Inizia lunedì 26 novembre 2012 la Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, ospitata nel nuovissimo Qatar National Convention Centre di Doha. Per le prossime due settimane sarà, dunque, l’emirato del Qatar (1,7 milioni di abitanti, 2° paese per PIL pro capite dietro al Lussemburgo, 5° produttore mondiale di gas naturale, 18° produttore mondiale di olio, Banca Mondiale 2011 – BP 2011) a concentrare su di sé l’attenzione dei media internazionali che seguono la politica sul clima, chiamata ai tavoli di negoziazione dopo i piccoli passi in avanti compiuti a Durban (Sud Africa) un anno fa.
Le Parti – Saranno 195 le delegazioni delle nazioni che costituiranno le “Parti” della Convenzione quadro sul cambiamento climatico, cui andranno aggiunti l’unica organizzazione regionale di integrazione economica riconosciuta, l’Unione Europea, e gli osservatori senza diritto di voto, tra cui la sola Città del Vaticano come ente governativo. Durante l’incontro di Doha tutte le “Parti” potranno partecipare alla diciottesima Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP18), mentre solo 192 di esse potranno avere ruolo attivo nell’ottava Conferenza delle Parti facente da Incontro delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP8). Ne resteranno fuori Afghanistan, Andorra, Stati Uniti d’America e Sud Sudan che non hanno mai ratificato il protocollo. Il ritiro del Canada, la cui ratifica è datata 2002, sarà effettivo dal 15 dicembre prossimo.
Quella di Doha sarà l’ultima conferenza prima della scadenza del Periodo di adempimento di cinque anni (2008-2012) valido per dimostrare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra fissati in Giappone nel 1997. Ma, esattamente come nelle ultime conferenze dell’UNFCCC, c’è già la coscienza che il tentativo di dare continuità all’impegno vincolante è fallito.
A Durban è stato firmato un piano d’azione che prevede la conclusione, entro il 2015, di un accordo per il taglio delle emissioni a partire dal 2020. In vista di tale accordo, si attende il quinto Rapporto di valutazione (AR5) dall’IPCC, che assicura la sua pubblicazione entro il 2014. I nodi più importanti ancora da sciogliere restano, comunque, il ruolo di Stati Uniti e Canada (2° e 7° paesi emettitori di anidride carbonica, 19% delle emissioni globali, Banca Mondiale 2008), in quanto paesi sviluppati che non hanno accettato l’obbligo di riduzione delle emissioni. E poi il tipo di impegno che i grandi emettitori in via di sviluppo sono disposti ad accettare una volta conclusa l’attuale fase in cui essi non sono soggetti ad obblighi di riduzione, in primis Cina (1° paese emettitore di CO2), poi India (3°), Iran (8°), Corea del Sud (10°), Messico (11°), Sud Africa (13°), Arabia Saudita (14°), Indonesia (15°), Brasile (17°). Questi paesi rappresentano già il 37% delle emissioni mondiali di anidride carbonica ed il loro peso in termini di emissioni è destinato ad aumentare nei prossimi anni con il crescere impetuoso delle loro economie.
Secondo l’IPCC, se l’obiettivo è quello di arrestare l’aumento delle temperature medie del globo sotto ai 2°C, occorre che le emissioni di gas serra tocchino il proprio picco massimo entro il 2020. Il mondo sviluppato, è assodato, non è in grado di fronteggiare da solo la questione e richiede che anche ai paesi emergenti sia affidata una parte nella riduzione delle emissioni.
UE – E’ del 23 novembre 2012 il comunicato stampa della Commissione Europea che anticipa la linea politica che sarà seguita dall’Unione Europea ai tavoli di Doha. Come dichiarato da Connie Hedegaard, Commissaria responsabile per l’Azione per il clima, le decisioni prese a Durban devono rappresentare la base di partenza per la discussione. La necessità di limitare ai 2°C l’innalzamento delle temperature per evitare i danni peggiori da cambiamento climatico rimane il principio guida, mentre il pacchetto clima-energia, che obbligherà gli Stati Membri a ridurre le emissioni del 20% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, come di consueto consentirà all’UE di ricoprire, con credibilità, la posizione di leadership nella politica di contrasto alle alterazioni climatiche. L’obiettivo è di estendere il Protocollo di Kyoto ad una seconda fase che prenda avvio dal 1° gennaio 2013.
ben scritto infatti come ha spiegato Cappellacci L’obiettivo del Comitato delle Regioni e’ quello di affermare il ruolo delle autonomie territoriali nell’attuazione delle misure politiche assunte in sede internazionale in materia di mitigazione del cambiamento climatico, reclamandone al contempo un rafforzamento
Grazie! Sono pienamente d’accordo, solo che, al momento, non si deve parlare di “rafforzamento”, ma di “concretizzazione”.