Ancora Ilva: decreti e conflitti

Ed ecco un altro decreto per l’Ilva. Dopo il D.L. 129/2012, sul risanamento ambientale e la riqualificazione di Taranto (con il quale sostanzialmente si vuole riqualificare con i soldi pubblici, una città martoriata da altri), il governo dei tecnici sgancia come un missile un altro decreto d’urgenza ad hoc. Il famoso decreto, varato dal Consiglio dei ministri del 30 novembre scorso, è tanto breve ma altrettanto pesante. In tre articoli viene stravolta una buona parte dell’ordinamento giuridico italiano.

Con il decreto, l’Autorizzazione integrata ambientale, che ne è parte integrante, diventa legge o meglio atto avente forza di legge. Bene… Perchè?

L’AIA per gli stabilimenti in cui si producono e trasformano metalli è necessaria ed il mancato rispetto delle prescrizioni comporta sanzioni. L’AIA è il provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto industriale a determinate condizioni; contiene prescrizioni e limiti di emissione che l’azienda deve rispettare nella sua attività produttiva. Il tutto è già scritto nel codice dell’ambiente. Forse trasferendola in un decreto legge si voleva dare maggiore vigore e risalto al provvedimento e si voleva vincolare una famiglia di imprenditori che aveva già un’Autorizzazione integrata ambientale alla quale attenersi, ma evidentemente non ne ha tenuto conto, oppure non ha avuto il tempo di leggerla. L’impianto Ilva di Taranto avrebbe dovuto agire secondo le indicazioni dell’AIA del 4 agosto 2011, ma le perizie chimiche ed epidemiologiche presentate dai Pm all’ormai noto procedimento per disastro ambientale hanno indotto il Ministero a riaprire la procedura. La nuova AIA è stata rilasciata il 26 ottobre scorso e regolamenta soltanto le emissioni in atmosfera degli impianti dell’area a caldo posta sotto sequestro a luglio Tra le prescrizioni vi sono l’obbligo di chiusura da subito dell’altoforno 1 e la chiusura dell’altoforno 5 da luglio 2014, la copertura dei parchi minerali, la chiusura di diversi chilometri di nastro trasportatore, nuovi sistemi di scarico e la riduzione della produzione di acciaio.

I proprietari dell’impianto dovranno attuare tutte le prescrizioni dell’AIA e manterranno la gestione e la conduzione dell’impianto; su di loro ricadrà ogni responsabilità per violazioni di legge e per mancato rispetto dell’AIA. E’ prevista inoltre una particolare sanzione pecuniaria fino al 10% del fatturato.

La disposizione in odore di incostituzionalità è quella che reimmette la società nel possesso degli impianti sottoposti a sequestro.

Nel luglio scorso il GIP di Taranto aveva emesso un provvedimento di sequestro senza facoltà d’uso dell’intera area a caldo dello stabilimento perchè “l‘impianto ha causato e continua a causare malattia e morte e chi gestisce l’Ilva ha continuato tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. Il blocco dei lavori dell’acciaieria “deve essere immediato a doverosa tutela dei beni di rango costituzionale come la salute e la vita umana che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di ogni sorta”. L’art. 1 comma 2 del decreto invece dispone: “la società Ilva spa di Taranto è immessa nel possesso dei beni dell’impresa ed è in ogni caso autorizzata, nei limiti del provvedimento di cui al comma 1 (AIA), alla prosecuzione dell’attività produttiva nello stabilimento e della conseguente commercializzazione dei prodotti per tutto il periodo di validità dell’Autorizzazione integrata ambientale“; il comma 3 aggiunge: “i provvedimenti di sequestro e gli altri provvedimenti cautelari di carattere reale dell’autorità giudiziaria consentono di diritto, in ogni caso, quanto previsto dal comma 2“.

Il commento di Grillo al decreto è stato “neanche Mussolini“.

A prescindere da ogni reazione e possibile commento su queste disposizioni, è il caso di ricordare che il sequestro preventivo è finalizzato al protrarsi del reato; nel caso dell’Ilva, di un reato grave che mette a rischio la salute della collettività; è una misura temporanea basata su indizi di commissione del fatto di reato (il c.d. fumus delicti) e soprattutto è emanata dal Giudice e da lui revocata secondo quanto previsto dal codice di procedura penale (art. 321 c.p.p).

 E’ il caso anche di ricordare che il potere giudiziario è uno dei poteri dello Stato e che la  nostra Costituzione dispone: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art. 104) e “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 101 c.2).

Tornando al decreto Ilva, merita un cenno la figura del Garante che in tempo di austerity avrà un compenso massimo di soli duecentomila euro lordi all’anno; era necessario? considerando che il Ministero dell’ambiente dovrà comunque monitorare la situazione e riferire semestralmente alle Camere, non era più ragionevole investire nell’ampliamento delle risorse interne dei Ministeri competenti magari creando nuovi posti di lavoro? Piuttosto che dare ad un’unica persona circa 600.000 euro non è meglio creare un gruppo di lavoro composto da giovani competenti e disoccupati piuttosto che attuare la solita nomina politica?

Inutile dire che si è aspettato troppo tempo e che l’inquinamento di Taranto non è un argomento nuovo, anzi. Possiamo giustificare i tempi del procedimento giudiziario ma non i tempi della politica; non possiamo neanche giustificare che ancora una volta si tenti di risolvere la situazione con un decreto d’urgenza nato con l’unico intento di ovviare al provvedimento di sequestro.

E poi chi ci garantisce che la società Ilva spa non fallirà prima di portare a termine la messa in sicurezza dell’impianto, lasciando gli operai senza lavoro ed una città con una carcassa insalubre del tutto abbandonata?

2 thoughts on “Ancora Ilva: decreti e conflitti

  1. Sono d’accordo con la sua analisi ma:
    Chi ci garantisce che fermare la produzione e quindi decretare la chiusura ed il fallimento dell’ ILVA non ci lasci una carcassa insalubre del tutto abbandonata?
    Davvero qualcuno crede che si possa riattivare uno stabilimento dopo due, tre anni di chiusura dopo aver perso le proprie quote di mercato?
    Come vivranno 20mila famiglie senza stipendio per almeno tre anni?

    • il mio timore, ma non soltanto il mio, è che la società non riuscirà o non vorrà sostenere i costi per la “riabilitazione” dello stabilimento e come spesso accade, fallirà lasciando comunque a casa i lavoratori o nella migliore delle ipotesi, ci sarà un licenziamento collettivo. Spero vivamente che questo rimanga solo un timore. E poi come sarà possibile portare avanti l’attività produttiva (ripresa con le stesse condizioni che hanno portato alla chiusura) e attuare le misure previste nell’AIA?

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