PERCHE’ BUTTARE UNA RISORSA? IL CASO DELLE RETINE PER LA MITILICOLTURA

retina sporcaI mitili sono i frutti di mare più caratteristici e diffusi in Italia, fra i componenti di questa famiglia di molluschi, la cozza, Mytilus galloprovincialis, rappresenta di gran lunga il mollusco preferito al quale si associa un’antica tradizione che coniuga l’allevamento delle cozze con tante apprezzate specialità culinarie.

Ogni anno in Italia si vendono oltre 70.000 tonnellate di cozze e per queste si consumano circa 2000 tonnellate di retine (o calze), utilizzate negli allevamenti marini per sorreggere le cozze durante tutta la loro crescita. In particolare, durante il ciclo di vita della cozza, le retine sono sostituite due volte e durante il cambio, poiché l’operazione viene effettuata in mare, una parte di queste sfuggono al recupero e vengono disperse in mare. Sostanzialmente per ogni kg di cozze portato al mercato, si utilizza circa un metro lineare di retina il cui costo è pari a circa 4 centesimi/metro per un totale di oltre 2 M€/anno.

Secondo un’indagine ENEA-Legambiente le reti per la coltivazione delle cozze sono fra i rifiuti spiaggiati più numerosi soprattutto nelle aree dove sono collocati gli impianti, coste adriatiche prevalentemente. Nei monitoraggi dei fondali la presenza di retine è ancora più alta (73 calze ogni km quadrato di fondale). I tempi di degradazione dei materiali polimerici utilizzati (prevalentemente polipropilene) sono superiori ai 200 anni.

È necessario quindi avviare pratiche di gestione corretta di questo rifiuto attraverso un’efficace raccolta cui deve far seguito un sistema di trattamento orientato verso il recupero del polimero utilizzato per la realizzazione delle retine.

Attualmente alle retine usate viene associato un Codice CER corrispondente ad un rifiuto speciale non pericoloso e quindi il loro corretto smaltimento comporta oneri economici non trascurabili (3-5 centesimi/kg). L’attribuzione del codice CER deriva dal materiale organico (biofilm, residui di animali, etc) attaccato alla superficie delle retine, pertanto la sua rimozione ne consentirebbe la declassificazione o, meglio, il recupero e riciclaggio del polipropilene nell’ambito della stessa o in altre filiere che lo utilizzano.

Recentemente, un progetto elaborato da ENEA e finanziato dall’Associazione Mediterranea Acquacoltori (AMA) ha portato allo sviluppo di un processo di recupero del polipropilene basato sulla distruzione, per via chimica, del materiale organico. Il processo è stato sviluppato a livello di laboratorio: funziona, almeno con quantitativi ridotti. Il materiale polimerico ottienuto ha le stesse caratteristiche meccaniche e chimiche di quello vergine.

L’applicazione di questo processo permetterebbe la realizzazione di una piattaforma di trattamento dedicata al riciclo del polipropilene, che, una volta liberato dai residui organici, si può riciclare, soprattutto nell’ambito della stessa filiera produttiva, evitandone lo smaltimento in discarica. C’è anche un certo ritorno economico poiché dal polipropilene riciclato si possono ottenere oltre 600 €/tonnellata. Si può, pertanto, configurare un ciclo produttivo virtuoso che coinvolga oltre gli allevamenti di cozze anche i produttori di retine poiché il polipropilene si può riciclare all’infinito con i ringraziamenti dell’ecosistema marino.