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Cambiamenti climatici e migrazioni: il ruolo dell’agricoltura

Posted on 19 Agosto 2019 by vmarletto

[da Paolo Lauriola, medico epidemiologo, associato al Cnr-IFC di Pisa]

LauriolaCome sottolineano le vicende di cronaca, non c’è giorno che clandestini, disperati che non hanno nulla da perdere, corrano ad imbarcarsi sopra le decrepite imbarcazioni che li porteranno non si sa dove, verso quella che credono la salvezza.

Si tratta di un problema sicuramente e drammaticamente italiano sia da un punto di vista politico, sociale e scientifico, ma che è a tutti gli effetti globale e che riguarda il mondo intero (Europa, USA, Australia, Africa, Asia). Un aspetto cruciale è la conoscenza dei dati reali[i] , ma anche e soprattutto della percezione del fenomeno[ii].

A fronte di tutto questo occorre però dare delle risposte non legate alla emergenza (reale e/o percepita). Partendo dal tema delle migrazioni ambientali, esso si è posto all’attenzione scientifica e popolare a livello globale a partire circa dagli anni Settanta del secolo scorso[iii] Sebbene il termine “rifugiati ambientali” non sia riconosciuto legalmente[1], la migrazione e i conflitti sono considerati meccanismi chiave attraverso i quali i cambiamenti climatici sono diventati una preoccupazione prioritaria tra i temi connessi con la salute globale[iv],[v], [vi],[vii].

Per quanto riguarda i cambiamenti climatici il recente rapporto Lancet Countdown sottolinea che essi possono rappresentare “il più grande rischio per la salute globale del 21° secolo”. I cambiamenti climatici possono portare a 1 miliardo le migrazioni entro la fine del secolo [viii]

Il fattore ambientale, infatti, va a interagire con tutta un’altra serie di fattori nel determinare la scelta di partire. Una serie interconnessa di fattori socioeconomici, politici e culturali nonché fattori correlati alle caratteristiche personali di ciascun individuo, devono essere presi in considerazione. I cambiamenti ambientali a turno influenzano tutti questi fattori in vario modo e tendono a esacerbare esistenti incentivi a emigrare.

Questa concettualizzazione riconosce che i determinanti della migrazione, più importanti sono quelli economici, che continueranno a essere il più potente driver nella maggior parte delle situazioni. Tuttavia i cambiamenti ambientali influenzeranno questi driver avendo un impatto, ad esempio, sui salari rurali, i prezzi agricoli, l’esposizione al rischio e la tutela degli ecosistemi.

Il modello occidentale, alla ricerca di compratori sempre diversi, tende a schiacciare chi è meno sviluppato e ha conseguenze dal punto di vista ambientale se una zona che era produttiva finisce con non l’esserlo più per via dell’accaparramento forzato di terreni (il cosiddetto land grabbing)[ix], ma anche se la desertificazione è appunto avvenuta a causa dell’uomo.

Un esempio è quello del Ghana e delle sue coltivazioni di pomodoro: Era una piccola industria fiorente, fino a che non è stata radicalmente cambiata dai pelati sottocosto italiani ed europei venduti a un prezzo più basso. Una prelibatezza straniera che, supportata dai notevoli contributi europei, ha soppiantato quella locale e portato molta gente a restare senza lavoro. Quella stessa gente che, magari, è salita su un barcone per arrivare in Italia dove non è raro sia finita a raccogliere i pomodori. Già da questi brevi concetti ed esempi emerge il rilievo dell’attività agricola nel fenomeno migratorio[x].

Su questi temi la Scienza si sta impegnando in modo sempre più pressante sia nei paesi di origine della migrazione[xi],[xii], ma anche e non ultimi, in quelli dove i migranti cercano di trasferirsi in termini di sostenibilità locale e globale[xiii].

Occorre quindi che La Scienza, ma soprattutto la Politica (con la P maiuscola), puntino a creare un contesto di conoscenza che è la premessa essenziale per creare collaborazioni tra il cosiddetto mondo sviluppato e quello dei paesi a basso e medio reddito, per avviare una visione  coordinata anche e soprattutto in ambito agro-zootecnico

In altre parole occorre definire una strategia  che punti a realizzare esperienze concrete, non occasionali e significative  che saranno il vero messaggio da condividere come esempi di successi da perseguire.

[1] La Convenzione di Ginevra del 1951, infatti, concede lo status di rifugiato solo a chi è perseguitato per razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche. D’altra parte il recensente Accordo “Global Compact For Safe, Orderly And Regular Migration” del 13 July 2018 a Marakesh in Marocco, pone tra gli obiettivi quello di “Minimize the adverse drivers and structural factors that compel people to leave their country of origin” (Ob 2)  tra cui in particolare “Natural disasters, the adverse effects of climate change, and environmental degradation”


[i] https://www.cartadiroma.org/news/rifugiati-migranti-7-grafici-capire-italia/

[ii] https://www.corriere.it/politica/18_agosto_28/gli-immigrati-oltre-70percento-italiani-pensa-che-siano-4-volte-piu-a6e498e6-aa38-11e8-bb57-056c6010fdbf.shtml?refresh_ce-cp

[iii] Stojanov R, Kelman I, Shen S, Duzi B, Upadhyay H, Vikhrov D, et al. Contextualising typologies of environmentally induced population movement. Disaster Prev Manag. 2014;23(5):508–23

[iv] Watts N, Adger WN, Ayeb-karlsson S, Bai Y, Byass P, Campbell-lendrum D, et al. The Lancet Countdown : tracking progress on health and climate change. Lancet [Internet]. 2016;6736(16):1–14. Available from: https://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(16)32124-9

[v] McMichael C, Barnett J, McMichael AJ. An Ill Wind ? Climate Change , Migration , and Health. Environ Health Perspect. 2012;120(5):646–54.

[vi] McMichael AJ, Woodruff RE, Hales S. Climate change and human health: Present and future risks. Lancet. 2006;367(9513):859–69.

[vii] Burrows K, Kinney PL. Exploring the Climate Change , Migration and Conflict Nexus. Int J Environ Res Public Heal J. 2016;13(443):1–17.

[viii] Watts N, Amann M, Ayeb-karlsson S, Belesova K, Bouley T, Boykoff M, et al. The Lancet Countdown on health and climate change : from 25 years of inaction to a global transformation for public health. Lancet [Internet]. 2017;391(10120):581–630. Available from: http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(17)32464-9

[ix] Maccarrone Cristina, https://www.osservatoriodiritti.it/2017/09/20/profughi-ambientali-immigrazione-asgi/ , 2017

[x] Milena Gabanelli Data Room:  https://www.msn.com/it-it/video/notizie/vogliamo-aiutare-lafrica-compriamo-rose-ma-attenzione-al-marchio/vi-AAEKN0V?ocid=spartandhp

[xi] Ciceri D., Allanore C. Local fertilizers to achieve food self-sufficiency in Africa. Science of The Total Environment. Volume 648, 15 January 2019, Pages 669-680

[xii] Can Local Rocks Grow More Crops? Researchers Call for Renewed Efforts to Develop a New Generation of Local, Affordable Fertilizers Atlas: https://www.elsevier.com/connect/atlas/can-local-rocks-grow-more-crops?utm_campaign=STMJ_95922_AWDS_WIN&utm_medium=email&utm_dgroup=95922_MAIN_NOAB_SGL_ALL&utm_acid=669316826&SIS_ID=-1&dgcid=STMJ_95922_AWDS_WIN&CMX_ID=&utm_in=DM551802&utm_source=AC_30

[xiii] http://www.sossanita.org/archives/7234

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IL SALE NELLA MINESTRA

Posted on 28 Maggio 2019 by vmarletto

Strabismo_di_Venere_-_BotticelliNella minestra il sale ci vuole altrimenti non è buona, ma se col sale si esagera diventa immangiabile…

Questa metafora rappresenta il ruolo dell’effetto serra sul clima terrestre, senza effetto serra il pianeta sarebbe troppo freddo per la vita (temperature mediamente molto inferiori alle zero), grazie all’effetto serra naturale le temperature stanno mediamente ben al di sopra del punto di congelamento dell’acqua e dunque risultano adatte alla vita.

Da qualche tempo, in particolare negli ultimi decenni stiamo aggiungendo alla minestra atmosferica troppo “sale climatico” (anidride carbonica e altri gas serra di origine umana, che vengono valutati convertendoli nel loro equivalente in anidride carbonica) e stiamo precipitando dalla parte opposta, dove fa troppo caldo e si crepa per questo.

Vale la pena ricordare che su Venere c’è un effetto serra eccessivo e la superficie del pianeta si trova a 460 gradi, nemmeno le robuste sonde sovietiche anni Settanta hanno resistito a lungo a quel clima.

Oggi i terrestri stanno facendo un uso smodato di fonti energetiche fossili a base di carbonio. Si brucia carbone nelle centrali elettriche, si brucia petrolio nei motori termici dei mezzi di trasporto, si brucia gas nelle caldaie termoelettriche e domestiche. Aggiungiamo che si brucia anche troppo legname (il pellet americano che va nella centrale inglese di Drax, la foresta indonesiana che va in fumo per lasciare posto alle palme da olio ecc.), e che la massima parte di tutta questa inquinante energia viene sperperata (dispersa nell’ambiente come inutile calore).

Sette tonnellate all’anno di CO2 equivalente per ogni abitante del pianeta sono decisamente troppe. C’è chi genera solo una tonnellata (gli africani) chi venti (gli americani) chi addirittura 35 (emiri e simili) quindi siamo alle solite medie del pollo (un pollo a me, zero a te fa mezzo per un uno, ma solo in media).

Guarire il clima malato della terra al momento non si può, però si deve stabilizzare il malato in attesa di trovare cure definitive. Per stabilizzare la situazione devono cessare le emissioni, per tornare indietro (ammesso che si possa) si dovrà riportare a casa un bel po’ del “sale” che abbiamo già buttato nella minestra del clima.

Per fermare le emissioni la ricetta in fondo è banale. Tutto il nostro consumo di energia deve diventare elettrico, e tutta l’elettricità va prodotta senza bruciare nulla, ossia col sole col vento e con l’acqua (più altri modi tutto sommato marginali).

Prendiamo le case. Oggi sono dei veri e propri colabrodi energetici scaldati a gas e raffreddati a corrente. Vanno ben isolate (coibentazione) e mantenute confortevoli usando pompe di calore elettriche alimentate a fonti rinnovabili (se volete vedere come si fa vi porto da un amico modenese, agronomo e cooperante, che nella sua casa di collina ha fatto esattamente questo).

Prendiamo le auto. Devono diventare al più presto elettriche. Perché i motori elettrici sono molto ma molto più efficienti e puliti di quelli tradizionali e soprattutto si possono ricaricare le batterie col sole. L’amico ricercatore Nicola Armaroli fa esattamente così, macchina elettrica ricaricata a pannelli fv durante il we e poi utilizzata in settimana per andare al lavoro dalla campagna alla città. Emissioni zero. E diminuzione drastica dei costi vivi, anche se naturalmente l’auto è costata più di una tradizionale.

Ma anche nei villaggi africani la vita migliora enormemente col pannellino fv che fa andare la pompa del pozzo per innaffiare l’orto e consente di ricaricare i cellulari per sapere che prezzi ci sono al mercato prima di portare la verdura da vendere, su un carretto trainato dalla bici elettrica caricata con lo stesso impiantino solare.

Convertire a rinnovabili tutto il nostro fabbisogno energetico si può fare in un tempo non lunghissimo e con ottime prospettive per l’economia e il lavoro. Avevamo in effetti già cominciato a fine Ottocento (l’Italia del nord è stata una grande pioniera delle centrali idroelettriche). Poi dopo un lunghissimo periodo in cui si è puntato solo su petrolio e gas (e nucleare) siamo tornati alle rinnovabili, con gli incentivi all’eolico e al fotovoltaico (governi Prodi uno e due). Oggi un buon 30% della nostra corrente è a emissioni zero, ma da almeno sei anni le installazioni fve (fotovoltaico ed eolico) sono quasi del tutto interrotte, mentre si continua stupidamente a favorire il fossile con grandi agevolazioni.

La parola deve passare ai cittadini e di conseguenza alla politica. I più giovani devono capire cosa stanno rischiando (un mondo inabitabile entro pochi decenni), e devono pretendere dai più vecchi che si diano da fare per rimediare al caos climatico che hanno innescato senza saperlo (alcuni sapevano ma se ne sono altamente fregati).

Greta Thunberg ha assolutamente ragione a pretendere che la politica faccia i compiti a casa. I prezzi delle fonti rinnovabili sono enormemente calati anche solo rispetto a dieci anni fa, bisogna quindi solo rimuovere gli ostacoli frapposti al loro sviluppo completo. Bisogna anche smetterla di dar denaro a chi danneggia il clima (in Italia le sovvenzioni sbagliate ammontano a una quindicina di miliardi l’anno!).

Bisogna prendere esempio da chi fa bene, mettendo insieme tutti i migliori casi disponibili si ottiene subito un comportamento ottimale del paese. Per le elettromobili si segua l’esempio norvegese, per l’eolico l’esempio danese (o anche portoghese o spagnolo), per il fotovoltaico l’esempio italiano (ossia si recuperino al più presto, rivedendole in base ai nuovi prezzi, le politiche che hanno favorito le grandi installazioni avvenute tra il 2010 e il 2012).

Buoni esempi vengono anche da paesi extraeuropei, come il Costarica, Uruguay, Marocco e persino Arabia Saudita che nonostante le enormi emissioni procapite dovute al petrolio si è buttata anche sul solare.
La minestra politica italiana ed europea ha bisogno di sale, è scipita, e Greta ne porta un bel sacco con sé. Meno male.

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Riconvertire ENI, un grattacapo per Descalzi

Posted on 2 Febbraio 2019 by vmarletto

Dubito che l’amministratore di Eni Claudio Descalzi leggerà mai queste righe. In ogni caso mi piacerebbe dirgli che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Laureato in fisica, per uno strano destino si è in effetti sempre e solo occupato di petrolio, con risultati tanto impressionanti da portarlo nel 2014 fino ai vertici del grande Ente Nazionale Idrocarburi fondato dal mitico Enrico Mattei.

Il problema di Descalzi sono per l’appunto gli idrocarburi. Sostanze che vengono continuamente bruciate in ogni sorta di apparati fissi e mobili per procurare energia elettrica calore e movimento. Un mercato apparentemente perfetto per fare molti soldi, chi non ha bisogno di energia elettrica calore e movimento?

E in effetti Eni di soldi ne muove e ne fa molti, così come lo stesso Descalzi, che quanto a soldi non se la passa certo male, con qualche milione l’anno di emolumenti. D’altronde secondo Adnkronos Eni quest’anno avrà messo insieme quasi 5 miliardi di utili (per capirci l’ente guadagna 13 milioni al giorno circa, ovvero circa sette euro ogni barile equivalente di petrolio che produce). Quindi Descalzi il suo stipendio da amministratore delegato se lo è guadagnato con onore.

Resta però il problema di cui sopra, gli idrocarburi appunto. La fisica e la chimica che Descalzi senz’altro ricorda bene ci dicono infatti che bruciando idrocarburi si emette carbonio in atmosfera, e che la forma che il carbonio assume durante la combustione come gas biossido di carbonio o CO2 ha alcune sgradevoli proprietà. Si accumula in aria per moltissimo tempo, e soprattutto assorbe molta energia nell’infrarosso termico, contribuendo pesantemente a spostare l’equilibrio climatico del pianeta verso il rosso, ovvero verso il caldo.

Tutte le nazioni della Terra, Italia compresa, hanno firmato nel dicembre 2015 un accordo che Descalzi dovrebbe temere molto. L’Accordo di Parigi in poche parole dice infatti che l’Eni dovrebbe chiudere.

Infatti il mondo intero deve smetterla di bruciare idrocarburi se vuole evitare la catastrofe climatica. Deve smetterla di usare motori a combustione interna, di bruciare gas (e carbone) nelle caldaie delle centrali termoelettriche, e persino in quelle domestiche.

Oggi ogni abitante della terra (e dell’Italia) emette in media (le solite medie del pollo, beninteso) ben settemila chili di CO2 ogni anno. Questi valori dovrebbero dimezzare ogni dieci anni, fino ad arrivare virtualmente a zero entro il 2050. Questo dicono i calcoli più accreditati degli scienziati, impegnati a progettare la salvaguardia dell’umanità dalla catastrofe termica.

E allora torniamo a Descalzi e poniamogli il problema: come farà un uomo intelligente e anche scaltro come lui a evitare di farsi chiudere baracca? Io che non sono molto intelligente e pochissimo scaltro, penso a una sola soluzione possibile.

Riconvertire Eni. Organizzare un grosso piano di riconversione industriale e puntare con decisione all’energia pulita (sole e vento) invece che al petrolio e gas, alla generazione elettrica invece che alla combustione, all’efficienza nei motori e negli edifici invece che alle dispersioni spaventose cui assistiamo adesso (siamo sull’ordine dell’80% di puro spreco in entrambi i settori).

C’è molto da fare per Descalzi e collaboratori. Teniamoli d’occhio.

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Il tallone del carbonio

Posted on 4 Novembre 2018 by vmarletto

Sono ormai sette giorni che vediamo catastrofi, i morti sono oltre venti (dalla Liguria alla Sardegna passando per Trentino Lazio e Val d’Aosta, e da ultimo la tremenda tragedia vicino Palermo), milioni gli alberi caduti tra costa tirrenica, Veneto e Trentino, e sì, decine anche gli yacht sbattuti dalle onde contro le piccole città costiere della Liguria, devastata da una mareggiata mai vista a memoria d’uomo o donna.talloneferro

La gente (politici inclusi) non collega, non capisce che la catastrofe meteo dipende dalle emissioni di gas serra, quelli della sua propria auto ma anche della centrale elettrica, dell’inceneritore, e del cemento con cui si vuole continuare a “decorare” la penisola…

Ogni italiano (in media con tutti i terrestri) a sua insaputa emette ogni anno in atmosfera ben sette tonnellate di anidride carbonica, equivalenti alla massa di sette metri cubi d’acqua e al volume di una grande mongolfiera biposto.

Questa faccenda delle emissioni va avanti da decenni, la quantità di carbonio che si trova in atmosfera oggi eccede di un buon 50% quella naturale, è una modificazione talmente grande che molti studiosi pensano sia in grado di bloccare il ciclo naturale delle glaciazioni, e questo potrebbe essere un bene, ma anche di riscaldare il clima terrestre oltre ogni livello di guardia.

L’atmosfera si è dunque sovraccaricata di anidride carbonica e questa trattiene il calore in terra e soprattutto in mare. Sono i mari surriscaldati a dare potenza e umidità alle perturbazioni che ormai non si sa più se chiamare uragani bombe d’acqua o trombe d’aria, mentre in realtà sono versioni ingigantite di fenomeni ben noti ai meteorologi, come i temporali e i relativi colpi di vento.

Sembra inutile ripetere sempre le stesse cose ma io lo faccio lo stesso. E’ ora di cambiare. Dobbiamo rapidamente abbandonare gas benzine diesel e carbone. Tutta l’energia che ci serve si può e si deve produrre con il sole il vento e l’acqua, senza emettere più un grammo di carbonio. Le abitazioni vanno coibentate seriamente, e quelle nuove costruite diversamente, dalla villetta al condominio, le caldaie vanno spente, sostituite da sistemi elettrici efficienti come le pompe di calore. I motori a scoppio devono sparire quanto prima, dato che sono forse la causa principale di questo sconquasso climatico, e vanno sostituiti con motori elettrici, su strada o su rotaia, alimentabili a fonti rinnovabili, privi di fumi, e soprattutto molto più efficienti (quattro volte più efficienti) dei motori temici (che come dice il nome stesso sperperano in calore l’80% dell’energia fossile che usano). Bisogna fermare la follia dei sussidi alle fonti fossili (che sembra ammontino a ben 16 miliardi di euro l’anno solo in Italia) e anche quelli alle biomasse, che di verde non hanno nulla, salvo quel poco di materiale che è scarto di lavorazione agricola o legnosa. Bisogna smettere di cementificare e spianare di autostrade il paese, piantarla con la retorica delle “grandi opere” che nascondono solo grandi magna magna. Il paese ha bisogno di tante piccole opere ben fatte e responsabili, per arginare i danni da maltempo (o malclima) attuale e prossimo venturo.

Pianificare e attuare questi cambiamenti dovrebbe essere il cruccio principale di ogni amministratore dal condominio alla città alla regione allo stato nazionale. Chi governa il paese è responsabile delle sue scelte energetiche e deve decidersi a prendere per il bavero le varie Enel Eni Hera e così via, costringendo i dirigenti a cambiare verso o andarsene. Oppure che se ne vadano a casa i politici, che fanno finta di non capire cosa stiamo rischiando per colpa loro.

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Cara Madre

Posted on 26 Ottobre 2018 by vmarletto

BabyMother-800x557Cara Madre,

Forse non sei un’esperta di cambiamenti climatici, ma di sicuro sei un’esperta nel crescere i tuoi figli e ti stai sforzando di proteggerli da ogni possibile pericolo che potrebbe rovinare la loro vita, ora e in futuro.

Bene, ora è giunto il momento di accorgersi che una minaccia è in vista. Non è una minaccia quotidiana come, diciamo, un’auto da evitare nell’attraversare la strada, o un’ape che potrebbe pungere uno dei tuoi bambini.

È una minaccia grande, globale, e sta iniziando a diventare pericolosa in questo momento, e peggiorerà molto, a meno che non si prendano alcune precauzioni.

I tuoi figli potrebbero effettivamente essere esposti ad un mondo molto più caldo di quello in cui sei cresciuta tu.

Un mondo più caldo significa più pericoloso, perché potrebbe esserci meno cibo per i tuoi figli, e per i loro. Potrebbero esserci guerre derivanti dalla scarsità di acqua e cibo. Ci potrebbero essere immense migrazioni, che superano di gran lunga quelle che già vediamo ora.

Non ci potrebbe essere più neve sulle montagne a causa degli inverni più caldi, non più spiagge per le vacanze a causa dell’innalzamento del livello del mare, non più foreste per fare una passeggiata a causa di incendi incontrollabili.

La vita potrebbe diventare infelice per tutti noi, anche per i tuoi figli. A meno che.

A meno che tu non ti renda conto di quello che il cambiamento climatico e il riscaldamento globale significano veramente per te e per i tuoi figli.

A meno che tu non alzi la voce in nome dei tuoi figli per chiedere ai potenti e ai ricchi di smettere di rovinare il clima del pianeta terra e il futuro di tutti noi.

A meno che tu non dica loro che abbiamo bisogno di buon cibo, acqua fresca, aria pulita e paesaggi incontaminati per realizzare vite degne di essere vissute, e che tutto questo è in pericolo perché i potenti e i ricchi non vogliono cambiare.

A meno che tu non dica loro di cambiare. Abbandonando il petrolio sporco, il carbone sporco, il gas sporco, per l’energia pulita, quella fatta solo con il sole con l’acqua e con il vento.

I combustibili fossili sono sporchi perché stanno riversando enormi quantità di carbonio nell’aria. L’anidride carbonica è invisibile ma è lì e cresce. Sta rovinando il nostro clima e minacciando la sopravvivenza dei tuoi stessi bambini.

Non guardare più in un cielo blu o una notte stellata senza pensarci.

L’anidride carbonica si accumula sulla tua testa e sta spingendo l’effetto serra naturale, che mantiene il nostro pianeta abbastanza caldo per la vita, a nuovi livelli pericolosi, anno dopo anno, giorno dopo giorno.

Ricordati del pianeta Venere, molto vicino alla Terra ma impossibile da vivere, dato che troppa anidride carbonica ha spinto la sua temperatura oltre i 400 gradi…

Gli scienziati che studiano il clima ti dicono che non è rimasto molto tempo per il cambiamento, e che i cambiamenti devono iniziare proprio ora.

Abbiamo bisogno di nuove leggi per renderci non più dipendenti dai combustibili fossili, e per renderci tutti dipendenti dal sole e dai venti, liberamente disponibili.

I politici devono rendersi conto che lo stai chiedendo per il bene dei tuoi figli, e che il tuo voto dipende da questo.

Devono fare qualcosa e devono farlo ora, a tutti i livelli, dal sindaco della tua città fino al governo centrale.

Leggi attentamente le notizie sui cambiamenti climatici, con la stessa cura che dedichi a garantire una cena sana per i tuoi figli. Hanno la stessa importanza per loro.

Ti prego di contattare altre madri e discutere di questo argomento con loro. Per favore, spiegalo a tuo marito e ai tuoi genitori.

Guarda i tuoi figli e combatti per proteggerli dal riscaldamento globale.

I tuoi figli ti ringrazieranno per averlo fatto.

Ti abbraccio

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Dear mother

Posted on 10 Ottobre 2018 by vmarletto

BabyMother-800x557Dear mother,

Maybe you are not an expert in climate change but for sure you are an expert in raising your children and you are taking any effort to protect them against any possible harm that could spoil their life now and in the future.

Well, then it is high time you realize that there is one of those threats in view. It is not an everyday threat like, say, a car to avoid in crossing the street, or a wasp possibly stinging one of your children.

It is Big and it is Global and it is starting to get Dangerous right now and it will worsen very much unless you take some precautions. Your children could actually be exposed to and face a much warmer world than the one you where grown into.

Warmer means more dangerous, as in a warmer world there could be less food for your children, and theirs. There could be wars stemming from the scarcity of water and food. There could be immense migrations far exceeding the ones we already see now. There could be no more snow on the mountains because of warmer winters, no more beaches for holidays because of raising sea level, no more forests to take a stroll because of uncontrollable fires.

Life could get miserable for all of us, also for your children. Unless.

Unless you realize what climate change and global warming really mean for you and your children.

Unless you raise your voice in the name of your children and ask the powerful and the rich to stop spoiling the climate of planet earth and the future of us all.

Unless you tell them we need good food, fresh water, clean air, and pristine landscapes to carry out lives worth living, and that all this is in threat because the powerful and the rich do not want to change.

Unless you tell them to change. Change from dirty oil, dirty coal, dirty gas, to clean power, made from sunshine and wind.

Dirty fossil fuels are pouring enormous amounts of carbon in the air. It is invisible but it is there and growing. It is spoiling our climate and menacing the survival of your very children.

Don’t look any more at a blue or starry sky without thinking of it.

Carbon dioxide is accumulating over your head and pushing the natural greenhouse effect, now keeping the planet warm enough for life, to new dangerous levels year after year, day after day.

Remember planet Venus, very near the earth but impossible to live on, as too much carbon dioxide pushes its temperature as high as 400 degrees Celsius (750 F).

Scientists are telling you that there is not much time left for change and that changes must start right now.

We need new laws to make us no more dependent on fossil fuels and to make us all dependent on the freely available sunshine and winds.

Politicians must realize that you are asking that for the sake of your children, and that your vote depends on that.

They must deliver and they have to do it right now at all levels, from your city lord mayor up to the central government.

Please read carefully the news about climate change, with the same care you devote to ensure a healthy dinner for your children. They have the same importance for them.

Please contact other mothers and discuss this subject with them. Please explain this to your husband and parents.

Look at your children and fight to protect them against global warming.

Your children will thank you for doing so.

Love

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Il pianeta serra

Posted on 20 Agosto 2018 by vmarletto

hothouse_EarthIn quest’estate 2018 le cattive notizie climatiche si sono susseguite senza tregua. Abbiamo assistito alla tragedia dell’incendio greco, all’epidemia di fuoco in Svezia, ai roghi della California, e a quelli in Portogallo. In Gran Bretagna gli allevatori sono rimasti senz’acqua per il bestiame, mentre le aziende (privatizzate) dei servizi essenziali proponevano l’invio di “acqua in bottiglia”! E chi non è perseguitato dal fuoco lo è dall’acqua, com’è successo in Giappone (alluvioni a Hiroshima) e da poco in India (alluvioni in Kerala). In Australia non è estate ma la situazione della siccità è grave come non mai nella regione di Sidney.

Nonostante tutte queste disgrazie le cose peggiori ce le comunica la scienza in aridi articoli tecnici come quello uscito da poco presso la rivista Pnas (Atti dell’accademia delle scienze americana): sotto un titolo alquanto sibillino (Traiettorie del sistema Terra nell’Antropocene) si leggono tremende previsioni sul futuro del clima planetario, che appare sul punto di prendere un china di riscaldamento inarrestabile, persino se venissero davvero realizzate tutte le misure di taglio delle emissioni previste dal peraltro inapplicato Accordo di Parigi sul clima.

Gli autori del lavoro ci comunicano che per allontanare dai noi simili prospettive dovremmo prenderci la massima cura dell’intero sistema Terra – che include biosfera, clima, e società umana – e puntare alla decarbonizzazione dell’economia globale, al potenziamento dei depositi di carbonio nella biosfera (suolo foreste oceani), cambiare i nostri comportamenti quotidiani, introdurre innovazioni tecnologiche, nuovi sistemi di gestione pubblica, e persino adottare valori sociali opportunamente trasformati…

Il problema serio è il soggetto, quel “noi” che implica un’umanità coesa che agisca in base a conoscenza e razionalità adoperandosi con tutte le proprie forze a fermare il nemico climatico alle porte.

In realtà il “noi” non esiste a scala globale, e nemmeno a quella locale. Gli interessi divergenti in gioco sono tali che che per interrompere il viaggio verso il “Pianeta serra” (Hothouse Earth, come lo definiscono gli autori) dovremmo assistere a una sorta di rivolta globale di massa contro chi persegue con tale accanimento il profitto da trascurare del tutto le conseguenze dello stesso sull’ambiente (e in definitiva sul destino dei propri stessi figli e nipoti).

Ma questa rivolta è improbabile, i cittadini del mondo tendono ad agitarsi solo su questioni estremistico-religiose o su temi pseudoscientifici (no ai vaccini oppure allarme per improbabili “scie chimiche”) mentre pullulano elementi di disinformazione generata ad arte e diffusi in maniera virale sulla rete.

Il messaggio che il pianeta stia rapidamente scivolando su una china che potrebbe renderlo del tutto inospitale per l’umanità invece non passa. Né passano messaggi sui metodi da applicare per frenare prima possibile questa tendenza.

Abbiamo quindi bisogno di un “Casaleggio” del clima? Ovvero di un guru della comunicazione che investa tempo e denaro a fin di bene? Ci ha provato Al Gore, ma non mi pare abbia davvero avuto qualche effetto sulle coscienze di tutti.

O ci serve qualche spaventosa catastrofe direttamente imputabile al riscaldamento globale? L’abbiamo già avuta (la canicola del 2003, che da sola fece 35mila morti di caldo in Europa) ma non sembra aver lasciato il segno. Che fare allora? Io non lo so ma magari voi avete più idee di me.

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Temperatura letale

Posted on 9 Marzo 2018 by vmarletto

Ho tra le mani un numero di gennaio della rivista inglese New Scientist, con un ampio articolo sull’enorme calore estivo che nel 2017 ha colpito l’Australia, mettendo a dura prova gli abitanti, benché abituati a sopportare il caldo. Con oltre 40 gradi di massima per settimane persino le vacche al pascolo morivano, mentre ampi incendi distruggevano superfici vastissime di vegetazione spontanea.
Le cose non migliorano nel 2018: lo scorso gennaio (laggiù siamo in estate) la temperatura di Sidney ha raggiunto addirittura i 47 gradi, un record assoluto, ma le proiezioni per il prossimo futuro parlano di ondate termiche estive fino a 50 gradi.
Già oggi questi caldi estremi producono gravi problemi sanitari e secondo alcune analisi il 30% dell’umanità subisce almeno 20 giorni l’anno di temperature potenzialmente letali. Ma la temperatura di per sé non rappresenta l’intero problema, il problema diventa drammatico se non si è in grado di traspirare, ovvero se l’aria diventa troppo umida per consentirlo. Allora si interrompe il meccanismo di autoregolazione termica e in qualche ora può sopravvenire la morte.
Per valutare l’umidità dell’aria i meteorologi oltre a quella consueta misurano anche la cosiddetta “temperatura di bulbo bagnato” (Tbb) ossia la temperatura di un termometro il cui bulbo è avvolto in una garza umida: dalla differenza tra le due temperature si ottiene una valutazione precisa dell’umidità presente in aria.
Questa misura particolare fornisce un valore limite molto netto: se la Tbb supera i 35 gradi per sei ore di fila noi umani non possiamo sopravvivere, persino stando all’ombra, nel senso che salta la possibilità di dissipare calore per mezzo della traspirazione e il corpo va in ipertermia fatale.
Fin’ora questa situazione terribile non si è mai verificata, anche se in questi anni in alcuni posti del mondo ci si è andati vicino. Il tema è particolarmente rilevante per il subcontinente indiano, luogo popolosissimo, molto caldo e spesso molto umido, dove tra Pakistan India e Bangladesh vivono oggi oggi oltre un miliardo e mezzo di persone, la maggior parte delle quali costrette a subire le condizioni esterne in quanto molto povere e viventi in zone rurali.
Il tema dell’adattamento a queste situazioni impone di organizzarci meglio, per esempio migliorando la struttura delle nostre città e abitazioni in maniera da contrastare l’accumulo di calore, ma soprattutto di attivarci per impedire al clima di proseguire su questa pericolosa traiettoria.

Restando in Australia leggiamo di grandi successi nelle fonti rinnovabili e nell’accumulo di energia, con la più grande batteria di accumulatori Tesla attivata solo poche settimane fa a servizio di un impianto eolico, ma bisogna anche considerare che la maggior parte dell’energia elettrica australiana (e non solo) proviene dal carbone, un settore che domina pesantemente anche la politica e riesce a condizionare le elezioni in molti paesi.

Per evitare di arrivare alle temperature fatali di cui sopra tassare il carbonio (è di conseguenza il carbone) è indispensabile. La politica che non agisce in questo senso si rende complice del disastro climatico, e prima o poi l’elettorato viene a saperlo e la punisce.

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La legge del dimezzamento

Posted on 19 Gennaio 2018 by vmarletto

Abbiamo tutti saputo che anche il 2017, così come i tre anni precedenti, è stato un anno di caldo record. Il riscaldamento del pianeta ad opera dell’umanità è dunque ormai in grado di offuscare anche gli effetti naturali, il 2017 infatti avrebbe dovuto essere un anno “Niña”, ovvero meno caldo del solito, a causa di quel complesso fenomeno climatico naturale che si svolge nell’Oceano Pacifico e che attraversa una fase calda detta Niño (l’ultima nel 2016) e una fredda detta appunto Niña (l’ultima nel 2017).
Appare quindi sempre più urgente muoversi per contrastare con efficacia il riscaldamento globale ed è per questo indispensabile operare tagli drastici e rapidi alle emissioni di gas serra, anidride carbonica in primis, in maniera da arrivare a zero emissioni o quasi entro il 2050 (ossia entro poco più di trent’anni).
Una legge semplice che si dovrebbe adottare è quella del dimezzamento ogni decennio, così come proposta da Rockstroem e colleghi (2017) sulla rivista americana Science. Lo scienziato svedese ha immaginato un percorso di avvicinamento all’obiettivo che risulti chiaro a chiunque: siccome i primi progressi da fare sono i più semplici bisogna approfittarne e darci dentro con tagli drastici. I tagli successivi diventano via via più complessi da attuare, secondo la ben nota legge dei rendimenti decrescenti (tipo per cambiare casa il grosso del lavoro si fa in una setttimana ma per attaccare tutti i lampadari passa anche un anno…).

Applicando questo principio del dimezzamento all’Italia chi va al governo in marzo dovrebbe considerare che le emissioni attuali (2015) sono di 443 Mt CO2eq (Ispra 2017). L’arco di attività potenziale del prossimo governo (il quinquennio 2018-2023) dovrebbe quindi prevedere un taglio di 110 Mt, ossia di 22 Mt/anno.

Per ottenere un simile effetto gli strumenti disponibili sono principalmente tre:
– forme di incentivazione per il raddoppio del parco elettrico rinnovabile (sole e vento), che da anni langue sotto i 30mila MWp (17,7 GWp fotovoltaico + 9,5 GWp eolico);
– disincentivazione e drastico calo delle combustioni fossili sia per la produzione di energia che per l’autotrasporto (questi due settori insieme contribuiscono 104+104 Mt di emissioni);
– coibentazione dell’energivoro patrimonio edilizio nazionale (il solo settore residenziale contribuisce 47 Mt, cioè oltre il 10% delle emissioni complessive).

Dal punto di vista operativo quindi il nuovo governo dovrebbe riesaminare radicalmente gli obiettivi della Sen (Strategia energetica nazionale) alla luce di queste necessità di lotta al cambiamento climatico e di decarbonizzazione del paese. Dovrebbero essere altresì studiati provvedimenti attuativi che:

– riaprano il mercato delle installazioni rinnovabili (senza trascurare la questione della compartecipazione dei cittadini agli utili, essenziale per ridurre i contenziosi),

– aprano il mercato alle auto elettriche (creando le postazioni per ricaricarle, quanto più possibile con le rinnovabili…),

– attivino un programma generale (incentivato ma obbligatorio) di ristrutturazione delle abitazioni.

Servono conti dettagliati, e una pianificazione puntuale. Ma in Italia tra ministeri Gse Terna Enea Università e autorità varie di gente che possa impostare questi conti non ne manca mica… Purché non manchi la volontà politica!

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Il futuro è solare (ma non per tutti)

Posted on 6 Dicembre 2017 by vmarletto

A cura del gruppo Energia per l’Italia

Secondo un recente (e molto lungo) pezzo pubblicato in rete da V. Romanello e F. Andreoli nel sito filonucleare Atomi per la Pace l’energia fotovoltaica sarebbe in un vicolo cieco. In particolare secondo gli autori l’energia necessaria per costruire i pannelli sarebbe talmente elevata in rapporto alla produzione elettrica degli stessi che il loro uso non darebbe alcun vantaggio (in sostanza  l’indicatore ERoEI – energia prodotta rispetto all’energia investita – risulterebbe inferiore all’unità).

L’articolo risulta pieno di forzature, tutte dalla stessa parte. Ad esempio si parla di un prezzo di €2.300 per kWp dell’impianto che forse è realistico per impianti piccolissimi (2 kWp). Al crescere della taglia però il prezzo tende a € 1.000/kWp (1,2).

La figura 10 di Romanello/Andreoli sul consumo di energia (massimo alle ore 18) si riferisce al 5 dicembre, giorno nel quale il fotovoltaico fa in effetti un po’ fatica alle 18. In verità, con le estati sempre più torride che inducono a forti picchi diurni di consumo elettrico per i condizionatori, avere in Italia un parco fotovoltaico da 20mila megawatt in piena attività nelle stesse ore è una vera benedizione per le nostre emissioni di gas serra.
Gli autori parlano inoltre di costi di pulizia e manutenzione pari a 15% all’anno che sono largamente esagerati, così come i rischi di incendio.

Nel pezzo si legge inoltre: “Bisogna considerare come la natura dei pannelli possa influenzare lo scenario incidentale in caso di incendio: quelli in silicio non danno particolari problemi, ma quelli all’arseniuro di gallio o al tellururo di cadmio possono rilasciare fumi tossici.” Peccato che in Italia i pannelli utilizzati siano praticamente solo quelli in silicio e che il tellururo di cadmio sia sostanzialmente assente dal contesto europeo anche per problemi regolatori.

Per sostenere le loro tesi gli autori fanno riferimento anche a un articolo di Ferroni e Hopkink apparso nel 2016 sulla rivista tecnica Energy Policy, il quale sosteneva conclusioni analoghe presentando una stima del citato parametro ERoEI (Energy Return on Energy Invested) inferiore a 1 (0,82). I conti però sono fatti per la Germania (per l’Italia bisogna scalare tutto in alto del 30-40%) e la lunghezza di vita del pannello (17 anni) sembra largamente sottostimata. In letteratura si citano invece valori di ERoEI pari ad almeno 5 e tipicamente 10 e oltre, assumendo tra l’altro una durata di vita dei pannelli di 30 anni. La durata dei pannelli dipende chiaramente anche dall’incentivo a mantenerli in funzione, e a continuare nelle normali operazioni di manutenzione dell’impianto.

L’articolo di Ferroni e Hopkirk tra l’altro generò una reazione molto pronta e critica da parte di un nutrito gruppo di scienziati tra i quali Ugo Bardi, professore di chimica all’università di Firenze, che in merito a questa vicenda ha risposto ad alcune domande.

D. Prof Bardi è vero che i pannelli fotovoltaici “non valgono la pena”?
R. Dipende da cosa si intende per “valerne la pena”. Se l’idea è di creare un futuro pulito e sostenibile per noi e per i nostri discendenti, direi proprio di si.

D. Quali sono i limiti dell’analisi di Romanello e Andreoli?
R. Romanello e Andreoli citano in pochi paragrafi i risultati di una ricerca in corso in tutto il mondo per valutare le prestazioni dei pannelli fotovoltaici in funzione dei vari parametri energetici. Come per tutte le cose, i risultati di queste valutazioni variano col tempo. Via via che i pannelli diventano più efficienti per via dei miglioramenti tecnologici la loro resa migliora. Migliorano anche le tecniche di analisi, per cui si arriva a valutazioni sempre più affidabili basandosi sull’uso rigoroso di standard internazionali condivisi. Purtroppo, non sempre questi standard vengono applicati, per cui alcuni risultati pubblicati si trovano a essere “fuori dal coro.”
Questo è il caso del lavoro di Ferroni e Hopkirk citato da Romanelli e Andreoli. Usando valori non-standard per i parametri e selezionando condizioni sfavorevoli, questi autori sostengono che il fotovoltaico ha una resa particolarmente bassa. Questo, semplicemente, non è vero. Il fotovoltaico ha oggi una resa molto vicina a quella dei combustibili fossili. Con l’andare del tempo, via via che la resa dei fossili diminuisce a causa della necessità di usare risorse non convenzionali, il fotovoltaico va a porsi come una sorgente pulita e conveniente di energia.

D. Quali sono le più recenti valutazioni in merito all’efficacia del fotovoltaico come sorgente di elettricità pulita ed alternativa a quelle tradizionali (fossili e nucleare)?
R. C’è un lavoro del gruppo di Christian Breyer e altri che riassume la situazione. In sostanza, il fotovoltaico funziona e funziona bene. Tutta la fuffa in proposito è politica, non scienza.

Il lavoro citato da Bardi è recentissimo e si intitola “Global Energy System based on 100% Renewable Energy – Power Sector” ed è un corposo rapporto presentato durante la conferenza sul clima COP23 di Bonn. Nel riassunto del rapporto si legge che “La transizione globale al 100% di elettricità rinnovabile è fattibile in ogni ora di tutto l’anno ed è meno costosa del sistema attuale, largamente basato su fonti fossili ed energia nucleare. La transizione energetica non è più questione di fattibilità tecnica o economica, bensì di volontà politica.”
Il messaggio è quindi molto chiaro, chi dà ascolto a ragionamenti costruiti ad arte per gettare cattiva luce (è il caso di dirlo) sull’energia solare, commette un errore gravissimo, specie se è in grado di condizionare le scelte politiche, o addirittura in posizioni di comando.
Ancor prima di Breyer, il lavoro certosino del prof. Mark Jacobson di Stanford e colleghi da anni indica chiaramente che la strada verso il 100% rinnovabili al 2050 è non solo praticabile ma foriera di grandi vantaggi in termini di occupazione, salute umana e, ovviamente, protezione del clima.
Le politiche energetiche italiane da qualche tempo appaiono invece influenzate da cattivi maestri (o da cattiva volontà). I cittadini però devono sapere cosa sta succedendo per davvero in questo settore, che è cruciale e strategico non solo per il benessere e l’economia ma anche per la protezione della salute, della natura e del clima planetario.

(1) https://www.greentechmedia.com/articles/read/report-how-much-does-a-solar-pv-system-cost-in-2016#gs.GPlbUi4
(2) Fraunhofer ISE (2015): Current and Future Cost of Photovoltaics. Long-term Scenarios for Market Development, System Prices and LCOE of Utility-Scale PV Systems. Study on behalf of Agora Energiewende.

A cura del gruppo Energia per l’Italia

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