Tempo di bilanci

Questo è il periodo dell’anno in cui si fanno i primi bilanci: “quanto hanno fatto gli italiani di questo, quanto di quello, come siamo in media”. Le statistiche conservano sempre un loro fascino, riescono a spiegarmi sempre tante cose, forse anche troppe. Comunque, anche per colpa della mia attrazione per tutto ciò che è “nella media”, tendo sempre a rifletterci sopra. E infatti ho pensato molto a ciò che ho letto del rapporto Censis  (anticipo comunque che se devo leggere un libro l’anno non credo sarà questo).

Come troppi di voi (“crollano i lettori dei quotidiani”) me ne sono fatto un’idea dai comunicati stampa e dai giornali. Risultato? È vero, anche io ho paura. Non del futuro, ma di me stesso: se quello che ho letto è vero, io non sono un “resistente” ma, in qualche modo, potrei essere un “paziente zero” della crisi. Da sempre, ad esempio, amo comparare i prezzi e se mi capita un’offerta (anche su internet) mi ritengo generalmente soddisfatto del risparmio ottenuto. In fondo ho sempre creduto che la ricerca della migliore offerta sia anche un modo per capire l’utilità o meno dell’acquisto. Sbagliavo, era allenamento alla resistenza.

Una coincidenza? Forse, ma se aggiungo la mia ammirazione per chi si sposta in bicicletta (iniziate a essere troppi se vi sono stati 3,5 milioni di nuovi “casi” di ciclisti in Italia quest’anno) e la mia scelta di utilizzare in modo più razionale l’automobile (crollo degli spostamenti per risparmiare benzina) qualche dubbio potreste iniziare ad averlo. Non bastasse, da anni ho la fortuna di aver trovato una persona che usa il mio giardino per coltivare la sua passione, l’orto (qui mi denuncio: almeno uno di quei 2,7 milioni di casi di coltivatori è colpa mia).

Insomma, anche grazie a me registriamo una flessione delle spese delle famiglie di quasi il 4% in termini tendenziali nel secondo trimestre del 2012, lo stesso livello del 1997. E dire che io quell’anno lo ricordo con piacere, sono partito per il servizio militare e andavo spesso a cena fuori con i miei colleghi di corso a Campobasso, insomma non una condizione proprio terribile per come stavo messo a consumi (ho anche comprato il mio primo cellulare, ma  è un’altra storia).

Il 1997 è stato anche l’anno del Protocollo di Kyoto, davvero una coincidenza, e già che siamo in tema di numeri voglio darvene uno io: i Paesi che hanno scelto di andare avanti con l’accordo e si sono impegnati a portare avanti le riduzioni (almeno qualche anno) pesano solo per il 15% del totale delle emissioni mondiali di gas serra. Di questo cosa ne pensate?

Basta un click?

Anni fa Gianni Morandi cantava “uno su mille ce la fa”, vi ricordate? Non è ancora la nostra colonna sonora ma sicuramente questo è un periodo di ristrettezze economiche, in particolare per il settore pubblico, con  bilanci che  non consentono di fare troppe scelte. Scegliere di “non scegliere”!  E’ proprio questa l’idea che mi sono fatto leggendo una proposta del Ministero del Welfare:  dal 2013 le neomamme potranno avere accesso a un bonus di 300 euro al mese per sei mesi. Soldi pubblici per coprire le spese dei pannolini? No, un contributo per le spese di asilo nido o baby sitter, rivolto alle mamme lavoratrici.

Da un punto di vista “tecnico” il provvedimento sembrava interessante, un esempio di incentivo in denaro che sostituisce la fornitura di beni o servizi da parte dello Stato, pratica da molti considerata poco efficiente. In realtà, andando a leggere bene, non sarà proprio così perché i fondi concessi potranno essere utilizzati dalle mamme solo per coprire la retta dell’asilo nido o per una baby sitter. Per ottenerli, si dovrà fare così (probabilmente).

Inizialmente attraverso internet si comunica l’l’Isee, vale a dire la valutazione della ricchezza di una famiglia basata su parametri che vanno oltre il reddito, a garanzia di imparzialità ed efficienza.  L’Isee, però, si riferisce all’anno precedente e vale per un intero anno. Perché, ad esempio, non presentarlo una sola volta durante uno dei pochi momenti di burocrazia “felice”,  la registrazione della nascita, e basta? Troppo facile? Sì se prendiamo in considerazione l’aspetto  più interessante: le risorse a disposizione. Con quanto previsto in bilancio, infatti, si calcola che  potranno beneficiare dell’incentivo circa undici mila mamme in tutta Italia (nel 2010 abbiamo avuto 561.944 nascite). Da questi numeri nasce quindi l’esigenza di un secondo filtro, sempre basato su internet e comunque in grado di garantire imparzialità ed efficienza: il “click day”. Si tratta in sostanza di una data, un giorno (che troppo spesso diventa un’ora o pochi minuti) a partire dal quale poter presentare la domanda, ottenendo quindi un numero d’ordine cronologico. Chi “spara” per primo la domanda, a parità di condizioni, vince il bonus. Ecco cosa vuol dire il mio “scegliere di non scegliere”, creare queste forme di aiuto dichiaratamente sottodimensionate, dei provvedimenti pubblici a “fuoco d’artificio”, spettacolari e illuminanti ma destinati a esaurire la loro vita utile nel giro di pochi attimi e a lasciare soltanto un ricordo un po’ confuso e sbiadito. Dei risultati poi, importa?

Siamo ancora in tempo

Mancano pochi minuti per alcuni, per altri è già finita e per qualcuno deve ancora iniziare. In una società in cui il moltiplicarsi delle tipologie di contratto di lavoro ha determinato una casistica decisamente variegata di lavoratori, quella che eravamo abituati a considerare la “giornata lavorativa” non ha sicuramente lo stesso significato del secolo scorso.
A questo possiamo sicuramente aggiungere la tecnologia. Negli anni ’90 mi ricordo grandi discussioni circa le possibilità offerte dalle tecnologie informatiche e dalle telecomunicazioni avanzate: risparmi di tempo e denaro  con un incredibile aumento della produttività. Ieri, tornando a casa verso le nove di sera, dopo una rapida occhiata alle mail sul cellulare un po’ ho invidiato il mio modem a 56k e le mail “scaricate” uno o due volte al giorno. Rispondere alle mail è un’arte che andrebbe citata nei CV, pensate al corretto utilizzo del “ccn”  o del “cc” al superiore-capo o  l’incredibile capacità di alcuni nella “risposta non risposta”. Quanto può “costare” tutto questo in termini di tempo, fatica e stress? Sicuramente la posta elettronica è utile ma ha veramente migliorato la qualità del nostro lavoro diminuendone la quantità?
Considerazioni da stanchezza, direte voi. Non lo so, forse no se proprio oggi, 13 novembre, l’ONU patrocina la giornata mondiale della gentilezza. Uno dei suggerimenti per celebrarla (e  secondo me da estendere  a tutto l’anno) è quello di “evitare le riunioni, le telefonate o l’invio di email fuori dall’orario di lavoro”, un divieto che potrebbe essere utile anche al dibattito su come definire, conteggiare e qualche volta limitare la durata della giornata lavorativa nell’attuale mercato del lavoro. Troppo “choosy”?

Saper aspettare

Non me ne voglia Francesco ma questa volta sarò io a parlare di qualcosa che arriva da Bruxelles. La notizia è del 31 ottobre; con un netto anticipo rispetto alla scadenza prevista, il 16 marzo 2013, il Governo italiano ha inserito nel nostro ordinamento la Direttiva 7 del 2011.
E proprio la parola anticipo sembra essere l’obiettivo ultimo di questa norma, nata per contrastare un fenomeno che nel nostro paese ha assunto toni a volte drammatici: il ritardo nei pagamenti.

Vi ricordate la scena del film “il Marchese del Grillo” in cui Sordi si rifiuta di di pagare l’ebanista che, finito il suo lavoro, attendeva di essere pagato? Se in quel caso il marchese commetteva un sopruso (mentre l’ebanista pensava a uno scherzo) solo per il gusto di affermare il suo rango (e la possibilità di orientare a suo favore la giustizia) negli ultimi anni l’incertezza sulla data di pagamento  sembra essere una vera e propria consuetudine commerciale, con un elevato grado di rischio sia per il cliente che il fornitore. Il generale ritardo nei pagamenti ha determinato infatti una caratteristica nuova dell’essere imprenditore: il saper aspettare. In questo caso, però, non si tratta di una virtù personale ma della capacità di far fronte a importanti squilibri di cassa senza compromettere l’intera attività dell’impresa. In un contesto di generale “stretta creditizia”  diventa però estremamente difficile far fronte ad attese di oltre cento giorni, quello che sembra essere il tempo medio di  liquidazione dei debiti da parte della Pubblica Amministrazione, e oltre.
Cosa cambierà dal 1 gennaio 2013? Per prima cosa è stato fissato a 30 giorni il termine da considerare normale per ottenere il pagamento delle fatture, oltre il quale scatterà il pagamento di un interesse aggiuntivo pari all’otto percento. Certo, sarà sempre possibile concordare dilazioni più ampie ma queste non dovranno essere troppo penalizzanti per il creditore. Si tratta veramente una soluzione semplice? In teoria sì, in pratica molto dipenderà dalla gestione del pregresso da parte del sistema economico, bancario in particolare. Riuscire ad assorbire in tempi compatibili il sospeso del passato, a prezzi convenienti rispetto agli interessi previsti dalla norma, sarà l’unico modo per garantire la liquidità necessaria a rispettare i nuovi termini. Per questo saranno sicuramente di aiuto gli strumenti approntati dal Governo negli ultimi mesi e riguardanti la certificazione dei crediti verso la Pubblica Amministrazione, le procedure di cessione, anticipazione e soprattutto compensazione dei crediti certificati. Per approfondimenti, qui
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Biodiversità

C’ero quasi riuscito, mi stavo quasi per addormentare (no, di solito non soffro di insonnia ma questi giorni, complice un raffreddore faccio un po’ fatica) quando mi sono sentito osservato. All’inizio non ho capito bene, di solito è il mio cane che prima mi guarda da lontano in silenzio e poi “agisce” annusandomi per sapere, a modo suo, come sto. Ma questa volta non era lui. Allora accendo una luce per capire meglio e in effetti vedo sul pavimento una macchia leggermente più scura: senza occhiali e mezzo addormentato era qualcosa di estremamente confuso ma comunque insolito. Stando bene attento a non fare troppa confusione mi avvicino e… un piccolo geco, anche un po’ malmesso, faceva il finto morto sul mio pavimento. Da sempre, lo confesso, il geco è un animale che non mi rende proprio “indifferente” e ho impiegato un po’ di anni a convincermi che il suo essere utile non meritava il grido “oddio un geco…” quanto un “che bello un geco!”. Per quanto ne so io, infatti, quel “piccoletto” è uno dei nostri più grandi alleati nella lotta alle zanzare e come tale andrebbe premiato. Certo, vi confesso anche che non è l’unico geco che mi ritrovo a girare per casa e che l’idea di averne troppi che banchettano a zanzare mi fa comunque pensare al fatto che non avendo noi un bagno per questo tipo di ospiti prima o poi avrebbero, come dire, un po’ sporcato.

Insomma, da questa piccola e immediata valutazione “costi-benefici”, ho concluso che la cosa migliore per noi e per lui sarebbe stata un trasferimento immediato in giardino, dove avrebbe sicuramente trovato un habitat più adeguato.  Ho fatto bene o male? Non lo so, ditemelo anche voi. Quello che mi è rimasto in testa è un grande punto di domanda, cosa ne so io veramente della biodiversità del mio giardino? Ad esempio, da economista, sarei in grado di valutarne correttamene costi e i benefici? In effetti, escluso quanto appreso dai film di animazione (o da soporiferi documentari sulla Tundra ) non posso dire di essere molto ferrato in materia. Posso iniziare a rimediare sabato 27 e domenica 28 ottobre partecipando a  “Biodiversamente”, il festival dell’ecoscienza. Per informazioni, QUI.

Ah, dimenticavo,  ho depositato il simpatico rettile vicino a un muretto di pietre e per catturarlo ho utilizzato un contenitore di vetro sotto cui ho fatto scorrere un foglio di carta. Fatemi sapere se ci sono metodi migliori per tutti e due.

Parole interessanti

Condivisione, baratto, prestito e noleggio sono alcune tra le parole più innovative che ultimamente mi è capitato di trovare in rete. Lo so, a prima vista potrebbe sembrare un’affermazione bizzarra (nuovo, il baratto?) ma è facile trovare conferma digitandole in un motore di ricerca, unite alla parola economia dopo averle tradotte in inglese. Si scoprono così, e vorrei farlo con voi in questo blog, tantissimi servizi che apparentemente scollegati tra loro, trovano un filo conduttore nel loro diverso approccio a ciò che è “fare economia”. Del resto sono tanti e numerosi i segnali che un cambiamento è necessario e sono d’accordo con Andrea Masullo “non abbiamo altra possibilità”. Ma quale può essere il contributo di queste quattro parole ad un nuovo sistema economico? L’idea di base è molto semplice, basta rileggerne il significato aggiornandolo alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia, in particolare internet e social media. Con questo approccio un nuovo tipo di consumo è semplice e possibile. Si tratta, in pratica, di spostare l’attenzione dal momento dell’acquisto del bene al momento in cui ci occorre il servizio offerto dallo stesso.
In questo caso non sarebbe più una priorità possedere materialmente le cose ma avere un accesso comodo e veloce a quello che ci può servire, per il tempo strettamente necessario. Pensate ad esempio a un tagliaerba: siamo sicuri  che tutte le case di un vicinato ne debbano possedere uno? Probabilmente no, io lo uso meno di dieci volte l’anno (non vi dico per accenderlo) e se fosse semplice averne uno quando ho voglia e necessità di falciare il prato potrei risparmiare soldi, non dovendo acquistare un oggetto in più, spazio, tempo necessario alla manutenzione. Resta un dubbio, di chi dovrebbe essere il tagliaerba? Ad esempio, se fosse il mio, in che modo sarei disposto a farlo usare ai miei vicini?

Chi sono

Emanuele Piccinno

Sono sempre stato curioso e ho iniziato a studiare economia perché, attratto dai numeri, dalle organizzazioni, e dalle persone, mi sembrava un ottimo strumento per capire meglio come e dove operare all’interno della società.
Forse un po’ confuso dai diversi significati della parola, mi stavo laureando in economia aziendale quando ho incontrato, per caso, qualcuno che mi ha parlato di ambiente. Non solo me ne ha parlato, mi ha anche insegnato che poteva esserci un rapporto molto forte e importante proprio tra l’economia e la natura: animali, piante, paesaggi, persone e anche chi ancora non era ancora nato potevano produrre ricchezza insieme, senza scontri. Tutto questo era possibile solamente accettando l’idea che i mercati non erano perfetti come si pensava e che da soli non avrebbero contribuito ad accrescere la ricchezza. Da lì, la scelta della mia professione: studiare i problemi ambientali, in particolare quelli legati all’energia, per poi diffondere la conoscenza di cosa poteva essere sostenibile. Sono stato e sono formatore, insegnante, divulgatore e tecnico ma per molti anni mi sono occupato troppo del “perché no”, cosa non andava, e poco del “cosa fare per”. L’idea di questo blog nasce proprio dal volere abbandonare il mondo dei no, poco utili, per iniziare a diffondere i sì: attività, esperienze pratiche e storie di successi e fallimenti. Comunque idee, pensate e provate da persone, aziende o intere comunità che vogliono, come tutti, un futuro migliore.