La sostenibilità della plastica: finalmente ci si pone il problema


E’ curioso come a volte gli avvenimenti si associno, quasi a voler convalidare l’opportunità di intraprendere un percorso anzichè un altro. Nei giorni in cui ho avviato il mio corso sull’Uso e sostenibilità dei materiali polimerici per gli studenti di Chimica Industriale dell’Università La Sapienza di Roma, l’Unione Europea comincia a pensare seriamente a come avviare una strategia europea per i rifiuti di plastica nell’ambiente. In particolare l’UE sta pensando ad un libro verde sull’argomento plastiche.

Ma di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di una produzione globale pari a 250 milioni di tonnellate nel 2011 di cui oltre 60 solo in Europa, stiamo parlando di oltre 25 milioni di tonnellate di materiali polimerici trovati nei rifiuti prodotti in Europa, stiamo parlando, infine, di circa 60.000 imprese europee con un fatturato che supera i 300 Mld di euro.

Lo sviluppo dei materiali polimerici ha mutato in maniera sensibile il mondo dei materiali di uso quotidiano. Ormai ci vestiamo con polimeri, mangiamo polisaccaridi, montiamo protesi di polietilene, usiamo farmaci incapsulati in materiali polimerici che garantiscono il lento rilascio del principio attivo. Tutto ciò che tocchiamo ha, in qualche modo, a che fare con il mondo delle plastiche. I polimeri hanno avuto e continuano ad avere anche una funzione sociale visto che rendono accessibili, a buon mercato, oggetti che una volta erano a disposizione solo dei ceti sociali più abbienti. Materiali tradizionali come lana, seta, alcuni metalli e legno sono stati rimpiazzati senza rimpiangerli, anzi, in alcuni casi si ottengono prestazioni migliori. La sostituzione di alcuni materiali con i polimeri ha anche avuto, quindi, la funzione di salvaguardare alcune risorse naturali. Lo sviluppo ed il successo dei materiali polimerici è dovuto soprattutto al fatto che la materia prima è di origine petrolchimica. Il petrolio è sempre stato relativamente abbondante ed a buon mercato, inoltre, l’industria delle plastiche non compete, in termini quantitativi, con l’industria energetica perché solo una minima frazione del petrolio estratto (4%) entra nel ciclo produttivo dei polimeri.

I polimeri possono essere ottenuti con processi semplici che garantiscono, oltretutto, una elevata variabilità di sostanze e la produzione di materiali dalle caratteristiche estremamente riproducibili, requisito fondamentale per alcuni settori tecnologicamente avanzati.

Le materie plastiche hanno invaso il mondo e, vista l’estensione dell’inquinamento, potremmo dire che il genere umano ha perso il controllo. Troviamo materiali polimerici ovunque, li usiamo con enormi vantaggi e spesso senza saperlo. Le proprietà meccaniche di molti polimeri ad alto peso molecolare, legata alla economicità degli oggetti che ne derivano ha consentito che il pianeta fosse invaso dalla plastica (vedi ad esempio il Pacific Trash Vortex). Soprattutto l’economicità ha ampliato a dismisura il mercato per cui è possibile, ad esempio, trovare sacchetti nei giardini pubblici di città grandi e piccole, come in piena foresta amazzonica. Bisogna poi aggiungere lo scarso senso civico delle popolazioni maggiormente industrializzate e l’inconsapevolezza di chi vive nei posti più isolati del terzo mondo. Questa dispersione rappresenta un problema di cui tutti ci lamentiamo ma che, allo stesso tempo, contribuiamo ad alimentare.

SEMPLICEMENTE GENIALE 2

L’aquilone “energetico” ha suscitato interesse e precisazioni, pertanto mi è sembrato opportuno aggiungere qualche dettaglio attinto dal sito www.kitegen.com,  giunto come commento al primo articolo (Edd) oppure inoltrato tramite e-mail dall’ing. G. Ozenda che mi ha fornito anche la foto qui accanto.

Innanzi tutto qualche dato sul vento in quota perché già ad 800 m  raggiunge una velocità di 7,2 m/s ovvero quasi il doppio rispetto a quella utilizzata dalle torri eoliche. Questa velocità comporta però una potenza specifica di 205 W/m2, ovvero 4 volte quella ottenibile con le torri eoliche poste a circa 80 m (58 W/m2). Questo significa che ogni punto della superficie terrestre, a 800 metri sulla propria verticale, con una centrale Kite Gen, potrebbe attingere ad una potenza specifica del vento sufficiente per la produzione di energia (PULITA).

Per quanto riguarda i materiali, l’ala è costruita in kevlar, una fibra con alte prestazioni meccaniche brevettata dalla DuPont nel 1973 che deriva da una reazione di polimerizzazione fra una diammina (gruppi -NH2) aromatica ed il cloruro dell’acido tereftalico. Questo materiale arriva ad avere una resistenza meccanica maggiore 15 volte rispetto ad un acciaio. Non è un caso che questa resina sia impiegata per farne giubbotti antiproiettile.

Le funi invece sono fatte in polietilene ad altissimo peso molecolare (compreso fra 2-6 milioni) noto come DYNEEMA o Ultra-high-molecular-weight polyethylene (UHMWPE) ed anche questo polimero viene utilizzato per proteggersi da una pioggia di ….. proiettili. L’UHMWPE ha infatti una resistenza addirittura più alta del Kevlar!

I cavi di trazione non sono “fili elettrici” ( la corrente elettrica viene prodotta da generatori al suolo, non in quota ) inoltre le funi, dotate di altissima resistenza meccanica e non conduttrice, non consentono l’accumulo del ghiaccio perché quando sono sottoposte a trazioni cicliche di decine di tonnellate si deformano e frantumano le formazioni di ghiaccio sul nascere. Dette sollecitazioni, inoltre, alzano la temperatura della fune di oltre una decina di gradi per l’attrito interno alle fibre.  Ribadisco il concetto: semplicemente geniale! L’unico dubbio che ho, piccolissimo e relativamente ai materiali, riguarda la possibile degradazione del kevlar da parte dei raggi UV prodotti dal sole che potrebbero avere “vita facile” con i numerosi doppi legami e gruppi carbonilici (C=O) presenti nel polimero: andrò a verificare in letteratura.

E’ possibile comunque visitare il cantiere di Sommariva Perno ( CN ) dove è stato allestito il prototipo da 3MW e colloquiare con i progettisti per conoscere qualunque dettaglio concettuale ed impiantistico.

PLASTICA AD….. OROLOGERIA!

Nel nostro mondo di consumatori moderni, idealisti e sensibili alle tematiche ambientali, vorremmo che gli oggetti costruiti con materiali polimerici mantenessero, nel tempo, le loro caratteristiche inalterate. Vorremmo che tali materiali conservassero, quindi, la vivacità dei colori, la loro resistenza e la loro forma quando sottoposti a sollecitazioni quali calore, umidità, luce o agenti aggressivi come acidi, basi o gas. Pensate al loro impiego nell’arte, nell’ambito della medicina estetica o nella costruzione di protesi.

Quando questi oggetti sono giunti a fine vita, invece, vorremmo che i processi di degradazione fossero talmente veloci ed efficaci da far sparire ogni traccia di quanto dismesso, preferibilmente attraverso processi di mineralizzazione naturali .

I processi di degradazione indotti dall’ambiente sono lenti e tutti sono suscettibili a cambiamenti determinati da degradazioni termiche, fotocatalitiche, ossidative o idrolisi. La biodegradazione di quasi tutti i polimeri segue una sequenza in cui il polimero prima riduce il suo peso molecolare, poi viene convertito in monomeri ed infine i monomeri sono mineralizzati.

E’ importante sottolineare che molti dei polimeri di origine sintetica sono refrattari alla biodegradazione e ciò permette il loro impiego in settori molto particolari (medicina, aereonautica, robotica, etc) ma al tempo stesso ne rende difficile lo smaltimento: il polistirolo espanso può durare centinaia di anni.

Una risposta concreta al riciclaggio dei materiali polimerici è “costruire” la degradabilità già nella fase di progettazione del prodotto. Progettare un polimero che garantisca la degradazione permette anche il recupero dei monomeri e quindi il loro completo riciclaggio a tutto vantaggio della salvaguardia delle materie prime. In sostanza lo scopo è quello di controllare o modificare la perdita delle caratteristiche meccaniche  o la degradazione riducendo il numero di legami fra le catene polimeriche ad esempio mediante la distruzione dei legami idrogeno o la rottura dei legami. Ovviamente è di fondamentale importanza saper governare tempi e modalità dei meccanismi di degradazione.

Questa è l’idea a cui stanno lavorando, già da tempo, alcuni ricercatori. Per quanto mi riguarda qui in ENEA ho avviato un’attività per il recupero di materiali polimerici basato anche sull’individuazione del “tallone di Achille” del polimero: vi terrò informati.

SEMPLICEMENTE GENIALE!

I rifiuti questa volta non c’entrano, o meglio lo smantellamento di una centrale ad aquiloni certamente non creerà problemi alle future generazioni. Come in un racconto partorito dalla fantasia di J. Verne l’idea nascosta dietro il progetto sembra un sogno. Eppure il prototipo è lì, è osservabile e produce energia.   Potremmo definire il progetto come una evoluzione delle centrali eoliche, un sistema per imbrigliare il vento ad alta quota.

La Terra è avvolta da due strati ventosi (venti geostrofici), estesi da 500 a 10.000 metri di altitudine e larghi 4-5.000 km: uno di questi passa sopra l’Europa. L’enorme quantità di energia di tale flusso eolico (con una potenza media di 2 kW\m³) può essere trasformata in energia elettrica da un generatore accoppiato ad argani mossi, tramite cavi sottili ad alta resistenza, da un profilo alare ( kite o “aquilone” ) che, trascinato dal vento, sale e scende fra 800 e 1600 m di quota ed i cui movimenti sono controllati automaticamente da sensori elettronici e computer con un software appropriato. Durante la fase di trazione, l’aquilone vola verso l’alto tirando due funi avvolte intorno ad una coppia di tamburi fissati a terra facendoli ruotare: il generatore calettato sul loro asse produce quindi corrente. Terminata la salita, l’aquilone viene riportato ad una quota inferiore riavvolgendo asimmetricamente le funi  grazie all’azione del motore elettrico coassiale al generatore. L’energia spesa per questa fase è molto minore di quella generata nella precedente e quindi il sistema è estremamente vantaggioso (info su www.kitegen.eu). Un prototipo da 3 MW è in corso di costruzione presso Sommariva Perno, vicino Bra ( CN ).

L’evoluzione prevista del modello sarà una sorta di “giostra” avente un diametro di circa 1.600 m con “aquiloni” in grado produrre 1 GW di potenza per circa 7000 ore/anno: tale impianto ha un costo stimato di 450 milioni di euro contro 2,5 miliardi per la costruzione di una centrale nucleare ai quali vanno aggiunti i costi di stoccaggio/smaltimento delle scorie.

Un impianto del genere avrebbe anche una valenza estetica non trascurabile! mi tornano in mente i colori del cielo di Kabul durante le battaglie fra aquiloni descritte nel romanzo Il Cacciatore di aquiloni

L’ATROCE DUBBIO

Si stima che in Italia, la produzione annuale pro capite di rifiuti hi-tech sia di circa 14 kg/abitante (pari al 3-4% della produzione di RSU) per un totale di oltre 800.000 t distribuite sull’intero territorio nazionale e del quale solo una parte (meno di 300.000 t) viene gestita correttamente. Il trattamento di questi rifiuti, finalizzato al recupero selettivo dei metalli, permette il riciclaggio di materie prime importanti per la nostra crescita economica.

In questi giorni ho avuto la conferma analitica che il processo che abbiamo messo a punto presso l’ENEA permette di recuperare rame (prezzo: 8300 USD/ton), stagno (22200 USD/ton) e piombo (2300 USD/ton) allo stato puro. In particolare abbiamo recuperato 300 g/kg di rame, 65 g/gk di stagno e 24 g/kg di piombo per un valore di circa 4000 USD/ton schede. Solo per estrarre i  300 kg di rame contenuti in una tonnellata di schede elettroniche occorrerebbe trattare circa 60 tonnellate di roccia. Questo dimostra che:

  • nei RAEE non esiste solo l’oro, altri metalli hanno un valore economico rilevante;
  • si può avere la sostenibilità economica salvaguardando l’ambiente;
  • la ricerca rappresenta il traino per lo sviluppo di un paese;
  • abbiamo bisogno di affrontare i problemi in modo sistemico.

I costi di investimento sono ridotti e l’ammortamento breve, le autorizzazioni lunghe e laboriose: se avessi un po’ di soldi (e fegato) farei un impianto, ma converrebbe farlo in Italia?

In Svezia la soluzione per i nostri rifiuti?

Dall’Espresso 2/2013 leggo che la Svezia guarda con interesse ai rifiuti italiani in quanto il loro sistema di riciclaggio dei RSU ha messo in crisi il programma di produzione di energia. A regime questo programma è in grado di produrre il 20% del calore per il riscaldamento nazionale ed elettricità per 250 mila abitazioni. In pratica non c’è abbastanza rifiuto per andare a regime e quindi dopo l’importazione, ben remunerata, dalla Norvegia, gli svedesi stanno guardando con interesse alle vicende italiane in materia di gestione dei rifiuti. Ne ricaverebbero materiale per i loro impianti e denaro per lo smaltimento.

Strano paese la Svezia, è una delle nazioni più virtuose in termini di politica ambientale, è stato il primo Paese europeo ad adottare una legislazione specifica. Ha investito nel nucleare (forse l’unico che non ha interesse al riprocessamento del combustibile e quindi non ha rifiuti radioattivi liquidi ad alta attività), ha investito nelle rinnovabili e può contare su una rete elettrica che non fa appello ai combustibili fossili.  In Svezia pare che non esistano multe e sanzioni per chi non fa la raccolta differenziata: sono gli stessi cittadini a protestare a gran voce quando le amministrazioni locali non si dimostrano in grado di gestirla.

La morale? Sicuramente che la raccolta differenziata rappresenta una fase essenziale del trattamento dei RSU e che, non essendo l’unica, si accompagna ad altre fasi. Non a caso si parla del ciclo dei rifiuti.

DATA BASE DI MATERIALI AMBIENTALMENTE SOSTENIBILI

Materiali innovativi, Nanotecnologie e materiali funzionali come strumenti competitivi, questo è lo scopo principale a cui hanno pensato gli ideatori della prima banca dati dedicata a materiali ambientalmente sostenibili riciclati e di origine naturale, che andranno a caratterizzare i progetti dei prossimi anni. Tutti i dati saranno a disposizione di aziende, architetti, designer etc. presso la nuova sede del Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Università di Firenze.

Le caratteristiche tecniche dei nuovi materiali polimerici, derivati di carta, legno, juta, cotone, cocco, kenaf e molte altre tipologie di materiali, saranno anche disponibili sul sito www.matrec.it . Molti materiali derivano dal riciclaggio di residui di lavorazione e da rifiuti accrescendone la sostenibilità ambientale ed economica.

Ogni scheda è corredata di dati riguardanti la composizione, l’impronta ecologica espressa come consumo energetico ed emissioni climalteranti, tecnologie di lavorazione richieste, caratteristiche sensoriali, etc. Insomma tutte le informazioni per verificare l’adattabilità al prodotto/processo che il progettista ha in mente.

Il nuovo centro Matrec nasce da un progetto di collaborazione con il Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Università di Firenze ed il Centro Sperimentale del Mobile, capofila di ”Cento”, il Polo regionale di Innovazione per gli interni, già promotori del progetto Green Home che ha visto il coinvolgimento di numerose aziende toscane. L’iniziativa si inserisce inoltre nelle attività di Ecomovel, un progetto Med europeo finalizzato a mettere in rete e testare strumenti rivolti all’innovazione delle PMI del settore dell’arredo.

Ecco un buon esempio di come mettere a sistema dati tecnici ed informazioni su materiali con cui produrre prodotti innovativi e soprattutto competitivi.

FOTO PER RIFLETTERE ed auguri

Vi propongo alcune foto che ho fatto recentemente e che dovrebbero suggerire riflessioni su come l’uomo interviene modificando luoghi e spazi.

Il paesaggio muta in continuazione e negli ultimi decenni i cambiamenti sono stati rapidi, abbiamo perso molti degli elementi caratteristici con il risultato di uniformarne l’aspetto. Abbiamo perso biodiversità e con essa l’attrattiva ed il fascino. Anche l’avvento dell’agricoltura intensiva e meccanizzata ha contribuito alla trasformazione del paesaggio agricolo. Le città si espandono, gli alberi abbattuti non vengono rimpiazzati, la rete stradale contribuisce alla frammentazione ed alla perdita della funzionalità ecologica.

Il risultato di tutto questo può essere più o meno gradevole e si può essere più o meno d’accordo, ma i segni rimangono e spesso in maniera irreversibile.

Il mondo non è finito il 21 dicembre, approfittiamo per stare su questo pianeta senza consumare inutilmente ulteriore territorio.

buon anno

ENERGIA DAL COCOMERO?

Il cocomero rappresenta una importante risorsa economica per molti paesi, si stima una produzione annuale di 93.700 milioni di tonnellate. Solo in Spagna sono coltivati 16.900 ha per una produzione di circa un milione di tonnellate. Il cocomero poi è ricco di “phitonutrienti” come licopene, un precursore di β-carotene ed altri carotenoidi di grande interesse per le capacità antiossidanti. Ormai è dimostrato che il licopene ha un forte effetto sulla riduzione del tumore alla prostata,  ecco quindi l’importanza di inserire nella dieta cocomeri e pomodori. Ci sarebbe poi un amminoacido, la citrullina, anch’esso con proprietà antiossidanti, ma, visto che ci troviamo a wasteland, parliamo di scarti e come valorizzarli.

Il bioetanolo prodotto dalla fermentazione di  biomasse viene considerato, a torto o a ragione, una alternativa environmentally friendly ai combustibili fossili. Ebbene, tornando ai cocomeri, il 20 %, ovvero circa 19.000 milioni di tonnellate, della produzione rimane abbandonata sul campo a causa delle caratteristiche non adeguate al mercato: questo determina una perdita consistente di reddito per i produttori.

Il succo di cocomero contiene circa il 10 % di zuccheri facilmente fermentabili (fruttosio, saccarosio e glucosio) e quindi in grado di produrre bioetanolo.  La presenza di azoto (dagli amminoacidi) favorisce la fermentazione senza aggiungere altri integratori. Il valore del pH determina una forte discriminante sulla produzione ed il massimo della conversione si ottiene a pH=5: a questo valore è possibile ottenere una conversione di etanolo pari a 0,36-0,41 g per g di zucchero. In pratica dopo 15 ore di fermentazione si ottiene la conversione a etanolo.

Facendo un conto approssimativo, ogni anno si potrebbero produrre, utilizzando i cocomeri abbandonati nei campi,  780.000 tonnellate di bioetanolo. La letteratura scientifica ci dice che la combustione di miscele benzina/bioetanolo, rispetto all’alimentazione con benzina,  generalmente produce meno emissioni delle specie regolamentate (NOx, CO, etc) a fronte però di un aumento dell’emissione di acetaldeide.

Ora si tratta di stabilire se è meglio respirare ossido di carbonio o acetaldeide. La terza ipotesi è chiara: servizio pubblico e camminate!

 

Per approfondimenti: http://www.biotechnologyforbiofuels.com/content/2/1/18

GREEN ECONOMY: OCCASIONE O MODA?

Ieri sera a Ballarò il Ministro Clini ha enfatizzato l’approccio nostrano alla Green Economy (GE), una proposta presentata a Rimini durante l’annuale manifestazione fieristica Ecomondo.

Per non fermarmi alla facile esemplificazione del concetto derivante dall’attribuzione di un colore, sono andato in rete a vedere le definizioni ed i principi fondativi della GE:

  • zero emissioni di carbonio quindi niente carbone e petrolio;
  • 100% di energia rinnovabile;
  • niente nucleare che, sebbene abbia un contributo nullo di emissioni di CO2, presenta il problema dei rifiuti derivati soprattutto dal ciclo del combustibile nucleare;
  • sostenibilità nei cicli dell’acqua e delle materie prime (ciclo dei rifiuti);
  • conservazione degli ecosistemi e della biodiversità sviluppando adeguati modelli di governance;
  • adattamento ai cambiamenti climatici a livello locale, regionale e globale.

Come si può facilmente vedere, per parlare di GE è necessario fare riferimento ad un Sistema complesso, il Paese, e non di qualche settore produttivo. Ammetto di aver letto solo alcuni documenti preliminari, ma da quel poco che ho visto mi sembra cha scarseggi proprio quella visione olistica necessaria per avviare una svolta nel sistema produttivo. Sembra, inoltre, che manchi la volontà di applicare i principi della Green Economy.

Come ho detto in altri post, senza citare la Green Economy,  è possibile fare attività economicamente remunerative  rispettando l’ambiente ed è altrettanto possibile applicare tecnologie pulite ed innovazione tecnologica, ma queste sono operazioni e scelte individuali che spesso sono anche dettate dal marketing. Se è il sistema a non funzionare, queste scelte, seppur corrette, solo parzialmente vanno a beneficio del Paese.

Molte azioni, fatte passare per GE, vanno intese come normali azioni di revisione dei processi produttivi. Sostituire un filtro a sabbia con uno a membrana, per alcuni si tratta di adeguamento tecnologico per altri può essere considerata tecnologia pulita: non è una differenza irrilevante. Ricordo che il biodiesel fu salutato come la soluzione (green) ai problemi energetici: solo dopo si è scoperto che nei paesi in via di sviluppo, per far posto alle nuove coltivazioni, sono state affamate intere popolazioni e distrutte foreste.

Queste perplessità non derivano da prevenzione ideologica ma da fatti concreti che appaiono tutti i giorni sui nostri quotidiani e da esperienze personali. Ho la sensazione che la Green Economy rappresenti un nuovo filone di attività da finanziare, come in altre occasioni, con criteri non proprio trasparenti.

Come si fa a parlare di innovazione tecnologica e GE se per avere un permesso per costruire un impianto devo aspettare anni? Come si fa a parlare di GE se poi si consente, in nome del petrolio, di stravolgere una regione come la Basilicata piena di ricchezze ambientali, umane e perché no, gastronomiche che, se opportunamente valorizzate, darebbero da vivere più che dignitosamente alle comunità locali? Dal punto di vista della Green Economy hanno più valore il Canestrato di Moliterno ed i fagioli di Sarconi piuttosto che lo stoccaggio del gas importato da mezzo mondo.

In un paese dove per  10 anni si concedono deroghe sulla quantità di arsenico nell’acqua potabile, in un paese dove si arriva al terribile dilemma dell’ILVA (salvo i posti di lavoro o l’ambiente?) penso che sia poco credibile colui che si accalora per la GE e poi a livello politico si comporta disattendendo i buoni propositi pronunciati.

Comunque ho comprato da poco un libro dal titolo: Blue economy  (business model will shift society from scarcity to abundance “with what we have”) almeno mi preparo al prossimo dibattito sui nuovi modelli di sviluppo.