Il Vigorelli, il Flaminio e l’esempio inglese

Sul velodromo Vigorelli si è giocata una partita paradigmatica per la sinistra italiana. Da una parte il Comune di Milano, per bocca del suo assessore allo sport Chiara Bisconti, afferma che non si può restare ancorati alla nostalgia e lasciare l’impianto morire (per questo il progetto che è risultato vincente a metà aprile ha il pregio di prevedere una sostenibilità economica dell’impianto, grazie alla nuova versione “polifunzionale”). Dall’altra parte, schierati in un’inedita alleanza tra “movimentismo” ed istituzioni, il comitato per la difesa del Vigorelli e il Ministro per i Beni Culturali Massimo Bray, sostengono il valore artistico e culturale (prima che sportivo), dell’impianto che pertanto deve riammodernare la mitica pista di 400 metri e riaprire le porte al ciclismo.
In questa diatriba viene messo di tutto, dalle colpe (presunte e capziose, per chi le lancia) della Federazione Ciclistica ad una contrapposizione di sport (vedi su Rugby1823); amanti del ciclismo su pista da una parte, gli altri, a cominciare del rugby, in attesa del nuovo impianto funzionale. Ma in questa contrapposizione c’è anche altro; da una parte i malinconici, dall’altra i modernisiti (o chiamateli come vi pare).
In tutto questo frullatore di idee, supposizioni e accuse, resta in sospeso la “domanda” che divide le diverse anime della sinistra (intendiamoci, non che sia difficile). Siamo sicuri che dal punto di vista della sostenibilità la soluzione migliore sia quella di riconsegnarlo solo al ciclismo e non, come prevede il progetto vincitore, ad una serie di attività sportive moderne, come bmx, rugby, arrampicata?
Resto convinto che in Italia il nostro peggior difetto urbanistico è quello di lasciare sopravvivere gli impianti piuttosto che buttarli giù e ricostruirli, magari migliori e più efficienti. E’ stato detto, nella polemica capziosa tra i diversi sport, “se Twickenham (lo stadio del rugby dell’Inghilterra) fosse asfaltato e ricostruito, cosa direste, voi amanti del rugby?” (cosa accaduta tra l’altro ad un altro stadio storico per la palla ovale, come il Lansdowne Road).
Non saprei. So, però, che passeggiando per Londra difficilmente si incontra uno Stadio come il Flaminio, che rappresenta il monumento all’inefficienza e al gusto prettamente italico dell’assurdo. Perché per un Vigorelli che potrebbe anche rinascere in una forma diversa, abbiamo un Flaminio che, in virtù di vincoli artistici, non è utilizzato e, probabilmente, non lo sarà in futuro, fin quando non cadrà a pezzi.
Mi chiedo, è giusto tenere in vita strutture che non hanno una propria sostenibilità economica, solo per questioni culturali? E nel caso specifico, perché per proteggere un impianto sportivo si è mosso il Ministro Bray e non quello dello Sport?
La cultura preme per la sopravvivenza di un impianto che lo sport non riesce a mantenere.

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