A New York si inaugura il bike sharing. A Roma sono sparite tutte le bici pubbliche. E gli eco-incentivi auto restano inutilizzati.

Una deblacle italiana su più fronti. Due giorni fa il Venerdì di Repubblica ha pubblicato un approfondito articolo sul bike sharing romano: tutte le biciclette pubbliche sono state rubate e oggi resta solo qualche carcassa sparsa per la città senza catena o senza sellino. Una vicenda triste, cominciata più di 4 anni fa, tipicamente italiana, dove gli amministratori pubblici si accusano a vicenda e si rimpallano le responsabilità. A Parigi, nel frattempo, dove il servizio è partito 5 anni fa con 7000 biciclette (il famoso Velib della JCDecaux), oggi ce ne sono 20.000. E nello stesso arco temporale a Roma i ciclisti abituali sono decuplicati e hanno raggiunto la considerevole cifra di 170.000. Ci sono 493 città del mondo dove il servizio funziona perfettamente: tra queste anche a Milano e Torino, ma si arriva fino a Baku in Azerbaijan. In Italia anche a Firenze e a Bologna non esistono servizi di bike sharing degni di questo nome.
Qualche giorno fa, invece, a New York è stato inaugurato il nuovo servizio di bike sharing che ha già 5000 iscritti (http://www.citibikenyc.com). bikenycAnche per la città più famosa del mondo è stato un avvio difficile, costellato di problemi: prima il software che non funzionava e poi il deposito di stazioni e biciclette finito sotto acqua a causa dell’uragano Sally. Tutto superato però adesso e il servizio è stato inaugurato e ha anche uno sponsor: Citibank. Oggi a NY ci sono già 60 stazioni attive delle 330 previste per un totale di 6000 bici. Il servizio partirà a maggio, ma appena si sono aperte le iscrizioni il sistema ha raggiunto i 2500 iscritti nelle prime ore e ha poi toccato i 5000 iscritti nei due giorni successivi. 103$ il costo dell’abbonamento annuale che consente fino a 45 minuti gratuiti di utilizzo.
La Commissaria Sadik-Khan alla presentazione del servizio – Source: Streetsblog – foto Stephen MillerE’ la società canadese Bixi (quella del bike sharing di Londra) che si è aggiudicata due anni fa la gestione del sistema, con un sistema tecnologicamente molto avanzato.
Purtroppo per il nostro paese il tema della mobilità sostenibile sembra proprio non voler decollare. Troppa burocrazia o mancanza di vera volontà politica: rimaniamo sempre indietro e anche quando, in un momento di grande crisi sia del settore che dell’economia in generale, stanziamo fondi per agevolare l’acquisto di auto ecologiche o a basso impatto ambientale poniamo limiti o regole che li rendono inutilizzabili.
Altra triste storia all’italiana: gli ecoincentivi, di cui abbiamo già parlato in questo blog, previsti dal governo Monti, si sono rivelati una bufala: bruciati in poche ore quelli per i privati (circa 4,5 milioni di euro), sostanzialmente inutilizzati quelli per le aziende. Dopo più di 30 giorni (l’entrata in vigore risale al 14 marzo) sono stati richiesti solo 300.000 mila euro sui 35 milioni stanziati. Qual è il problema? Gli incentivi per le aziende sono vincolati alla rottamazione di autoveicoli con più di 10 anni di età. Oggi tutti sanno che le aziende ammortizzano e sostituiscono le auto in tempi molto più brevi. Quindi in sostanza un sistema di incentivi che non tiene conto della reale situazione del paese ed è evidente il fatto che la politica non si è consultata con le categorie di riferimento prima di stanziare gli incentivi stessi. Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto (http://www.federauto.it/sezione-pubblica/sala-stampa/cs-gli-ecoincentivi-destinati-alle-aziende-giacciono-inutilizzati), ha cercato per mesi di bloccare questo provvedimento lanciando appelli al Governo, in considerazione anche del fatto che lo stesso provvedimento è costato circa 600.000 euro cioè il doppio degli incentivi richiesti finora.

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