Le nuove dittature vestite da democrazia diretta

1280px-Dr_Jekyll_and_Mr_Hyde_posterLa civiltà, benché possa portare lungo i millenni, attraverso il mutare degli stili di vita, delle modifiche adattive della specie umana, tuttavia non è iscritta nel DNA. La civiltà è fatta di valori tramandati attraverso gli strumenti della cultura, valori spesso in contrasto con le reazioni istintuali del nostro essere animali, valori contenuti nelle carte costituzionali delle democrazie moderne e nei documenti fondanti dell’ONU, che fanno tesoro anche delle più recenti drammatiche vicende della storia. Per esempio, una delle sue più alte espressioni è la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, tanto disattesa anche nelle più avanzate democrazie. Analogamente la appartenenza ad una comunità nazionale, sempre gerarchicamente sottoposta all’appartenenza alla famiglia umana universale di cui sono sanciti i diritti nella sopra citata Dichiarazione, non è un fatto genetico né semplicemente di nascita, ma di cultura, di conoscenza ed accettazione della storia, che oggi si direbbe multi-etnica, e delle stratificazioni culturali del nostro paese. In base a ciò molti nostri concittadini da diverse generazioni residenti sul territorio italiano, sono oggi così lontani dai valori storici e culturali del nostro paese da dover loro revocare, se si potesse, la cittadinanza.
La degenerazione politica, non solo italiana, di questi ultimi decenni, nasce da un presupposto diametralmente opposto a quello valoriale: “va fatto ciò che la maggioranza dei cittadini ritiene giusto fare”. A prima vista questo sembrerebbe un principio condivisibile nella sua ovvietà, ma a ben vedere contiene un virus mortale per la democrazia, trascinandola nella dittatura tecnocratica. Questa logica, infatti, rende possibile qualsiasi cosa intorno alla quale si costruisce un consenso maggioritario, a prescindere da qualsivoglia principio etico o diritto minoritario e individuale. Lungo questa via la storia recente della nostra Repubblica dimostra come il potere politico sia passato dalle mani, spesso indegne, di cittadini scelti attraverso libere elezioni in cui tutti i concorrenti si supponeva avessero le stesse opportunità di competere, ai costruttori del potere mediatico, prima la televisione e poi i social network, finendo quindi in balìa di veri e propri fabbricanti del consenso, manipolatori della realtà, che godono ormai di strumenti potentissimi su cui far leva, quali i continui sondaggi ed un’infinità di dati raccolti più o meno lecitamente dagli operatori del web.
Siamo ormai già agli albori di una nuova forma di dittatura, neo-totalitarismo che si serve di strumenti assai più potenti di quelli in mano ai dittatori del passato, ipocritamente definita “democrazia diretta” lasciando intendere che ognuno possa partecipare ad orientare il mondo verso ciò che tutti desiderano. Di fronte alla crisi economica che ha portato la convergenza dei partiti politici tradizionali verso il primato dei valori del mercato sui valori della cultura e dei diritti umani, è stato fin troppo facile per i manipolatori del consenso presentarsi come portatori della “democrazia diretta”, mediata dal web e spacciata per “democrazia partecipata”. Ma ben conosciamo la fragilità umana davanti al web, in cui ci specchiamo nel nostro crudo individualismo, come dimostrano la violenza, la reazione istintiva senza riflessione, l’espressione della peggiore aggressività, la disumanità, che lo inondano; perversioni di persone insospettabili quando lontane dalla tastiera. L’essere umano emerge nel confronto diretto con l’altro, che suscita con le sue reazioni nel dialogo la riflessione che ci fa restare nei binari della civiltà. Tutto questo viene annullato nella estranea e lontana vicinanza virtuale dei social network, che garantiscono un filtro di anonimato che ci trascina verso la primitiva violenza di tanti novelli Mister Hide.
Fermiamoci finché siamo in tempo, prima che tornino forche e campi di sterminio, prima che alla devastazione fisica e biologica della biosfera si affianchi la devastazione morale dell’umanità.

La città futura in un mondo che cambia

SAO PAULO TURNS 450Nel 2014 il 54% della popolazione mondiale viveva in aree urbane; si prevede che nel 2050 la percentuale di persone che vivranno nelle città aumenterà al 66%, e ciò significa che circa 2,5 miliardi di persone nei prossimi 30 anni andranno a vivere nelle città e questo fenomeno interesserà principalmente l’Asia e l’Africa, ma anche le città europee alle quali si rivolgono masse crescenti di profughi per motivi bellici, ambientali ed economici. Si prevede che entro il 2050, 250 milioni di persone lasceranno la loro terra a causa di avversi cambiamenti climatici. I nuovi cittadini si ammassano in periferie dormitorio, dove la marginalità è nelle distanze e nelle strutture urbane disordinate, senza spazi di socialità, senza alcuna indulgenza al bello che possa ostacolare le funzionalità di uno sfruttamento degli spazi orientato alla speculazione fondiaria. Manca una visione, una utopia, una idea della città futura. Senza una visione da realizzare resta un elenco di problemi e soluzioni che difficilmente porteranno alla costruzione di una città sostenibile.
La dispersione urbana verso le aree periferiche produce anche un altro fondamentale passaggio culturale: la città storica, con le sue strade strette e le sue piazze, un tempo luogo di socialità diviene un ostacolo da attraversare, un enorme parcheggio di auto, uno spazio disumanizzato.
Eduardo Galeano, scrittore uruguaiano scomparso nell’aprile di tre anni fa, così descrive il primato dell’automobile sull’uomo nelle città di oggi:
Sono le cocche di casa. Sono ghiottone, divorano petrolio, gas, mais, canna da zucchero e qualsiasi altra cosa. Sono padrone del tempo umano, dedicato a lavarle e a dargli cibo e protezione, a parlare di loro e a spianargli strade.
Si riproducono più di noi, e sono ormai dieci volte più numerose di mezzo secolo fa.  Uccidono più gente delle guerre, ma nessuno denuncia le loro uccisioni, e men che meno i giornali e i canali televisivi che vivono della loro pubblicità.
Ci rubano le strade, ci rubano l’aria. Se la ridono quando ci sentono dire: guido io.”
E allora la città futura rischia di diventare uno spazio malamente organizzato, dove le differenze non si integrano, le tensioni non si risolvono, ma vengono semplicemente controllate da un sistema di regole e di standard: isole di ordine formale e strutturale realizzato a scapito di un crescente disordine sociale ed ecologico. E’ il frutto di un approccio che Papa Francesco chiama “paradigma tecnocratico” che rischia di portare la tecnica a rivolgersi contro l’uomo piuttosto che operare per il suo bene.
La Nuova Agenda Urbana delle Nazioni Unite, approvata a Quito nell’ottobre del 2016, riconosce che la cultura e la diversità culturale sono fonti di arricchimento per l’umanità e forniscono un importante contributo allo sviluppo sostenibile delle città, degli insediamenti umani e dei cittadini, rafforzandoli nell’avere un ruolo attivo ed unico nelle iniziative di sviluppo; inoltre riconosce che le culture dovrebbero essere prese in considerazione nella promozione e nell’applicazione di nuovi modelli di consumo e di produzione sostenibili che contribuiscano ad un uso responsabile delle risorse e affronti l’impatto avverso dei cambiamenti climatici.
Nel 2050, quando il riscaldamento globale sarà in una fase cruciale, 6 miliardi di persone vivranno in aree urbane; 6 miliardi di persone che possono fare la differenza fra una catastrofe ed un atterraggio leggero.
E’ allora necessario:

  • Costruire una realtà urbana policentrica dove la bellezza non sia una esclusiva del centro storico
  • Umanizzare le periferie creando spazi di incontro e socializzazione
  • Promuovere la responsabilità sociale e la cultura della condivisione
  • Attuare iniziative di democrazia partecipata per la riqualificazione urbana
  • Offrire un ruolo sociale attivo alle categorie più svantaggiate ed ai rifugiati
  • Ricostruire un legame funzionale fecondo fra città e campagna
  • Realizzare green-communities nei centri rurali organizzati secondo i principi dell’economia circolare a zero emission di carbonio
  • Fare delle periferie urbane aree carbon free, attraverso l’auto-produzione energetica e uno stretto legame con le aree rurali prossime per l’approvvigionamento di acque pulite e cibo a chilometro zero
  • Proteggere le popolazioni dalle grandi catastrofi provocate dai cambiamenti climatici

Forse questa è un’utopia, ma senza un sogno, un’utopia l’uomo può solo ripetere se stesso e ciò che è stato, finisce il progresso, la civiltà si spegne sotto il peso dei suoi errori. Galeano ci insegna l’importanza dell’utopia:
“Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non lo raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare.”

La fabbrica di sogni infranti

on-the-truman-showE’ passata l’epoca in cui, fra monarchie assolute, dittature e soprusi coloniali, il grande sogno era la democrazia. Nell’accezione liberista essa trovava la sua massima espressione nella libertà di mercato garantita dalle regole del commercio e dai centri di controllo e regolazione finanziaria, che avrebbe garantito a tutti, sebbene in diversa misura, opportunità di successo; che anzi trovava nelle disuguaglianze e nella spinta a migliorare la propria posizione sociale il motore di sviluppo e progresso
Nella accezione socialista, la democrazia si configurava invece nel potere al popolo, o diretto, senza cioè la mediazione di organi rappresentativi, cioè la versione anarchica, o attraverso un sistema complesso di rappresentanza (burocrazia) che avrebbe trasmesso fino ai livelli decisionali le istanze del popolo, la versione socialista o comunista.
Perdonatemi per la banalità della sintesi, volta a dire che la democrazia, nelle sue diverse concezioni, era per tutti il sogno da realizzare. Attraverso la lenta affermazione ottocentesca della democratizzazione dei regimi, le due concezioni di democrazia divennero due sogni distinti e contrapposti, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale che aveva visto la vittoria degli stati democratici sulle dittature nazi-fasciste e sulle residue monarchie assolute e imperiali.
Guardando alla situazione politica attuale, nel mondo ed in Italia, viene da chiedersi se c’è ancora spazio per sognare. In Italia i partiti attuali hanno ereditato il meccanismo dei sogni come strumento per la costruzione del consenso, arricchito e potenziato enormemente dagli strumenti tecnologici e psicologici sempre più raffinati messi a punto dal sistema consumista per seminare il desiderio di qualsiasi cosa, anche di quella più assurda o nociva, facendola percepire come elemento essenziale di felicità o di inclusione sociale.
Ma come il consumismo costruisce desideri effimeri, che presto si attenuano, perdono di fascino, fino a svanire per essere sostituiti da nuovi, altrettanto fa la politica. Escluse le ideologie, che costituiscono una limitazione del campo di azione (“destra e sinistra non esistono più”, “tanto sono tutti uguali”, ecc.), diventa facile costruire il consenso sui sondaggi del giorno, concepiti come ricerca di mercato: un consenso “usa e getta”.
Nelle difficoltà di un sistema economico che si regge ormai solo su parametri finanziari oggi lamentiamo una crisi di crescita economica mentre invece il PIL mondiale è 70 volte più alto di quello che era negli anni ’60. Il sistema economico, svincolato dalla realtà planetaria che vede all’orizzonte ormai prossimo, cambiamenti climatici devastanti, perdita di biodiversità ad una velocità che fa prospettare una estinzione di massa come quella che 66 milioni di anni fa portò alla scomparsa di oltre il 75% delle specie viventi, 200 milioni di persone nei prossimi 30 anni fuggiranno da aree divenute inabitabili. Il sistema ormai ottiene i suoi modesti successi contabili solo aumentando le disuguaglianze e l’esclusione sociale, in un mondo dove la metà della popolazione vive con meno di 2,5 dollari al giorno, ed in Italia l’ 1% più ricco detiene il 25% della ricchezza che è pari a 415 volte quella detenuta dal 20% più povero.
In questa realtà piena di insicurezze per tanti, finché si è all’opposizione è facile seminare paure, scatenare guerre fra poveri, o promettere benessere e prosperità attraverso soluzioni semplicistiche del tipo “rimbocchiamoci le maniche e rimettiamo a posto le cose”. Questa ultima campagna elettorale ci ha mostrato come i politici italiani sono abili a creare sogni facili sul nulla e su di essi costruirsi il consenso. Ma è un consenso evanescente, che comincia ad affievolirsi appena il sogno si scontra e si infrange sulla realtà.
La politica deve tornare ad essere l’arte di costruire utopie concrete, scenari futuri da realizzare per un mondo migliore, soluzioni possibili e strade nuove da percorrere una volta entrati al governo. La propaganda politica fatta di promesse confuse e slegate dalla realtà, crea un consenso effimero che lascia presto il posto all’amarezza e alla rabbia della disillusione. Il rischio da evitare è che anche il sogno di democrazia dei nostri nonni perda di fascino e lasci il campo libero alla vittoria dell’economia virtuale materializzando i peggiori incubi che la scienza ha previsto.

L’Italia a tutto gas: i rischi della Strategia Energetica Nazionale

Il contesto.
 concentrazione GHGL’ultimo bollettino della World Meteorological Organization ci dice che la concentrazione di gas serra in atmosfera nel 2016 ha raggiunto le 403,3 ppm, che rappresentano il valore più alto degli ultimi 800.000 anni; voi penserete giustamente che sia una pessima notizia, ma non fatevi illusioni perché c’è ne è una ancora peggiore: la velocità di crescita delle concentrazioni di gas serra negli ultimi 70 anni è stata 100 volte superiore a quella precedente la rivoluzione industriale. Ciò significa, che oltre a correre verso le peggiori conseguenze dei cambiamenti climatici per i prossimi anni, stiamo entrando in una prospettiva climatica di lungo termine che nei prossimi 2 o 3 secoli porterebbe il clima del pianeta indietro di 3 o forse 5 milioni di anni, quando la specie umana non era ancora apparsa nel mondo. Ricordate Lucy, l’Australopitecus Apharensis della Rift Valley? Chiedete a lei come se la passava in un mondo in cui gli oceani erano più alti di 10 o 20 metri rispetto ai livelli attuali. Ancora una volta questi dati confermano che a rischio non c’è qualche territorio ma la stessa civiltà umana che si è sviluppata negli ultimi 12.000 anni di relativa stabilità climatica.
Le risposte deboli del mondo
Fra chi nega il problema e si ritira, come l’amministrazione Trump, fra chi firma gli accordi e poi fa il contrario di ciò che ha firmato, come l’Australia, e chi prende impegni collegiali in sede UE e poi in casa propria ne ostacola il raggiungimento, la politica non sembra in grado attualmente di farsi carico del futuro dell’umanità, di ragionare oltre l’andamento del PIL del prossimo trimestre o al più del prossimo anno. E così, mentre la Germania continua a bruciare carbone pur promettendo il suo abbandono e la Polonia non ci pensa nemmeno a rinunciarvi, la Commissione Europea, continuamente messa in discussione dal crescente sentimento anti-europeista, è l’unica istituzione ad aver definito obiettivi coerenti con il tanto propagandato Accordo di Parigi sul clima: ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di almeno l’80% entro il 2050.
Le risposte rischiose dell’Italia
L’Italia risponde con la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN) che pur confermando l’importanza delle fonti energetiche rinnovabili, ha come pilastro la realizzazione del grande Gasdotto Meridionale, che, attraversando tutto il paese viene proposto strategicamente come strumento per diversificare geopoliticamente le forniture di gas per l’intera Europa.
Certamente il metano, essendo il combustibile fossile a minori emissioni, rappresenta un elemento fondamentale di transizione verso le fonti rinnovabili, ma le quantità di gas trasportato e i prevedibili tempi di realizzazione rendono questa strategia di dubbia efficacia sia nei confronti della questione climatica sia come prospettiva economica. E’ una strada molto azzardata per i seguenti motivi.
La fase di realizzazione di questa opera, comportando l’impiego di grandi quantità di acciaio e cemento, causerà una aumento delle emissioni gas serra che andrebbero contabilizzate in termini di tempi di ammortamento in un bilancio climatico. Tali tempi si aggiungeranno ai tempi di realizzazione, e quindi i supposti benefici climatici arriveranno certamente oltre il 2030, anno in cui le emissioni europee dovrebbero essere ridotte del 40%. Supponiamo che tale obiettivo venga comunque raggiunto con qualche anno di ritardo, in tempi ristrettissimi (2050) l’Europa dovrebbe raggiungere il ben più stringente obiettivo di una riduzione di gas serra dell’80%. Ciò potrà esser fatto azzerando l’uso del carbone e sostituendo progressivamente il metano con fonti rinnovabili. Quindi quest’opera dovrà entrare in una fase di progressivo declino, non appena comincerà a produrre dei risultati positivi.
Sembra proprio che i tempi della politica e dell’economia, che facendo capo a scelte umane sono modificabili, non riescano a sincronizzarsi con la realtà dei fenomeni fisici che si svolgono sul nostro pianeta, e che viaggiano a velocità molto elevate verso la catastrofe climatica irreversibile.
Non ci resta che sperare in una svolta responsabile dell’atteggiamento politico durante gli incontri (COP 23) in corso in questi giorni a Bonn.

BUONISTI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI!

Anopheles_gambiae_mosquito_feeding_1354_p_loresQuando 95 anni fa 30.000 fascisti iniziarono a marciare su Roma alla conquista del governo nazionale, nessuno prese la decisione di fermarli, cosa che peraltro sarebbe stata piuttosto facile, mentre la politica si agitava in schermaglie di un epoca segnata dagli enormi problemi lasciati da una guerra conclusa da pochi anni.

Non veniamo certo da una guerra, ma da una grave e lunga crisi economica, da una furia iconoclasta verso partiti ed ideologie che lascia campo libero a qualsiasi strampalata proposta politica e a teorie palesemente false, che trovano campo fertile in larghe fasce di una popolazione disorientata di fronte a fenomeni nuovi come la globalizzazione economica e il concreto affacciarsi sulle nostre coste di quell’enorme mondo di miseria che cresce a poche miglia di mare; un mondo che abbiamo sempre tenuto nascosto dietro una nebbia di stereotipi: ingenuità primitiva, anime pure che vivono in un fantastico mondo incontaminato, uomini selvaggi in armonia con il loro paradiso ecologico. Una nebbia appena scalfita dai racconti dei missionari e delle ONG che al più suscitano qualche piccola somma su un conto corrente che sazia la propria coscienza.

Il vuoto di riferimenti ideologici, creato ad arte e sancito da affermazioni quali “destra e sinistra sono uguali” “i politici sono il vero unico male della società”, “liberiamoci di loro ed avremo risolto tutti i nostri problemi”, nella sua ingenua falsità e banalità, ha fatto presa su un popolo impreparato a fare i conti con la nuova realtà globale ed in oggettiva difficoltà, creando il terreno fertile per seminatori di odio e di paura, che per giustificare le loro idee palesemente razziste e dannose per la democrazia e per lo stato di diritto che è alla base della nostra civiltà, quasi sempre premettono alle loro ignobili falsità, frasi del tipo “io non sono razzista ma…”. L’abitudine di tacciare di “buonismo”, cioè “cultori di buoni e nobili sentimenti” chi non la pensa come loro, è l’unica cosa vera che affermano, ma si guardano bene dal dire che in contrapposizione ad essi loro dovrebbero essere definiti “cattivisti”, cioè “cultori di cattivi ed ignobili sentimenti”. Per dire solo l’ultima di una lunga serie, la tragica morte di una bimba per malaria in un ospedale di Brescia, ci riporta a quel “dagli all’untore” di manzoniana memoria, echi di un passato in cui non si sapeva come combattere la peste. Ora tutti sanno che la malaria si trasmette solo attraverso la puntura della zanzara anopheles. Che qualche zanzara possa viaggiare con i barconi di profughi non si può negare; che un numero infinitamente maggiore di queste zanzare viaggi con le navi da crociera o con i mercantili è altrettanto possibile, che milioni di questi insetti possano raggiungere le nostre coste, trasportate dal vento, in una sola giornata di scirocco è altrettanto possibile; che queste zanzare possano vivere alle nostre latitudini fino a ieri era impossibile, mentre oggi, a causa dei cambiamenti climatici è possibile; anzi già ne è segnalato il ritorno in alcune aree della Sardegna.

Ma anche questo si aggiunge alla lunga sequenza di falsità razziste e “cattiviste”: i migranti “vengono a stuprare le nostre donne” “a rubare il nostro lavoro e le nostre case” ed ora anche “ a portarci malattie infettive”; salvo poi trovare gli stessi “cattivisti” ostacolare la campagna di vaccinazioni obbligatorie decisa dal governo. Tutto fa brodo per ostacolare la legge dello “ius soli” che invece non riguarda in alcun modo i profughi. Ma in un mondo che ha rinunciato a principi e ad ideologie, anche il partito che guida il governo si adegua: guarda i sondaggi e sembra voler rinunciare a questa legge di civiltà.

La civiltà è stata una conquista lunga e faticosa trainata dai “buonisti”, cioè da i cultori delle buone idee e dei buoni principi. La via verso la degenerazione verso l’oscurantismo medioevale e la degenerazione verso  istinti primitivi è molto più facile e veloce.

Ed allora, se oggi i neofascisti 95 anni dopo organizzano una marcia su Roma, non va presa solo come folklore, ma è un altro passo verso la degenerazione della democrazia.

BUONISTI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI!

…e lo chiamano Sapiens

homo sapiensSembra proprio che siamo incapaci di accettare razionalmente una realtà che non vorremmo che fosse vera. Il nostro benessere nasce dal fatto che non abbiamo messo in conto il prezzo da pagare in termini di danni di vario genere alla natura, ed ora il conto ci arriva tutto insieme, molto più salato del previsto; come quelle cartelle esattoriali trascurate che si riaffacciano dopo anni con il loro carico di sanzioni ed interessi. E così ci ostiniamo ad intasare gli spazi delle nostre città con automobili inutilmente ed irragionevolmente sempre più grandi ed ingombranti, rendendole invivibili, ottusamente ipnotizzati da una pubblicità martellante, dal senso di potenza, dal gusto di godere di un ampio spazio confortevole, sottratto alla collettività, come espansione tecnologica del nostro “io” in una città spersonalizzante. Una confortevole corazza che diventa una prigione di egoismo: noi contro tutti, contro la città.
E quando gli scienziati ci dicono, ormai da diversi decenni, che il nostro stile di vita e di consumi e di sprechi ci presenterà nei prossimi anni un conto salatissimo a causa di cambiamenti climatici senza precedenti nella storia dell’umanità, fingiamo di non comprendere, o pensiamo che basti installare una congrua batteria di condizionatori in casa-automobile-lavoro, per poter ignorare le ondate di calore, senza pensare che l’energia spesa per alimentarli aggraverà ulteriormente il problema. Oppure se scarseggia l’acqua, come in quest’estate siccitosa, ci illudiamo che basti fare una buona scorta di bottiglioni di plastica, facendo finta di non sapere che occorre petrolio per produrli e per trasportarli e che tutto ciò aggrava ancora di più il fenomeno. E il razionamento dell’acqua preventivato dalle autorità, comporterà la costituzione di riserve domestiche in secchi, taniche e vasche da bagno, che verranno quotidianamente rinnovate aumentando gli sprechi. E poi ci accorgeremo che gli orti e i campi non si innaffiano con l’acqua in bottiglia, e le produzioni agricole diminuiranno e i prezzi saliranno; qualche economista gioirà perché risalirà l’inflazione che farà circolare più denaro a beneficio del PIL e di nuovi investimenti…ma in cosa se intorno stiamo creando il deserto?
E che dire della ignobile gazzarra che si sta facendo sullo “ius soli” per un pugno di voti che nascono seminando ignoranza e ridicole paure? Gli esperti di clima ci dicono che fra pochi decenni, circa due miliardi di esseri umani migreranno dalle loro terre divenute inabitabili, che questi vivranno principalmente in paesi in via di sviluppo, cioè pagheranno il conto del nostro effimero benessere. Gli scenari climatici più recenti, elaborati dal Ministero dell’Ambiente, ci dicono che fra questi migranti climatici potrebbero esserci anche molti italiani, che fuggiranno da regioni desertificate con lunghi mesi estivi sopra i 40°C. Chi oggi crede di poter respingere con quattro starnazzi politici uno tzunami che monta, guarda alla sua carriera politica e non certo al futuro del mondo e dell’Italia. E che dire dell’aberrante distinzione fra “rifugiati politici” e “migranti economici”? È come dire a questi profughi che se il deserto prodotto dai nostri sprechi di combustibili fossili, per soddisfare la produzione di ogni inutile idiozia e la soddisfazione di ogni stupido sfizio minaccia la vostra sopravvivenza, scatenate una bella guerra altrimenti nessuno vi aiuterà.
E vogliamo ancora chiamarci “homo sapiens”? Sarebbe bello poter far votare sul blog tutte le altre specie per sapere come ci definiscono. Penso che avremmo una bella sorpresa!

L’ultimo bluff della crescita infelice

trenoLa maggioranza degli economisti, seguaci della dottrina che sostiene non esista altra via per produrre benessere al di fuori della crescita continua dei consumi, di fronte ai dati sulle crescenti disuguaglianze di reddito, ad una crisi economica che tarda a virare, come da loro previsto, verso una nuova fase di crescita, ed alla crescita invece degli effetti negativi dei consumi, quali l’inquinamento, i cambiamenti climatici, il disorientamento sociale, la perdita di riferimenti etici, non trovando risposte rilanciano avanti la palla verso un futuro ricco di nuove promesse e nuove avventure.

Attraverso la sistematica distruzione di ogni riferimento etico o ideologico, hanno lasciato in piedi una sola area in cui sognare, la tecnologia con le sue promesse di mirabili ed irrinunciabili innovazioni salvifiche, in grado di aprire prospettive messianiche di moltiplicazione di risorse limitate. E questa visione messianica non lascia scampo a riflessioni, ma pone tutti di fronte ad una sola possibilità: prendere il treno del progresso che passa solo una volta per la nostra stazione, perché se non saliamo su quel treno resteremo irrimediabilmente indietro. Non bisogna domandarsi dov’è diretto quel treno, perché non abbiamo altra scelta che prenderlo al volo.

Ma la scienza, che pur ha consentito il nascere di queste “straordinarie tecnologie, salvifiche”, ci dice che questo treno sta andando a sbattere, perché corre sempre più veloce lungo una linea ferrata che è sempre la stessa, che poggia su un pianeta che è sempre lo stesso e che sta con la sua corsa pericolosamente danneggiando, riducendo e non aumentando le opportunità. Queste considerazioni, benché provate e condivise dalla comunità scientifica mondiale, non sono accettate dai sostenitori della crescita illimitata, e vengono da decenni irrise o semplicemente ignorate.

E così mi è capitato di sentire il presidente di Telecom Italia Giuseppe Recchi, all’inaugurazione del Global Sustainability Forum il 2 maggio scorso, dichiarare che il mondo non può fare a meno delle fonti fossili di energia utilizzate con “tecnologie pulite”, perché esiste un miliardo di persone povere che non hanno accesso all’elettricità. Ma la scienza ci dice che ad oggi queste cosiddette tecnologie pulite, come la cattura e l’immagazzinamento artificiale dell’anidride carbonica, sono una costosissima opzione di non provata affidabilità, e che continuare ad utilizzare i combustibili fossili probabilmente porterà alla morte quel miliardo di poveri a causa dei cambiamenti climatici, risolvendo tragicamente il loro non-accesso all’elettricità.

Senza un orientamento etico, senza una chiara ridefinizione di benessere, certe tecnologie possono diventare addirittura dannose ed allontanarci dalla soluzione dei problemi dell’umanità. Non stiamo qui proponendo una nuova versione del luddismo, ma semplicemente dicendo che non tutto è buono ciò che la mente umana è in grado di produrre, e che le scelte per il futuro vanno fatte più con la testa che con il portafoglio, altrimenti si perderanno sia l’una che l’altro.

 

Il crimine di Trump contro l’atmosfera

donald-trump21Nessuno Stato può vantare un diritto di proprietà sull’atmosfera perché qualsiasi cambiamento che si provoca in essa, in qualsiasi parte del mondo, esplica i suoi effetti su tutto il pianeta in maniera difforme e neppur minimamente legata al luogo dove il cambiamento è stato effettuato. Se si tratta di gas serra che hanno effetti sul clima planetario, le conseguenze, secondo gli studi effettuati in tutti i centri di ricerca mondiali e raccolti dalle Nazioni Unite, mettono a rischio la sopravvivenza di intere popolazioni. La comunità scientifica internazionale ha affermato con minimi margini di dubbio, che se non azzeriamo prima possibile l’uso dei combustibili fossili, i cambiamenti climatici, entro la fine di questo secolo, metteranno a rischio la stessa civiltà umana, che si è sviluppata negli ultimi 11.000 anni, grazie ad una relativa stabilità climatica.
Il famoso accordo di Parigi, firmato poco più di un anno fa da tutti i paesi del mondo, Stati Uniti compresi, impegna tutti i governi a cooperare proporzionalmente al peso della propria economia per salvare l’umanità dalla catastrofe climatica che renderà vaste aree del pianeta inabitabili, o perché sommerse dall’innalzamento dei mari, o perché desertificate, o devastate da alluvioni. In Italia, secondo le analisi più aggiornate, scompariranno i ghiacciai e al sud avremo entro la fine del secolo estati con temperature stabilmente sopra ai 40 °C. Circa un terzo della popolazione mondiale avrebbe serie difficoltà di sopravvivenza.
Ritirarsi da questo accordo, come annunciato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, per sfruttare qualche decennio ancora di carbone e petrolio, è un crimine contro l’umanità. L’integralismo ideologico negazionista dei risultati della scienza, per mera opportunità di parte, rende il presidente americano un cinico opportunista e costituisce un pericolo estremamente maggiore del terrorismo islamico che oggi tanto ci preoccupa, mettendo a rischio anche le generazioni future del suo stesso paese. Gli effetti sono comparabili a quelli di una guerra atomica unilaterale, che esplode al rallentatore, sviluppando le sue conseguenze catastrofiche nell’arco di alcuni decenni. Come reagire a un simile pericolo?
Le merci europee portano nel prezzo il costo dei permessi di emissioni di gas serra contingentati dal sistema di controllo europeo. In tal modo l’Unione Europea, si sta facendo carico anche del futuro dei cittadini americani, che col loro presidente intendono cogliere un vantaggio sleale mettendosi in concorrenza con le loro merci che non includono il prezzo delle emissioni. L’Europa potrebbe difendersi imponendo dei dazi proporzionali alle emissioni di gas serra causate dalle merci prodotte negli USA.
Ma più in generale, per difendere l’umanità da futuri “presidenti canaglia”, le Nazioni Unite dovrebbero dichiarare l’atmosfera un “bene comune” che va da tutti rispettato nell’interesse di tutti, ed imporre sanzioni a chi non rispetta gli impegni in tal senso.

La crescita infelice

paceChe nell’acquario di casa non possa crescere una balena è una affermazione che non ha bisogno di dimostrazioni. Che su un pianeta di cui conosciamo le dimensioni e i meccanismi che regolano la vita non possa crescere all’infinito una popolazione umana, che per giunta pretende di far crescere indefinitamente anche i consumi pro capite, ben lo sanno gli scienziati, ed è facile farlo capire a un bambino; eppure la maggior parte dei politici e degli economisti si rifiutano di ammettere questa banale verità, al punto di trascinare il mondo attraverso un presente complicato e verso un futuro drammatico.
Il capitalismo, avendo nascosto sotto l’asettica virtualità del capitale la realtà di un pianeta complesso e limitato, ha portato l’economia mondiale in una sfera ideale di numeri che possono moltiplicarsi e crescere all’infinito. Questa illusione ci ha accompagnato lungo almeno due secoli di progresso inimmaginabile, lungo i quali la popolazione mondiale è passata da poco meno di un miliardo ai quasi 7 miliardi e mezzo di oggi. Ciò ci ha convinti che l’unico possibile progresso fosse crescere, fare in modo che crescano sempre più velocemente i consumi di risorse da parte della specie umana e la sua occupazione di “spazio ambientale”, estromettendo la quasi totalità delle specie esistenti in ogni angolo del pianeta che si va a colonizzare.
L’unica preoccupazione è come sostituire le risorse che via via presentano delle criticità quantitative o ambientali: e così dal legno si è passati al carbone, affiancato presto dal petrolio e poi dal più pulito metano. Ora gli scisti bituminosi sembrano poter sostituire il fallimento economico del nucleare…e poi ci sarà il solare…e poi, e poi…chissà. La virtualità numerica del capitale misura solo quantità. Ma oggi gli scienziati lanciano l’allarme sulla distruzione dei meccanismi ecologici che garantiscono la vita sulla Terra; parliamo dei cosiddetti “global change”, i cambiamenti globali: la crisi climatica, la diffusione di materiali radioattivi e molecole tossiche prodotti dall’uomo, l’estinzione crescente di specie, ecc.
Sul nostro pianeta, ogni sistema organizzato inizialmente cresce nella capacità di catturare una quota sempre maggiore dell’energia disponibile, dopodiché cresce solo in complessità, in biodiversità, per aumentare il tempo di circolazione e gli effetti positivi dell’energia che riceve. La specie umana apparsa 3 milioni di anni fa è il prodotto di questo meccanismo che si chiama evoluzione, che ha garantito lo sviluppo della biosfera attraverso 3 miliardi di anni. Eppure oggi abbiamo intrapreso un cammino opposto e suicida: distruggere differenze biologiche e culturali attraverso la semplificazione degli ambienti antropizzati e la standardizzazione dei processi economici e produttivi. Dieci anni fa è entrato in crisi anche il sistema finanziario su cui si regge il capitalismo moderno. Inizialmente si è detto che fosse una crisi transitoria legata agli scompensi creati dalla speculazione immobiliare negli USA e che si sarebbe risolta in un paio di anni. In pochi dicevamo allora che la crisi contingente era solo la punta dell’iceberg di una crisi strutturale del sistema. Dopo 10 anni siamo ancora in piena crisi e la crescita balbettante produce crescenti differenze economiche e sociali, causa di tensioni e conflitti interni e internazionali, aggiungendo alle previsioni fosche sulle crisi ambientali, la lacerazione del tessuto sociale, rigurgiti di individualismo nazionalista, e, per dirla con Papa Francesco, una drammatica “guerra mondiale a pezzi”, combattuta dalle numerose parti in causa con una brutalità disumana che azzera millenni di conquiste di civiltà.
Questo è l’anno che oggi inizia; mentre scrivo a poche ore dal suo inizio, si sono già spesi nel mondo circa 150.000 $ in videogiochi, 3 miliardi e mezzo di dollari in armamenti, sono state emesse 73,5 milioni di tonnellate di CO2, i deserti sono aumentati di 23.500 ettari, sono morte di fame 22.000 persone, sono morti 15.000 bambini con meno di 5 anni, sono state fumate 11 miliardi di sigarette e sono morte circa 10.000 persone per il fumo, sono stati spesi già circa 800 milioni di dollari per la droga…
Questa sarebbe la crescita felice?
Smettiamo di seguire gli sciacalli che soffiano sul fuoco dell’egoismo, perché nessuno e nessun popolo, di fronte ai cambiamenti globali, può salvarsi da solo. Costruiamo insieme un anno di pace per un futuro di benessere per tutti.

L’illusione della crescita che danneggia il benessere

cultura dello scartoL’attuale crisi economica è il frutto di uno degli aspetti più irrealistici dell’attuale modello di sviluppo. Se il prodotto lordo (PIL) non cresce con sempre maggior velocità il sistema finanziario e il sistema produttivo vanno in affanno con tutta una serie di conseguenze a cascata di carattere politico e sociale. Ebbene nel 2009 il PIL mondiale ha vissuto una decrescita; negli anni successivi ha ripreso a crescere ma ad una velocità decisamente inferiore a quella degli anni precedenti, per poi avere di nuovo un calo nel 2015. E’ stato quindi solo un rallentamento della crescita del PIL a mettere in crisi l’intero sistema, dimostrando la sua inaffidabile fragilità in un pianeta che ormai mostra chiaramente di non riuscire a sostenere una crescita continua e veloce dei consumi senza subirne conseguenze gravi che mettono a rischio la qualità della vita e il benessere. Questa crisi dimostra anche la totale inadeguatezza del PIL come indicatore di progresso; infatti noi ci riteniamo in una profonda crisi di crescita economica mentre il PIL nel 2015 (73,434 trilioni di US $ PPP) è stato di circa 54 volte maggiore di quello del 1960 (1,365 trilioni di $), anno considerato di boom economico.
L’economista di fama internazionale Herman Daly, già economista della Banca Mondiale e sostenitore della “economia stazionaria”, ha ideato l’Indice di Progresso Reale (Genuine Progress Index), sottraendo al PIL la parte relativa a tutte quelle attività riguardanti la riparazione dei danni e la soluzione dei problemi creati dalle attività umane (smaltimento rifiuti, disinquinamento, cura di patologie causate dall’inquinamento, depurazione delle acque e dell’aria, ecc.). Il risultato è stato che negli USA e nelle principali economie avanzate, a partire dalla metà degli anni ’70 l’Indice di Progresso Reale, che rappresenta la “economia del benessere”, è rimasto stazionario, mentre il PIL complessivo è continuato a crescere grazie a quella che potremmo quindi chiamare “economia del danno”. Se lo scopo del processo economico è la creazione di benessere, ciò ci porta a dire che dalla metà degli anni ’70 la crescita del PIL è divenuta anti-economica.
A un simile paradosso si è arrivati attraverso un sistema economico lineare, che trasforma energia e materia concentrata, disponibile in quantità limitate, in scarti dispersi nel suolo, nell’acqua e nell’aria. L’uomo si trova dunque di fronte a un punto di svolta: proseguire lungo l’attuale via orientata ad una impossibile crescita illimitata o prendere la nuova strada del progresso sostenibile. La risposta ce la dà la valutazione del cosiddetto “overshoot day”. E’ stato calcolato che l’8 agosto di quest’anno, l’umanità aveva già utilizzato tutte le risorse che la biosfera riesce a riprodurre in un intero anno; ciò significa che fino alla fine dell’anno l’economia si alimenterà di quel capitale naturale accumulato nei 4 miliardi di esistenza del nostro pianeta Terra. Stiamo accumulando un debito ecologico che ha sempre più la forma di un debito verso i poveri, cioè verso quei paesi poveri da cui preleviamo gran parte delle risorse che alimentano la nostra economia, lasciando in quei paesi devastazione ambientale e inquinamento. Proseguendo su questa strada lasceremo inoltre alle generazioni future un paese più povero di risorse e di capacità di auto-rigenerazione.
L’ossessiva attenzione verso il PIL, un parametro che non rappresenta ormai più il benessere delle persone ma solo quello della speculazione finanziaria, porta i governi a mettere in campo ogni strumento per far ripartire i consumi. Non importa cosa consumiamo; pane, armi o pokemon, tutto diviene uguale e si somma nel PIL. Ciò dà un po’ di respiro oggi, al costo di un aggravamento della crisi domani. Bisognerebbe convincersi che il PIL può crescere anche grazie a settori esterni al consumo: la cura del territorio, la messa in sicurezza da catastrofi idrogeologiche e sismiche, la realizzazione di opere e infrastrutture per la protezione delle persone e dell’economia dai gravi cambiamenti climatici, quali alluvioni al nord e siccità prolungate al sud, che interesseranno pesantemente il nostro paese entro il 2050. Tutto ciò può produrre benessere, presente e futuro, facendo perfino crescere il PIL.