La Val Padana come ogni inverno è tormentata dall’aria inquinata, superiore ai già indulgenti limiti di legge (per esempio per le polveri non si devono superare i 50 microgrammi al metro cubo mentre Oms raccomanda di stare entro i 25). Certo non fa notizia come la Cina, dove però da qualche tempo ai livelli stellari di polveri si contrappongono provvedimenti molto restrittivi a protezione della salute dei cittadini di Pechino e altre megalopoli. Comunque, anche se la Val Padana non è la Cina, dopo la pubblicazione delle analisi statistiche europee che mettono a decine di migliaia l’anno le vittime italiane del “mal d’aria”, due riflessioni è il caso di farle.
Le cause del mal d’aria padano sono di due tipi, strutturali e congiunturali. Su quelle strutturali si può fare poco: la valle del Po è circondata quasi completamente da alti monti che bloccano i flussi dei venti occidentali, è abitata da oltre venti milioni di persone altamente produttive, ed è attraversata da un fitto reticolo di strade ed autostrade.
Le cause congiunturali invece sono molto più interessanti, perché su di esse si può agire molto più radicalmente di quanto non si faccia ora con i vari e inefficaci piani di “qualità dell’aria” (inquinamento è una brutta parola anni Settanta che non si può più dire in Italia, per cui si usa il suo contrario).
Le cause congiunturali dell’inquinamento invernale sono sostanzialmente i trasporti, i riscaldamenti, le industrie e l’agricoltura. Le prime tre sono attività che vengono svolte quasi solo bruciando combustibili fossili, il che direttamente o indirettamente fa aumentare le polveri.
Sull’agricoltura il discorso è più complicato perché ha soprattutto a che fare con lo spandimento dei liquami zootecnici sui terreni, con liberazione di ammoniaca e successiva formazione di particolato (secondario) per reazioni chimiche. Su quest’ultimo problema però sarebbe facile e immediato agire, basterebbe adottare anche in Italia la legge in vigore in Olanda da oltre trent’anni, che prevede l’iniezione obbligatoria dei liquami direttamente nel terreno, con particolari macchinari perfettamente reperibili sul mercato.
Per quanto riguarda le prime tre cause invece il discorso è più banale: bisogna usare meno energia e usarla elettrica. Per gli edifici ci vuole un grosso programma di coibentazione che riduca la necessità di riscaldarli nelle stagioni fredde, e i riscaldamenti dovrebbero essere elettrici (per esempio con pompe di calore alimentate a fotovoltaico). Stesso discorso per i trasporti e l’industria, ovvero usare solo motori e macchinari elettrici, alimentati a fotovoltaico ed eolico.
Siccome per il momento l’Italia è un paese unito (anche dagli elettrodotti) e il grosso delle risorse eoliche e solari sono disponibili al sud, ecco che l’elettrificazione integrale della Val Padana potrebbe essere un’occasione di sviluppo per il sud, sia per la produzione che per l’installazione e manutenzione dei necessari impianti di generazione di energia eolica e solare.
Oltre a salvare un numero enorme di vite umane un altro effetto benefico di un simile programma di lungo respiro (è proprio il caso di dirlo) sarebbe la drastica riduzione anche delle emissioni di gas serra, trasformandoci in un paese faro della rivoluzione energetica e climatica in Europa.
Se le intelligenze tecniche ed economiche disponibili nel paese convergessero su un piano simile sarebbe possibile metterne giù in breve tempo una versione attuabile, calendarizzata diciamo su dieci anni, massimo quindici. Non sono bubbole, se un paese come l’Uruguay in pochi anni è passato al 95% di fonti rinnovabili ed è diventato da importatore a esportatore netto di energia elettrica, figuriamoci se noi non possiamo dare una bella ripulita all’aria della val Padana. Basta mettercisi, seriamente.
PS I soldi necessari sarebbero reperibili sospendendo tutte le sovvenzioni vigenti (per miliardi di euro) alle attività inquinanti e tassando opportunamente i costi esterni provocati dalle stesse (per esempio attuando la direttiva Eurovignette, che appunto questo prevede).
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