La città futura in un mondo che cambia

SAO PAULO TURNS 450Nel 2014 il 54% della popolazione mondiale viveva in aree urbane; si prevede che nel 2050 la percentuale di persone che vivranno nelle città aumenterà al 66%, e ciò significa che circa 2,5 miliardi di persone nei prossimi 30 anni andranno a vivere nelle città e questo fenomeno interesserà principalmente l’Asia e l’Africa, ma anche le città europee alle quali si rivolgono masse crescenti di profughi per motivi bellici, ambientali ed economici. Si prevede che entro il 2050, 250 milioni di persone lasceranno la loro terra a causa di avversi cambiamenti climatici. I nuovi cittadini si ammassano in periferie dormitorio, dove la marginalità è nelle distanze e nelle strutture urbane disordinate, senza spazi di socialità, senza alcuna indulgenza al bello che possa ostacolare le funzionalità di uno sfruttamento degli spazi orientato alla speculazione fondiaria. Manca una visione, una utopia, una idea della città futura. Senza una visione da realizzare resta un elenco di problemi e soluzioni che difficilmente porteranno alla costruzione di una città sostenibile.
La dispersione urbana verso le aree periferiche produce anche un altro fondamentale passaggio culturale: la città storica, con le sue strade strette e le sue piazze, un tempo luogo di socialità diviene un ostacolo da attraversare, un enorme parcheggio di auto, uno spazio disumanizzato.
Eduardo Galeano, scrittore uruguaiano scomparso nell’aprile di tre anni fa, così descrive il primato dell’automobile sull’uomo nelle città di oggi:
Sono le cocche di casa. Sono ghiottone, divorano petrolio, gas, mais, canna da zucchero e qualsiasi altra cosa. Sono padrone del tempo umano, dedicato a lavarle e a dargli cibo e protezione, a parlare di loro e a spianargli strade.
Si riproducono più di noi, e sono ormai dieci volte più numerose di mezzo secolo fa.  Uccidono più gente delle guerre, ma nessuno denuncia le loro uccisioni, e men che meno i giornali e i canali televisivi che vivono della loro pubblicità.
Ci rubano le strade, ci rubano l’aria. Se la ridono quando ci sentono dire: guido io.”
E allora la città futura rischia di diventare uno spazio malamente organizzato, dove le differenze non si integrano, le tensioni non si risolvono, ma vengono semplicemente controllate da un sistema di regole e di standard: isole di ordine formale e strutturale realizzato a scapito di un crescente disordine sociale ed ecologico. E’ il frutto di un approccio che Papa Francesco chiama “paradigma tecnocratico” che rischia di portare la tecnica a rivolgersi contro l’uomo piuttosto che operare per il suo bene.
La Nuova Agenda Urbana delle Nazioni Unite, approvata a Quito nell’ottobre del 2016, riconosce che la cultura e la diversità culturale sono fonti di arricchimento per l’umanità e forniscono un importante contributo allo sviluppo sostenibile delle città, degli insediamenti umani e dei cittadini, rafforzandoli nell’avere un ruolo attivo ed unico nelle iniziative di sviluppo; inoltre riconosce che le culture dovrebbero essere prese in considerazione nella promozione e nell’applicazione di nuovi modelli di consumo e di produzione sostenibili che contribuiscano ad un uso responsabile delle risorse e affronti l’impatto avverso dei cambiamenti climatici.
Nel 2050, quando il riscaldamento globale sarà in una fase cruciale, 6 miliardi di persone vivranno in aree urbane; 6 miliardi di persone che possono fare la differenza fra una catastrofe ed un atterraggio leggero.
E’ allora necessario:

  • Costruire una realtà urbana policentrica dove la bellezza non sia una esclusiva del centro storico
  • Umanizzare le periferie creando spazi di incontro e socializzazione
  • Promuovere la responsabilità sociale e la cultura della condivisione
  • Attuare iniziative di democrazia partecipata per la riqualificazione urbana
  • Offrire un ruolo sociale attivo alle categorie più svantaggiate ed ai rifugiati
  • Ricostruire un legame funzionale fecondo fra città e campagna
  • Realizzare green-communities nei centri rurali organizzati secondo i principi dell’economia circolare a zero emission di carbonio
  • Fare delle periferie urbane aree carbon free, attraverso l’auto-produzione energetica e uno stretto legame con le aree rurali prossime per l’approvvigionamento di acque pulite e cibo a chilometro zero
  • Proteggere le popolazioni dalle grandi catastrofi provocate dai cambiamenti climatici

Forse questa è un’utopia, ma senza un sogno, un’utopia l’uomo può solo ripetere se stesso e ciò che è stato, finisce il progresso, la civiltà si spegne sotto il peso dei suoi errori. Galeano ci insegna l’importanza dell’utopia:
“Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non lo raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare.”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


*