenza

 

Secondo l’art.29 della proposta della Commissione, sono possibili finanziamenti per studi di fattibilità riguardanti i progetti oggetto di sussidi europei oppure per servizi professionali di consulenza e di definizione di strategie di mercato. Questi fondi dovrebbero essere sostituiti da un servizio di consulenza più ampio, che riguardi i potenziali impatti ambientali e socio-economici a lungo termine dei progetti elaborati dai pescatori e dalle organizzazioni di pescatori, oppure utilizzati per aumentare il supporto già allocato per la creazione di partnerships tra pescatori e scienziati (art.30).

 

4.  Porti, siti di sbarco e rifugi

 

Il supporto per l’innovazione, l’efficienza energetica, la protezione ambientale attraverso l’investimento in infrastrutture portuali (art.41) dovrebbe essere oggetto di un controllo capillare per evitare l’elargizione di sussidi ad operazioni non coerenti con gli obiettivi summenzionati, rischio che con riguardo alle opere marittime  è purtroppo sempre presente.

 

5. Acquacoltura

 

Il supporto all’acquacoltura sembra fuori posto nella riforma della Politica Comune della Pesca; essa rappresenta infatti il Schermata 2013-09-13 alle 16.32.19settore dell’industria ittica a crescita più rapida, il che rende la previsione di sussidi per l’acquacoltura off-shore controproducente e non economica. Inoltre, il Capitolo II della proposta di regolamento FEAMP sembra, nella sua interezza, estremamente sbilanciata con riferimento al supporto per l’acquacoltura sostenibile; in particolare, non fa menzione alcune del potenziale impatto dell’acquacoltura off-shore sugli stocks ittici selvatici, e nessuna distinzione tra l’allevamento di specie carnivore e non-carnivore. Le previsioni del FEAMP riguardo all’acquacoltura dovrebbero escludere esplicitamente i sussidi per le pratiche del primo tipo, ed investire nel controllo dei siti già esistenti. Ancora, il fondo dovrebbe eliminare gli aiuti per l’acquisto di farmaci veterinari e non dovrebbe coprire le perdite derivanti dalla diffusione di malattie tra gli animali allevati quando queste sono dipendenti da una gestione non sostenibile dei siti. Infine, dovrebbe chiaramente escludere il supporto, e probabilmente addirittura scoraggiare, pratiche quali l’allevamento di salmone e l’ingrasso in gabbia di tonni selvatici, che presentano il costo ambientale più alto tra tutte le attività di acquacoltura.

 

In generale, i sussidi FEAMP all’acquacoltura dovrebbero essere interamente ripensati, specialmente perché le Strategic Guidelines proposte dalla Commissione non affrontano le criticità che ho sottolineato. Desterebbe grande preoccupazione l’adozione di un simile meccanismo di sussidio in mancanza di regole appropriate e, soprattutto, il supporto europeo per maggiore una qualità ambientale dell’acquacoltura non dovrebbe essere perseguito su base volontaria, attraverso l’incentivo economico, ma piuttosto essere reso oggetto di una obbligazione di protezione ambientale gravante sui produttori.

 

Una postilla

 

Dopo il mio intervento di Luglio, da cui, ripeto, è tratto questo post, è cambiato qualcosa: il 25 luglio, durante una riunione della Commissione per la Pesca del Parlamento Europeo, i legislatori comunitari hanno apportato alcune modifiche alla proposta, ri-ammettendo i sussidi per le seguenti operazioni:

 

  1. Il rinnovo della flotta teso a rimpiazzare pescherecci che hanno più di 35 anni (con obbligo di ridurre contestualmente la capacità del 40%, secondo il relatore Alain Cadec)
  2. Sostituzione dei motori per tutti i pescherecci (e non solo per la piccola pesca, con lo stesso obbligo di cui sopra, sempre secondo Alain Cadec).
  3. Trasferimento di proprietà di un’impresa
  4. Cessazione temporanea delle capacità di pesca

 

Come si può intuire dall’esempio appena riportato, il risultato dell’esame di ottobre appare tutt’altro che scontato (per tacere delle questioni ‘quote di cattura’ e ‘discards’, sulle quali mi riprometto di tornare a breve).

 

PS: per chi volesse leggersi l’intera presentazione (in inglese), questo è il link.

 

__________________________

 

1 Food and Agriculture Organization, The State of World Fisheries and Aquaculture 2012 (p.21)
Food and Agriculture Organization, The State of World Fisheries and Aquaculture 2012 (p.76)
AIPCE–CEP, Fin Fish Study 2012
European Environment Agency, The European Environment State and Outlook 2010. Marine and Coastal Environment (p.35)
Food and Agriculture Organization, The State of World Fisheries and Aquaculture 2012 (p.59)
Food and Agriculture Organization, The State of World Fisheries and Aquaculture 2012 (p.59)
European Commission, The Common Fisheries’ Policy – A user’s guide (2008)
European Commission, Fifth annual report on implementation of the European Fisheries Fund (2011), COM(2012)747
ECA, Special Report of December 2011 on how EU measures have contributed to adapting the capacity of the EU fishing fleet
10 European Commission, Report to the European Parliament and the Council on Member States’ efforts during 2011 to achieve a sustainable balance between fishing capacity and fishing opportunities
11 T.Markus,Towards sustainable fisheries subsidies: Entering a new round of reform under the Common Fisheries Policy – Marine Policy 34 (2010)
12 European Court of Auditors, Special Report n°12/2011

Colin Sage @Siena School: Contesting visions for future food security

Lo scorso giovedì 27 giugno, la Siena School for Liberal Arts ha ospitato Colin Sage, Senior Lecturer in Geografia presso la Facoltà dell’Ambiente Umano dell’University College Cork (Irlanda), per una open class su sostenibilità e sicurezza alimentare dal titolo ‘Contesting visions for future food security’. Pubblichiamo di seguito la relazione dell’intervento, ringraziando come sempre l’istituto culturale senese (con cui, lo ricordiamo, abbiamo una collaborazione).

 

di Colin Sage

 

Mentre i poveri del mondo continuano ad essere colpiti dalla volatilità dei prezzi (vedi Schermata 2013-07-10 alle 10.18.56Figura 1), la strada verso un sistema alimentare globale sostenibile è contestata in modo sempre più aggressivo. Come faremo a ridurre il numero di persone malnutrite nel mondo (vedi Figura 2), in un periodo in cui l’agricoltura delle aree dei principali paesi produttori di grano (gli Stati Uniti, Australia, Cina, Russia) è colpita da siccità e caldo senza precedenti, possibile conseguenza del cambiamento climatico?

 

Dal 2008 in poi diversi relazioni e pubblicazioni scientifiche hanno cercato di individuare le cause dell’aumento dei prezzi del cibo, proponendo anche possibili soluzioni. Per capire lo stato delle cose, è fondamentale analizzare criticamente il modo in cui è stato affrontano il problema e soprattutto indagare sul ruolo che l’agricoltura riveste in ognuna delle loro analisi. Fra i documenti presi in esame in questa conferenza ci sono quelli che originano dalla International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development (IAASTD, Agriculture at the Crossroads, 2009) e il Forum Economico Mondiale (Realizing a New Vision for Agriculture, 2011).

 

La relazione dell’IAASTD, per esempio, dà enfasi ai diversi ruoli dell’agricoltura nellaSchermata 2013-07-10 alle 10.21.43 riduzione della povertà e della disuguaglianza, nel frenare la degradazione ambientale e nel mitigare il cambiamento climatico. Riconosce l’importanza di una produzione agricola diversificata che si basa su metodi agro-ecologici già utilizzati dai piccoli agricoltori, che assicurano una ritrovata stabilità di sostentamento, e allo stesso tempo contribuiscono ad una varietà di beni pubblici, come l’assorbimento del carbonio e la conservazione della biodiversità, oltre all’offerta di cibo. Per l’IAASTD, “il business tradizionale non è più un’opzione”.

 

La relazione del Forum Economico Mondiale, risultato di un processo guidato da 17 delle più grandi aziende agro-alimentari del mondo, come Unilever, Nestlè, Coca-Cola, Kraft Food, fornisce una visione abbastanza diversa delle prossime sfide. Per queste grandi multinazionali, il cibo fa parte di un sistema globale di produzione e consumo. Secondo loro esiste una crescente domanda di cibo – inclusi “più prodotti a sfruttamento intensivo di risorse come la carne e latticini” – per una popolazione mondiale in crescita. Il ruolo dell’agricoltura è “nutrire e alimentare l’attività umana”, e quindi deve essere guidata dall’innovazione e dall’impiego delle migliori tecnologie disponibili. La strategia di queste aziende è quella di avere un controllo sempre più ampio sui semi: Monsanto ad esempio, fra il 1996 e il 2008 ha acquisito migliaia di piccole aziende produttrici di semi, così come in forma minore, Dupont, Syngenta e Bayer. Il dibattito apre un’ulteriore parentesi sulla modificazione genetica del cibo. Queste aziende hanno costruito veri e propri imperi del cibo.

 

cornLa conferenza esamina i fattori chiave alla base della volatilità dei prezzi. Da un lato c’è la speculazione finanziaria, che dal 2008 in poi, ha investito sui beni agro-economici, dall’altro c’è la diminuzione degli investimenti in agricoltura, che ha portato, ad esempio, al calo delle riserve di grano dagli anni 70 ad oggi. Il motivo va ricercato anche nel fatto che buona parte del cibo coltivato, come il mais, viene utilizzato per produrre energia.

 

La stessa energia, e la forte interconnessione che esiste fra essa e la produzione di cibo è un’altra causa della volatilità dei prezzi, ma anche del rischio che facciamo correre all’ambiente. Pensiamo al biodiesel: viene ricavato dall’olio di palma e se ne incrementiamo il consumo, in Malesia, si rischia la deforestazione.

 

In sintesi le cause della volatilità dei prezzi sono da ricercare nella mutevolezza della domanda di cibo con un aumento del consumo di carne; il legame fra prezzi ed energia; la speculazione finanziaria sul mercato dei beni; un ridotto investimento pubblico nell’agricoltura ed i probabili effetti del cambiamento climatico. Le evidenze portano a dedurre che l’epoca del cibo economico – che ha caratterizzato l’ultimo mezzo secolo – ormai sta finendo e che noi siamo, infatti, ad un bivio e alla scelta tra due percorsi diversi.

 

Una possibile strada, fortemente sostenuta dalle 17 aziende agro-alimentari al Forum Image15Economico Mondiale, è il modello “produttivista” che ripone le speranze nelle tecnologie “panacea”, come l’ingegneria genetica per produrre più cibo. Questo percorso non offre nessuna soluzione per ridurre il numero di affamati il cui problema è l’accessibilità alle scorte alimentari, non la mancanza di disponibilità (attualmente produciamo abbastanza cibo nel mondo per dare da mangiare a 10 miliardi di persone). Inoltre, questo percorso – che ha posto l’enfasi sull’aumento della produzione di cibi di basso costo e altamente lavorato – ha contribuito alla diffusione epidemica e globale dell’obesità (1.9 miliardi circa di persone nel mondo sono considerate sovrappeso o obese). L’altra strada, invece, potrebbe originarsi dall’impegno per il rispetto dei diritti umani al cibo, inteso come sicurezza nutrizionale. L’enfasi in questo caso è sul bisogno e sul benessere, sostenuto da una dieta diversificata e di qualità, e non solamente basata sull’abbondanza. Questo approccio è sostenibile e riconosce che imporre una dieta sana per tutti richiederà dei cambiamenti fondamentali nel sistema alimentare, ma anche nel modo in cui noi concepiamo il diritto di mangiare cibi come la carne ad ogni pasto.

 

Il sistema economico globale promuove da lungo tempo politiche condizionate dalle esportazioni, che hanno creato in molti paesi dipendenza dalle importazioni e vulnerabilità alimentare. Di conseguenza, si potrebbe sostenere che i paesi dovrebbero lavorare sulla sovranità alimentare nazionale, piuttosto che affidare il controllo ai privati che non fanno che sfruttare il mercato del cibo, e concentrarsi sull’incremento della domande interna, entro i limiti ecologici imposti dai loro territori. Creare una futura sicurezza alimentare per tutti richiederà una nuova visione, ma dovrà essere basata sull’imperativo della sostenibilità. Come ha fatto notare José Graziano da Silva, il Direttore Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, “cambiare quello che mangiamo, come mangiamo e quanto mangiamo è essenziale per la sostenibilità”.

Timelapse 1984-2012: i cambiamenti globali

di Dario Piselli, coordinatore Greening USiena

 

Cogliamo l’occasione offertaci dalla pubblicazione dell’impressionante progetto congiunto realizzato da Google EarthNational Aeronautics and Space AdministrationU.S. Geological Survey (USGS) e TIME, per condividere anche con i lettori del nostro sito le immagini in timelapse dei cambiamenti avvenuti sulla terra negli ultimi trent’anni.

 

Timelapse è per l’appunto il nome del lavoro in oggetto: si tratta, in sostanza, di una mappa diacronica che mostra l’impatto visibile delle attività antropiche(deforestazione, sviluppo urbano e costiero, irrigazione, cambiamenti climatici) sugli ecosistemi, sull’ambiente e sulla geografia stessa del nostro pianeta nel corso del periodo 1984-2012, ottenuta grazie alla diffusione su internet, curata da Google Earth, dell’immenso archivio Landsat, composto da milioni di immagini satellitari raccolte sin dagli anni settanta da una missione congiunta NASA-USGS.

 

Poche campagne, nella convinzione di chi scrive, hanno avuto un potenziale così elevato a livello comunicativo: ‘sorvolare’ attraverso il tempo l’Antropocene in cui viviamo significa infatti ampliare l’orizzonte, purtroppo spesso limitato, con cui l’opinione pubblica osserva i cambiamenti globali, e rappresentare tale environmental change in tutta la sua drammatica portata. Per utilizzare le parole di Rebecca Moore, engineering manager di Google Earth Engine & Earth Outreach, “much like the iconic image of Earth from the Apollo 17 mission—which had a profound effect on many of us—this time-lapse map is not only fascinating to explore, but we also hope it can inform the global community’s thinking about how we live on our planet and the policies that will guide us in the future”.

 

Vi lasciamo adesso alle fotografie in formato GIF, comunque non senza prima avervi suggerito di leggere l’affascinante articolo di approfondimento sul sito del settimanale TIME, che trovate a questo indirizzo: http://world.time.com/timelapse/.

 

Columbia Glacier Retreat

 

1. Il Columbia Glacier, situato nello stretto del Principe William (Alaska), dalla sua scoperta (nel 1794) fino al 1980 non si era praticamente mai mosso. Da allora ha iniziato a ritirarsi. Ad un certo punto, nel 2001, il ghiacciaio perdeva estensione ad una velocità stimata di 30 metri al giorno. Ad oggi, i ghiacci si sono ridotti di circa 20 km in lunghezza e 400 m in spessore.

 

 

Dubai Coastal Expansion

 

 

2. Alla metà degli anni ’80 Dubai era una città di circa 300.000 persone. Oggi ne conta più di 2 milioni ed è la capitale finanziaria del Medioriente. Non è semplicemente cresciuta nel deserto, ma attraverso isole artificiali ha addirittura iniziato ad espandersi sul mare.

 

 

 

Lake Urmia Drying Up

 

 

3. Il Lago Urmia, seppur protetto dal Dipartimento dell’Ambiente iraniano, si sta prosciugando ormai da tempo (si stima che abbia perduto il 60% delle dimensioni originarie). Se il trend continuerà, diverrà presto una palude salmastra con livelli di salinità estremi. L’Iran ha recentemente annunciato un accordo con l’Armenia per ‘importare’ acqua con cui combattere il declino del lago.

 

 

Las Vegas Urban Growth

4. Prima di Dubai, un’altra città si è sviluppata nel deserto (con enorme consumo di risorse idriche a danno del vicino Lago Mead, il quale si riduce proporzionalmente all’urbanizzazione): è Las Vegas, la cui popolazione è cresciuta del 50% dal 2000 al 2010, per poi conoscere un improvviso boom di sfratti dovuti alla crisi dei mutui subprime.

 

 

Saudi Arabia Irrigation

 

 

 

5. I sistemi di irrigazione hanno trasformato le sabbie dell’Arabia Saudita in un’oasi artificiale, un paradiso per le attività agricole. A quale prezzo in termini di consumo di acqua e di energia?

 

 

 

 

 

Wyoming Coal Mining

 

 

6. Le miniere a cielo aperto stanno conoscendo un’espansione senza precedenti in Nord America, a causa dell’aumento del prezzo del petrolio. Che si tratti delle sabbie bituminose dell’Alberta o dell’estrazione di carbone in Wyoming, quello che colpisce è la velocità della devastazione ambientale.

 

 

 

 

Brazilian Amazon Deforestation

 

7. Lo stato di Rondonia, nel nord-ovest del Brasile, è situato nel cuore dell’Amazzonia ed una volta ospitava quasi 50 milioni di acri di foresta pluviale incontaminati. Oggi, è una delle zone più pesantemente soggette a deforestazione. Circa 65.ooo km quadrati di foresta sono scomparsi dal 1978 al 2003.

 

Il saluto del Rettore Angelo Riccaboni

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Sono lieto di poter inaugurare questa preziosa collaborazione con Rinnovabili.it proprio nei giorni in cui la nostra comunità universitaria è coinvolta nel lancio delle attività mediterranee del progetto  delle Nazioni Unite denominato UN Sustainable Development Solutions  Networkhttp://unsdsn.org.

 

L’attenzione alla sostenibilità è presente da sempre nelle attività scientifiche e didattiche del nostro Ateneo; l’onore di essere individuati centro di riferimento, per l’area del Mediterraneo, di una rete mondiale costituita sotto l’egida delle Nazioni Unite per promuovere il dibattito scientifico, le attività formative e l’adozione di soluzioni in grado di promuovere percorsi di sviluppo sostenibili aggiunge entusiasmo e stimola la sempre più necessaria interdisciplinarietà.

 

Al fine di costituire il Mediterranean Sustainable Development Solutions Network riccaboni_sachs(http://www.medunsdsn.unisi.it/) stiamo raccogliendo le adesioni e i contributi da parte di molti e qualificatissimi interlocutori di tutti i paesi del Mediterraneo che hanno deciso di unirsi a noi in un’avventura che è appena all’inizio. Sono i rappresentanti di istituzioni, università, imprese, organizzazioni della società civile, di oltre venti Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum, accumunati da una missione, semplice quanto appassionante: contribuire a salvaguardare il futuro delle nostre comunità. Per raggiungere un obiettivo così importante e così ambizioso, tutte le iniziative sono preziose. Per questo motivo, grazie alla disponibilità di Rinnovabili.it, abbiamo deciso di dare un contributo collettivo, da parte di esperti e studenti dell’Ateneo senese impegnati nelle diverse discipline. Ai lettori il giudizio su questa proposta. Da parte nostra assicuriamo l’entusiasmo e la motivazione che solo trattare di un mondo più sostenibile può fornire.

 

ANGELO RICCABONI, Rettore

 

REFERENTI DEL BLOG:

Dario Piselli (Greening USiena)

Prof.ssa Cristina Capineri (Ne.S.So.)

USiena celebra l’Earth Day

Senzanome1

Il 22 aprile di ogni anno, come probabilmente saprete, si celebra la Giornata Mondiale della Terra, ricorrenza nata nel 1970 come evento educativo sui temi ambientali (un cosiddetto teach-in) grazie alla volontà dell’allora senatore americano Gaylord Nelson e divenuta nel 2009 una international occurrence riconosciuta dalle Nazioni Unite come International Mother Earth Day. Le ragioni di questa celebrazione sono, nelle parole dell’ONU stessa, “il riconoscimento del fatto che il pianeta ed i suoi ecosistemi forniscono ai suoi abitanti la vita ed il sostentamento, nonché la presa di coscienza dell’esistenza di una responsabilità collettiva di promuovere un’armonia con la Terra e la natura, al fine del raggiungimento di un equilibrio tra i bisogni economici, sociali ed ambientali delle generazioni presenti e quelli delle generazioni future”.

 

Il tema scelto per il 2013 dall’Earth Day Network, l’organizzazione mondiale incaricata di gestire l’appuntamento, è  ‘The Face of face-of-climate-changeClimate Change‘; si tratta di una decisione dettata dalla natura multiforme dei cambiamenti climatici, ed in particolare dalla capacità degli stessi di avere un impatto non solo sulla distribuzione geografica dell’uomo (grazie all’incidenza dell’innalzamento del livello dei mari e degli eventi meteorologici estremi) e sulla sicurezza alimentare nei paesi in via di sviluppo, ma anche sulla biodiversità, sulla scomparsa degli habitat e sulle risorse naturali da cui tutte le specie dipendono. In altre parole, per quanto il climate change ci sembri un fenomeno vago ed oscuro, del quale fatichiamo a capire con pienezza le cause, questo invece influisce pesantemente sulla vita sul pianeta, e non tanto per il ‘semplice’ incremento delle temperature globali, quanto piuttosto per le conseguenze chimiche e fisiche che tale incremento scatena all’interno del sistema vivente; e dovrebbe essere un obiettivo di tutti operare per invertirne la rotta.

 

Anche l’Università degli Studi di Siena decide quest’anno, grazie al crescente interesse della sua comunità ed all’impegno che Greening USiena, Ne.S.So., Uni.D.E.A. e tutto il personale coinvolto hanno profuso nel progetto USiena Sostenibilità, di celebrare l’evento, cambiando per la giornata del 22 la cover del profilo facebook di ateneo ed inviando a tutti gli studenti ilAR_2011_cover_350 Footprint Calculator, un quiz accessibile dal sito dell’Earth Day Network che consente di determinare, attraverso l’inserimento delle proprie abitudini quotidiane, l’impatto che ciascuno di noi esercita sul nostro pianeta e sulle sue risorse naturali (perché, non dimentichiamolo, anche se il climate change non facesse così paura sarebbe la nostra folle corsa al consumo delle risorse stesse a minacciare comunque la biosfera -vedi il pdf alla fine dell’articolo). Tutti noi ci auguriamo inoltre che queste piccole iniziative possano servire, per il maggior numero possibile di soggetti facenti parte della comunità universitaria, come un’occasione di approfondimento nei confronti delle problematiche inerenti al tema della sostenibilità ambientale e sociale (problematiche che l’ateneo continua a mettere al centro della propria azione presente e futura, anche attraverso il coinvolgimento nel progetto MED SDSN e gli interventi sulle strutture universitarie in corso di definizione), ed incoraggiamo quindi chiunque voglia celebrare allo stesso modo la ricorrenza di domani ad intraprendere azioni individuali o collettive che possano avere un’influenza positiva sulla realtà che lo circonda, magari condividendo con noi le proprie esperienze. Buona Giornata della Terra.

 

Università di Siena: un Orto Botanico sostenibile

di Ilaria Bonini e Stefano Loppi

(Dipartimento di Scienze della Vita)

 

Non sono i piani industriali o economici che possono far acquisire nuove abitudini e nuovi orto1comportamenti per una reale sostenibilità, ma la conoscenza e la consapevolezza individuale. Per questo, per mettere in grado le persone di scoprire e comprendere la natura e l’interdipendenza tra problemi energetici, ambientali, sociali ed economici, occorre sviluppare nuove metodologie didattiche e interdisciplinari che contengano una visione olistica e una dimensione globale.

 

In questo contesto si inserisce il progetto finanziato dal Ministero dell’Istruzione,dell’Università e della Ricerca, che si sta realizzando nell’Orto Botanico dell’Università di Siena: i percorsi educativi, oggetto di visita da parte di cittadini, scolaresche e turisti, sono collegati alla sostenibilità ambientale e mostrano i vari interventi tecnici effettuati per ottenere, in una struttura pubblica, un uso razionale della risorsa idrica e il recupero dei rifiuti organici.

 

Nell’Orto sono presenti una fonte antica e un pozzo artesiano che riescono a soddisfare la maggior parte delle necessità idriche. Tuttavia, anche in condizioni ordinarie, una parte orto3delle piante viene innaffiata con l’acqua proveniente dall’acquedotto comunale. Tale utilizzo da oggi sarà evitato poiché il recupero dell’acqua piovana – ottima per annaffiare le piante più sensibili – e la realizzazione di un impianto automatizzato di irrigazione a goccia, garantiscono l’ottimizzazione dell’utilizzo e la minimizzazione degli sprechi.

 

La presenza della vita sulla terra dipende anche dalla combinazione che si realizza tra i flussi naturali dell’energia e dei materiali e in questo conteso il riciclo dei materiali di scarto riveste un aspetto estremamente importante.

 

Nell’Orto Botanico viene effettuato il recupero dei rifiuti organici e viene autoprodotto compost di qualità che viene poi utilizzato per le operazioni routinarie di rinvasatura e messa a dimora di nuove specie.

 

Il prossimo step sarà rivolto all’uso della fonte energetica inesauribile (almeno alla nostra orto2scala) per definizione: il sole. La realizzazione di impianti per per la produzione di elettricità per le pompe idrauliche e per la produzione di acqua calda per il riscaldamento delle serre chiuderanno il ciclo.

 

Questi interventi saranno esposti al pubblico tramite apposita cartellonistica, a testimonianza della strada intrapresa dall’Università di Siena per la sostenibilità ambientale. Particolare attenzione sarà dedicata al ciclo del carbonio, al ruolo della fotosintesi e ai quantitativi di CO2 assorbiti dalle piante e risparmiati con l’utilizzo dell’energia solare, in modo da evidenziare i rapporti tra i cicli biogeochimici e il mondo socio-economico.

 

A look at CITES’ procedures and effectivity (part I)

Given that one of the most incendiary CITES meeting ever took place in Bangkok just last month, an in-depth look is needed in order for the public opinion to have a clear picture of how the conservation measures adopted by the Plenary could influence the international trade of those species that have been driven on the brink of extinction by their economic value and to better understand if the Convention’s procedure for listing really helps science-based arguments prevail over special interests. This is not merely a ‘policy’ issue, but rather an environmental one, since CITES’ positions reflect the stance of the entire international community coming down to the very survival of endangered species and given that a better implementation mechanism could achieve dramatic success and prevent an excessive exploitation of earth’s natural resources and biodiversity. As it happens with other intergovernmental bodies and conventions, in fact, control over the implementation of undertaken measures is the more difficult part to address in the whole process, especially considering that it is alternatively conducted at the national level (thus providing the means for unwilling countries to ‘escape’ commitments), too undetermined and ‘international’ (thus requiring mutual agreements between the involved States) or even almost impossible to monitor due to intrinsic reasons (think of high-seas and IUU -illegal, unreported, unregulated- fishing, for instance).

 

Before starting to address CITES’ procedures and the enforcement of its conditions, however, I should provide readers with a basic framework of the treaty’s operation, as well as with a few data on the international wildlife trade total volume and its impact on biodiversity and the environment.

 

In 2009, the estimated global imports value was over USD323 billion, and this figure excludes the vast and unregulated market of china-internet-wildlife-crackdownillegal wildlife trade, which -according to multiple sources- accounts for several billion dollars as well1. Wildlife trade, even the one that takes place within national borders, finds its primarymotivating factor in profit, ranging from local and small-scale activities (in the Fiji, those involved in the collection of marine specimens can expect a monthly income of USD452, compared to an average wage of USD502) to multinational companies and smugglers, and is driven by the global demand of food, healthcare (and not just traditional medicine), clothing, sport trophies, fuel, building materials and so on. In other words, there is good possibility everyone of us is involved in at least one aspect of the international wildlife trade (think of the timber used to make your floor or roof, which also has a 30% chance of coming from illegal logging3), most of the time without even knowing about it.

 

Given the size of wildlife products’ global market, it almost sounds obvious to say that wildlife trade accounts for a big part of the loss of world’s biodiversity, sometimes making pair with climate change, habitat loss and pollution. This kind of loss is not only threatening the survival of endangered species (which, if seen on moral grounds, could be a concern itself), but also putting food security and the income means of poor countries in jeopardy, as well as contributing to the environmental crisis (by both altering the ecosystems’ equilibria and using unsustainable methods to collect wildlife) and stealing natural resources’ sovereignty.

The Convention on the International Trade of Endangered Species (CITES) is an international treaty which was originally signed in 1973 to take a strong, worldwide stand against wildlife over-exploitation. In many ways, it can be said that it has achieved moderate success in the protection of world’s most endangered animals and plants but, on the other hand, fallacies are still present in its listing procedure and in the enactment process, and it is those fallacies that need to be addressed in order to improve the conservation status of many species which have seen their numbers shrink, almost to the point of extinction, in the last few years.

 

CITES operates by inserting endangered wildlife in the treaty’s three appendices, which amount to different protection levels; today I am jaglogabout to discuss the first two of them. Appendix I encompasses “all species threatened with extinction which are or may be affected by trade” (about 1200), including jaguars (panthera onca), tigers (panthera tigris), many species of whales, primates, birds and so on; for these plants and animals, international trade can be authorized just for non-commercial purposes, where the term ‘authorization’ refers to the possession of export and import permits granted by Scientific and Management Authorities of the involved states. Trade in the Appendix II species has to obey to much less stringent rules instead, as commercial purposes are permissible and an import certificate is not required; this appendix shall include “all species which although not necessarily now threatened with extinction can become so unless trade in specimens of such species is subject to strict regulation in order to avoid utilization incompatible with survival”4.

 

That said, it is relatively easy to understand why, without a a science-based listing procedure and a sound, national monitoring over the implementation of trade restrictions, inserting a species into one of the treaty’s appendices can be largely irrelevant, especially in those cases where the interaction of habitat loss and poaching (i.e.: tigers or rhinoceros are still critically endangered despite being listed in the Appendix I) or a single country’s bias (i.e.: China and Japan’s behavior towards shark and whale conservation ismanta_gillsinfluenced by the economic value of their market) represent insurmountable obstacles to international law and its implementation. The Bangkok meeting having been incensed for the inclusion of five sharks species, manta rays and some hardwood trees species in CITES’ Appendix II, public opinion and governments should be aware that its landmark votes are just the beginning of a path, and not the final result of the protection process, which needs to be strictly overseen and assisted by seizures, sanctions, national policies and transnational anti-crime operations in order to be effective. Looking at the global picture, and considering that a) up to 100 million sharks get killed each year5, b) around 3,300 manta rays endure the same destiny (primarily for their gill rakers)and c) as I noted earlier, 30% of world timber imports is likely to come from illegal logging, effectivity is definitely the key word in this field.

 

(end of part one)

 

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TRAFFIC, http://www.traffic.org/trade/
TRAFFIC, Dispatches No.23, February 2005, p.4
UNEP, Green Carbon: Black Trade Report
CITES, Convention Text
Boris Worm et al., Global catches, exploitation rates, and rebuilding options for sharks (2012)
Damian Carrington, Manta Rays: how illegal trade eats is own lunch (The Guardian, 05.03.2013)

 

Other references

 

T.Gehring and E.Ruffing – When Arguments Prevail Over Power: The CITES Procedure for the Listing of Endangered Species (2008)

 

Bowman, Davies, Redgwell – Lyster’s International Wildlife Law (2010)