SERVE UN PIANO NAZIONALE DI GESTIONE DEI RIFIUTI

abbandono rifiutiLa corretta gestione dei rifiuti non può essere considerata una buona azione utile per esibire il proprio impegno a favore dell’ambiente. Questo è un impegno che, come ogni altra attività, va valutato in base al rapporto costi-benefici dove fra i costi è necessario considerare anche quelli ambientali e sociali associati alla produzione di rifiuti, siano essi di origine urbana o industriale. Fra i benefici possono essere annoverati la sensibilizzazione di noi consumatori e la crescente (si spera) responsabilizzazione di chi governa il territorio. Non è corretto, però, fare affidamento sulla singola volontà di cambiare il proprio stile di vita e sulla responsabilità della politica. Vi siete mai chiesti perché nell’ambito del “ciclo dei rifiuti” è stata avviata, anche grazie a fondi pubblici, solo la raccolta differenziata? Il politico, pur di non scegliere azioni impopolari, si è affidato ai comportamenti individuali scaricandone i costi sulla collettività e convogliando i guadagni sul privato che gestisce gli impianti di selezione!

La raccolta differenziata risolve solo una parte del problema perché per chiudere il ciclo dei rifiuti, è necessario recuperare sia materia che energia destinando la frazione non riciclabile alla discarica. E’ difficile, pertanto, sostenere l’approccio “rifiuti zero” e non a caso, quello che era considerato l’unico modello perseguibile, l’unico esempio virtuoso della strategia rifiuti zero, l’impianto di Vedelago, è fallito con un buco di bilancio milionario, almeno secondo la stampa. La paura del recupero energetico da rifiuti e la difficoltà di costruire impianti di trattamento, hanno bloccato qualsiasi piano di gestione realistico: nessun politico ha il coraggio di proporre qualcosa di sensato. Ci lasciamo influenzare, siamo talmente condizionati da smettere di ragionare. Un esempio? A lezione mi diverto a provocare gli studenti (chimica e chimica industriale) confessando che nel camino brucio polietilene e polipropilene, plastiche molto comuni fra i rifiuti solidi urbani. Al dissenso subentra lo stupore quando i ragazzi comprendono che, a meno di alcuni additivi specifici, si tratta di composti contenenti solo carbonio e idrogeno, come il metano. Forse dovremmo cominciare a fidarci della tecnologia anche perché le battaglie ambientaliste hanno consentito l’applicazione di normative molto restrittive. Liberiamoci da pregiudizi, cominciamo a programmare, dimensionare e localizzare correttamente gli interventi. Usiamo gli strumenti normativi per controllare il sistema produttivo e per monitorare l’ambiente. Investiamo in ricerca per trasformare il rifiuto in risorsa.

9 thoughts on “SERVE UN PIANO NAZIONALE DI GESTIONE DEI RIFIUTI

  1. Condivido con lei uno tutto quello che ha ben illustrato!!!! Diciamo che sui rifiuti si evidenziano le limitazioni e anche un pò di ignoranza sulla tematica da parte della nostra politica e forse anche da parte nostra!!!

  2. Caro Loris, condivido l’approccio ma non capisco perché dovrei gioire nel utilizzare il potere bcalorifico di questi polimeri, sapendo che per rifarli da zero mi occorre 4 volte più energia. Andrea Masullo

  3. Certo che anche a me, da ex polimeraro di ritorno, dispiace perdere energia, tant’è che in laboratorio (ENEA) sto tentando la depolimerizzazione di alcuni materiali anche se i costi non sono assolutamente sostenibili. Comunque dobbiamo considerare che in Europa si producono annualmente circa 60Mton di materie plastiche. Fra queste il polietilene (HDPE e LDPE), il polipropilene (PP,moplen per quelli con i capelli bianchi), il polivinilcloruro (PVC), il polistirene (PS, espanso e non) ed il polietilentereftalato (il PET delle bottiglie) rappresentano circa il 70% (il restante 30% vale comunque 18 Mton). Grazie all’aumento delle opzioni di gestione della plastica a fine vita e grazie alla crescente sensibilità dei cittadini verso queste tematiche, i materiali polimerici che finiscono in discarica sono in costante diminuzione malgrado l’incremento nella produzione procapite dei RSU. Quello che però normalmente si recupera, dalla raccolta differenziata, è il PE (3-400€/ton), il PET (4-500 €/ton) ed il PP (300€/ton) e, qualche volta il PS (non espanso). Non tutto il materiale polimerico presente nei rifiuti è quindi recuperabile e riciclabile (non tutto è termoplastico oppure pensa ai materiali compositi oggi molto comuni). Non tutto è idoneo per il recupero energetico (il PVC crea problemi con il cloro) come non tutto il rifiuto di plastica può essere riciclato tal quale. Esistono pertanto delle frazioni, consistenti, di materiali polimerici che difficilmente si collocano sul mercato del riciclaggio ed il cui destino nonpuò essere la tomba della discarica. E’ per questo che è quanto mai necessaria una strategia di gestione integrata dei rifiuti.

  4. A parte la descrizione delle situazioni che corrispondono alla realtà è nella sua esposizione e nelle soluzioni da lei proposte che traspare la sua formazione professionale e culturale. Rispetto a quello che racconta sulla sua attività universitaria mi auspico che i suoi studenti capiscano la sua provocazione e non vadano a bruciare in giro le plastiche che contengono quasi sempre additivi o altre sostanze tossiche.
    Quello che manca nella sue argomentazioni è la mancanza di prospettiva e visione futura.
    Non una parola sulla necessità di prevenire o ridurre drasticamente a monte la produzione di materiali e beni che non hanno altro percorso se non quello “dalla culla alla tomba”. Questo modello produttivo lineare che ha bisogno di innumerevoli inceneritori per nascondere i suoi limiti e il suo fallimento viene sostenuto da tutti coloro che vedono nella produzione di rifiuti un ineluttabile effetto collaterale del benessere da tollerare in cambio di occupazione e prosperità. Quel tempo è scaduto e bisogna cambiare il modello. Immagino abbia sentito parlare di Economia Circolare…..

    • chiedo scusa in quanto nella chiusura del suo post ci sono degli accenni che mi erano sfuggiti circa quanto ho appena commentato mancasse. Tuttavia allo stato attuale (spesso) non si tratta di non fidarsi della tecnologia, quanto di trovarsi di fronte a una tecnologia che viene male usata e di strumenti normativi che non riescono a controllare chi dovrebbero. Per questo (semplificando al massimo) bisogna lavorare ad un modello che produca “bene” e per default a cominciare dall’inizio, per evitare di metterci pezze dopo…

      • vedo con piacere che le provocazioni stimolano! un terzo delle mie lezioni si basano sul concetto di sostenibilità dei processi produttivi. Le assicuro che non è argomento molto visitato nelle università italiane. Racconto delle nefandezze dell’approccio “end of pipe” che ha caratterizzato lo sviluppo industriale del secolo scorso ma cerco anche di essere pragmatico di fronte a certe scelte, spesso obbligate. Siamo tutti consapevoli del fatto che il modo migliore di trattare i rifiuti è quello di non produrli e che in natura il concetto di rifiuto non esiste perché, chiudendo i cicli, tutto viene utilizzato. Oggi parliamo di Economia circolare e blu economy, ieri si parlava di green economy, urban mining e simbiosi industriale, l’altro ieri di decrescita felice. Perdiamo più tempo a identificare e proporre nuovi termini piuttosto che a rivedere il nostro modo di stare su questo pianeta. Cominciamo a considerare che ognuno di noi ogni giorno produce oltre 1 kg di RSU e consuma almeno 150 l di acqua potabile.
        Cosa intende per “lavorare ad un modello che produca bene”.

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