Storie di energia

La prima storia è una storia di casa nostra. Una storia “anomala” per così dire. In cui i cittadini si uniscono ma non per dire “NO” a qualcosa ma per adottare una centrale. A Rancio Valcuvia, in provincia di Varese, infatti, mostrando una spiccata sensibilità ambientale decine di cittadini si stanno attivando per riattivare una micro-centrale idroelettrica grazie all’azionariato popolare.
Il progetto “Adotta una centrale”, volto alla riattivazione della micro-centrale idroelettrica di Rancio Valcuvia è un esempio di come le comunità locali, sensibili ai problemi dell’ambiente e dell’uomo, cerchino di avviare percorsi virtuosi per riappropriarsi del bene comune “energia” utilizzando lo strumento dell’azionariato popolare: ciascuno investe una piccola quota (è un investimento e non una donazione) per riattivare una storica micro-centrale idroelettrica che produrrà energia pulita, migliorando l’ambiente, creando nuove opportunità di lavoro e di conoscenza nel territorio (come il percorso didattico sull’energia che si realizzerà nel sito della micro-centrale in collaborazione con la Biblioteca Comunale di Rancio Valcuvia).
La seconda storia, invece, è una storia che arriva dalla Danimarca. A luglio, l’agenzia statale Engerinet.dk che monitora i consumi energetici del Paese ha comunicato che la rete di turbine eoliche disseminate sul territorio danese ha prodotto una quantità di energia pari a 140% del fabbisogno nazionale. Il 40% di surplus è stato destinato all’esportazione nei Paesi confinanti. Il dato, sebbene non assoluto e relativo a condizioni climatiche particolari, dimostra, comunque, che l’investimento danese nel campo dell’eolico sta dando frutti importantissimi. Una società basata esclusivamente sulle rinnovabili è più vicina di quanto si pensi!!!

Un’economia realmente circolare: non ci credo ma ci spero

La Commissione Europea ha avviato una consultazione pubblica per raccogliere pareri sulla strategia da adottare per impostare in modo nuovo e ambizioso la transizione verso l’economia circolare. I contributi dei portatori d’interesse serviranno per preparare il nuovo piano d’azione, che dovrà essere presentato entro la fine del 2015. Le strategie che porteranno l’Europa a sviluppare un’economia circolare competitiva non dovranno limitarsi solo ai rifiuti, ma contemplare l’intero ciclo di vita dei prodotti, tenendo conto della situazione di ciascuno Stato membro; oltre ad azioni sul fronte dei rifiuti, si dovranno quindi prevedere interventi in materia di progettazione intelligente dei prodotti, riutilizzo e riparazione, riciclaggio, consumo sostenibile, uso intelligente delle materie prime, rafforzamento dei mercati delle materie prime secondarie e misure settoriali specifiche. I cittadini, le autorità pubbliche, le imprese e tutti gli altri soggetti governativi e non governativi interessati sono invitati a rispondere alle domande riguardanti i vari segmenti del ciclo economico e il loro ruolo nella transizione verso un’economia circolare. Un’altra consultazione pubblica sulle distorsioni del mercato dei rifiuti è già in corso ed è aperta a tutti i portatori d’interesse.
Il 25 giugno 2015 la Commissione terrà a Bruxelles una conferenza dei portatori di interesse, i cui esiti confluiranno nel processo di consultazione. La conferenza è aperta a tutti colo‐ ro che desiderano contribuire a dare forma alla politica europea in questo settore. La consultazione resterà aperta fino al 20 agosto 2015.

“Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste….”

Così urlava alla radio Mario Ferretti riferendosi alle imprese del leggendario Fausto Coppi. Ed è un po’ l’immagine che tutti noi abbiamo del ciclismo. Uno sport, praticato a livello professionistico o amatoriale, che lascia lo sportivo solo con se stesso, solo con la sua fatica, solo sulle rampe della salita da scalare.
Invece, da qualche anno la bicicletta sta diventando anche uno strumento di condivisione sociale. Da quando, cioè, agli inizi degli anno 2000 sono iniziate a sorgere in giro per l’Italia le cosiddette ciclofficine. Nate come vere e proprie botteghe, laboratori in cui si possono riparare biciclette, chiedere consigli, parlare con meccanici che capitano da quelle parti dopo il lavoro.si stanno sviluppando come punti di ritrovo, luoghi ove condividere stili di vita, discutere e proporre soluzioni su mobilità e trasporti, consumi energetici ed inquinamento. Non c’è nulla da comprare o da vendere. Solo tanto da condividere. In Italia ce ne sono ormai parecchie. Aperte ad orari comodi. Spesso anche in tarda serata fino a mezzanotte o solo nel fine settimana. Ognuna con la propria iniziativa. Dal corso di riparazione della bici al concorso per il disegno di telai innovativi. Ma tutte, sullo stile della Critical Mass di San Francisco, storico raduno di ciclisti contro traffico ed inquinamento, con una enorme sensibilità verso l’ambiente, l’energia e le sue problematiche.
Allora, tutti in sella. Non siamo soli con la nostra bici. Non più.

Dalla culla alla tomba: Analisi di vita per l’ambiente (e non solo)

Per tutti ormai dovrebbe essere un fatto pressoché automatico associare a qualsiasi cosa si compri o si utilizzi una modifica più o meno marcata sull’ambiente che ci circonda. Che sia l’immissione di sostanze inquinanti  nell’aria, il consumo di risorse naturali o l’eutrofizzazione delle acque, le conseguenze ambientali delle attività dell’uomo dovrebbero essere ben note alla comunità ed in particolare anche a coloro che si occupano di  generazione di energia ed efficienza energetica. Ma come valutare queste conseguenze o, per meglio dire, questi impatti? Questa domanda non è nuova, ed ha portato nel corso degli anni all’elaborazione e allo sviluppo di un approccio che oggi è una vera e propria metodologia codificata: Life Cycle Assessment o, in breve, LCA. Questa metodologia, indicata anche come “analisi del ciclo di vita”, si basa sul prendere in esame tutte le fasi che riguardano la vita del prodotto (inteso come bene o servizio) che si sta studiando, comprese quelle di approvvigionamento dei materiali e dell’energia impiegati, di utilizzo vero e proprio del bene/servizio e di smaltimento dei rifiuti. Per questo, spesso ci si riferisce all’LCA descrivendola sinteticamente come un’analisi “dalla culla alla tomba”, espressione che ben evidenzia il concetto che ne è alla base, ovvero la capacità di coprire tutto l’arco delle attività che più o meno direttamente sono legate  all’oggetto dello studio, e che spesso sono indicate come processi upstream, core e downstream. Al di là degli  elementi propri che costituiscono un’analisi LCA e per i quali sarebbe necessario un approfondimento ad hoc,sono i risultati che possono essere ottenuti dall’applicazione della metodologia il vero aspetto interessante.
Innanzitutto, la certezza di aver impiegato una procedura prestabilita e scientifica e quindi, dai risultati ripetibili  e comparabili, permette a chi dispone di tali informazioni di poter fare le proprie scelte in maniera più  consapevole, premiando i comportamenti o i prodotti più green. Questo naturalmente vale soprattutto per il lato “utente” o “consumatore”. D’altra parte, anche chi produce il bene o fornisce il servizio analizzato può meglio identificare le parti più critiche dei propri processi, quelle su cui è opportuno agire per meglio tutelare l’ambiente.
Nata quarant’anni fa, la metodologia LCA si è affermata negli anni ’90 a partire dal comparto industriale chimico e oggi la sua validità è riconosciuta a livello internazionale, come dimostra la sua standardizzazione in norme del gruppo ISO 14000. Le tematiche ambientali non sono però le sole che possono essere affrontate mediante il “life cycle thinking”. Ad esempio, anche tutte quelle analisi di carattere economico che mirano a quantificare in maniera completa il costo associato ad una determinata attività (per citarne alcune, la verifica dei costi di produzione di un bene mobile o immobile, gli studi di fattibilità per investimenti di qualsiasi settore, le analisi comparative di differenti scenari) possono applicarlo. In questo caso, si parla più propriamente di Life Cycle Cost Analysis o LCCA. Anche l’Italia dell’energia, seppur timidamente, sembra essersi accorta delle potenzialità di questo approccio, soprattutto per la valutazione dell’effettiva convenienza delle soluzioni di miglioramento energetico. Tanto per citare un caso, il recente d.lgs. 102/2014, che obbliga le aziende grandi o energivore a realizzare diagnosi energetiche, ha inserito tra i criteri di conduzione degli audit proprio un riferimento a questo tipo di analisi. Nell’allegato 2 al decreto infatti si legge: “(le diagnosi energetiche di qualità) …ove possibile, si basano sull’analisi del costo del ciclo di vita, invece che su semplici periodi di ammortamento, in modo da tener conto dei risparmi a lungo termine, dei valori residuali degli investimenti a lungo termine e dei tassi di sconto”.

Preparate gli ombrelli. Una pioggia di euro per l’efficienza energetica

Dopo aprile, anche giugno e luglio fanno registrare importanti novità sul fronte efficienza energetica. Il mese scorso, infatti, ha visto l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto legislativo di recepimento della direttiva europea 2012/27/UE. Il testo definitivo del decreto contiene una serie di provvedimenti che vanno ad integrare le misure già definite nella Strategia Energetica Nazionale. Meno di due settimane fa, il D. Lgs. 4 luglio 2014, n. 102 era stato pubblicato in Gazzetta; nonostante qualche “mero errore materiale” con relativa interrogazione parlamentare, oggi anche gli otto allegati mancanti sono disponibili e il decreto (in versione rettificata e completa) è ufficialmente in vigore. Il quadro normativo italiano si arricchisce così di un ulteriore strumento che ci permetterà di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo europeo di riduzione del 20% dei consumi di energia primaria al 2020.
Le disposizioni introdotte dal decreto riguardano diversi ambiti. Ad esempio, per il patrimonio edilizio nuovo ed esistente sono previsti bonus su cubature e distanze minime, in deroga ai regolamenti sia locali che nazionali, per tutti gli immobili con elevate prestazioni energetiche. Anche i singoli consumatori saranno interessati da cambiamenti sia sul piano tariffario che sulle modalità di fatturazione e contabilizzazione. Sul lato generazione/distribuzione di energia invece, il decreto mira a promuovere la diffusione delle rinnovabili e della cogenerazione ad alto rendimento, e spinge molto verso lo sviluppo di reti di teleriscaldamento e teleraffreddamento.
Ma, poiché sine pecuniae ne cantantur missae, il Governo ha promesso lo stanziamento di circa 800 milioni di euro a sostegno degli interventi di miglioramento energetico. A beneficiarne, nel periodo 2014 – 2020, saranno in primis la Pubblica Amministrazione e le aziende energivore. Entrando nel dettaglio, circa 355 milioni di euro saranno destinati alla riqualificazione energetica degli edifici pubblici dello Stato. Ad altri 105 milioni di euro invece potranno accedere le PMI per realizzare diagnosi energetiche, analisi quest’ultime che, a partire dalla fine del prossimo anno, dovranno essere obbligatoriamente condotte ogni quattro anni da tutte quelle imprese caratterizzate da elevati consumi energetici. In più, il decreto prevede l’istituzione di un “Fondo Nazionale per l’Efficienza Energetica” che renderà disponibili 70 milioni di euro all’anno, per i prossimi sette anni, nei settori industriale, terziario e residenziale, allo scopo di promuovere azioni finalizzate al contenimento della richiesta di energia negli utenti finali.
Per quanto riguarda l’accesso ai finanziamenti, l’approccio italiano riprende quanto già tracciato dall’Unione Europea. A questo proposito, assumono un ruolo centrale le valutazioni basate su analisi del tipo costi-benefici. D’altra parte, è ormai chiaro che la fattibilità di un intervento va sì misurata considerando l’energia che la sua realizzazione permette di risparmiare, ma anche tenendo ben presente i capitali di cui è necessario disporre e i vantaggi in termini economici che l’intervento è in grado di generare durante la sua vita utile. Da questo deriva anche l’importanza che riveste, come emerge dallo stesso testo del decreto, la diagnosi energetica come attività principe per approfondire le modalità di utilizzo dell’energia, per individuare le opportunità di miglioramento e quindi gli interventi più convenienti, sui quali è prioritario cominciare a investire.

Caro, che ne dici se compriamo uno NZEB?

Nel settore dell’edilizia, tra gli addetti ai lavori, oggi la parola d’ordine è “NZEB”. E non è un caso, se proprio l’Europa ci punta molto, tanto da introdurre il concetto (e gli obblighi al 2018 e al 2020 per le nuove costruzioni) già quattro anni fa, con la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia. NZEB sta per “Nearly Zero Energy Building”, edificio ad energia quasi zero. E, stante ad affidabili voci di corridoio, il “quasi” è stato introdotto su specifica istanza dell’Italia, per venire incontro alle sue insistenti richieste, dopo una serrata trattativa. Gli NZEB sono edifici pubblici e privati, residenziali o non, ad altissime prestazioni energetiche. Su cosa si intenda poi per altissime prestazioni, l’Europa non si è esplicitamente espressa, lasciando spazio (come spesso accade) a ciascuno degli stati membri per definizioni più dettagliate. Oggi, anche tra gli esperti non c’è ancora pieno accordo su requisiti minimi e modalità di valutazione. Ovvero, su quali modelli di calcolo adottare e, per semplificare, su quali saranno gli indici di prestazione che potremmo trovare, per esempio, sugli Attestati di Prestazione Energetica di questi edifici. ENEA, CTI, RSE, di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico, sono a lavoro per fornire a brevissimo indicazioni a supporto delle normative nazionali a riguardo. Quel che è certo è che uno NZEB dovrà fortemente ridurre il suo consumo di energia primaria attraverso il miglioramento dell’isolamento termico e l’adozione di accorgimenti progettuali e impiantistici, garantendo il residuo fabbisogno energetico principalmente attraverso fonti rinnovabili. E fin qui il tutto non sembra poi neanche così complicato. Già oggi, infatti, possiamo trovare fabbricati di recente costruzione che vantano bassissimi consumi di energia. Molte in realtà sono le questioni ancora aperte. Qualche spunto. Aumentare l’isolamento di pareti, coperture e superfici vetrate diminuisce sì la dispersione del calore verso l’esterno, ma che dire del comportamento energetico estivo di tali edifici? Quali metodologie di calcolo sono a tal proposito più idonee a valutare l’impatto della climatizzazione sui consumi totali? Ridurre tali fabbisogni, soprattutto per i più miti climi dell’area mediterranea dove da tempo il picco di richiesta di potenza si verifica non più a dicembre, ma in estate proprio a causa dell’incremento dei sistemi di condizionamento, risulta fondamentale. E come la tendenza ad uno più spinto grado di isolamento dell’edificio può influire sulla qualità dell’aria interna, sempre meno sostenuta dalla circolazione naturale di quest’ultima? Diversi studi hanno dimostrato come la presenza di un forte isolamento alteri il bilancio termoigrometrico interno, favorendo la proliferazione di muffe e accelerando la crescita di batteri dannosi per la salute dell’uomo. Si pensi a scuole o luoghi di lavoro, dove le ore di permanenza in un ambiente così “sigillato” sarebbero molte, tanto da indurre ad installare un sistema di ventilazione meccanica che garantisca un adeguato livello di salubrità all’aria che respiriamo. Di certo, un tale sistema ha un impatto significativo su spesa energetica ed energia primaria consumata…questo impatto potrebbe vanificare gli sforzi fatti per aumentare l’isolamento dell’edificio? Ancora, non andrebbe sottovalutata l’influenza sulla vita utile della struttura edilizia della presenza di cappotti termici che impediscono il tradizionale flusso di umidità tra interno ed esterno dell’edificio. Infatti, la formazione di alghe e altri organismi che può essere riscontrata sulla superficie di tali pareti ne riduce la durata nel tempo e ne aumenta i costi di manutenzione.
Da tutto ciò deriva una risposta quasi scontata alla domanda del titolo: “Cara, non mi sembra proprio il momento”. Ecco, bisogna al più presto uscire da questo stato di inconcepibile stasi, sfruttando le opportunità che derivano da tali tipologie di edifici in fatto di risparmio energetico e contribuendo, in maniera significativa, anche al rilancio del settore edilizio.

La Green economy in Italia di un verde sempre più sbiadito

Se i dati di Bloomberg new energy finance verranno confermati, la frenata nel settore delle energie rinnovabili appare davvero come un’inchiodata in superstrada all’improvviso attraversamento di un gatto. Rispetto ai dai del 2012, infatti, c’è stato un calo degli investimenti nel comparto delle rinnovabili di oltre il 70%!!! (gli investimenti sono scesi da 15 a 4 milioni di dollari).
Cosa è successo? O, se preferite, da dove è sbucato questo gatto che ci sta tagliando la strada?
Fondamentalmente i problemi principali sono di natura procedurale, legati alle complicazioni di natura burocratica/amministrativa che complicano la realizzazione di questi impianti con la difficoltà nell’ottenimento delle diverse autorizzazioni e la fine degli incentivi che, se da una parte ha dopato il mercato per anni, dall’altra l’improvvisa interruzione ha causato una insostenibilità del mercato stesso.
Per riprendere a correre è necessario semplificare i meccanismi secondo dei criteri di trasparenza e anche, se non soprattutto, di certezza dei tempi. Certamente poi il sistema degli incentivi deve essere superato. Ma il mercato deve pur potersi sostenere. Bisogna pertanto definire una politica di sviluppo degli investimenti per le rinnovabili che attuando la recente Delega sulla fiscalità ambientale. Si debbono cioè prevedere delle nuove forme di fiscalità finalizzate a orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili, e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica, anche in funzione del contenuto di carbonio”
Insomma, se ci si mette insieme pure un ridisegno della strategia nazionale su un orizzonte ventennale, i mezzi per tornare a correre, salvando il gatto, ce ne sono. Basta prevederli. Ci aspettiamo che tra le tante riforme anticipate enfaticamente dal Presidente Renzi trovino spazio anche misure a favore della green economy. Ne abbiamo bisogno.

I certificati bianchi: un’opportunità da sfruttare!

I certificati bianchi, o titoli di efficienza energetica, rappresentano uno degli strumenti più efficaci con cui, ad oggi, viene promosso il risparmio di energia. Questo meccanismo di incentivazione è diffuso in diversi paesi europei tra cui Francia, Irlanda, Danimarca e Regno Unito. Sebbene con regole e campi di applicazione differenti, i certificati bianchi sono adottati allo scopo di ridurre i consumi di energia primaria o le emissioni di gas serra, e quindi raggiungere gli obiettivi fissati dal pacchetto clima-energia 20-20-20.
Solo in Italia il sistema è davvero utilizzato a pieno, potendo includere azioni di miglioramento realizzate oltre che nel settore residenziale e terziario, anche in quello industriale e dei trasporti, nell’illuminazione pubblica e nella distribuzione dell’energia. Una volta tanto, un primato positivo del nostro paese. Introdotti nel 2004, i certificati bianchi hanno stimolato e continuano a sostenere gli investimenti nel campo dell’efficienza energetica di singoli cittadini, enti pubblici e aziende. Possono accedere al meccanismo di incentivazione gli interventi riguardanti l’adozione di tutte le tecnologie caratterizzate da un livello avanzato rispetto a quello di prassi presente sul mercato. In sostanza, viene premiato chi utilizza meno energia dei propri “concorrenti” per produrre lo stesso bene, assicurare lo stesso servizio, o soddisfare i propri fabbisogni. E lo fa grazie all’impiego delle migliori soluzioni tecniche disponibili, magari sostenendo un costo iniziale d’acquisto più elevato. Per fare qualche esempio, uno stabilimento industriale che sostituisce i motori elettrici d’azionamento con motori con classe di efficienza superiore o il proprietario di casa che migliora l’isolamento termico della propria abitazione, in quanto contribuiscono a ridurre gli utilizzi finali di energia senza “sacrificio” energetico. E’ inoltre possibile ottenere certificati bianchi a seguito dell’installazione di piccoli impianti a fonti rinnovabili (anche fotovoltaico e solare termico) e di cogenerazione ad alto rendimento. Certo, il meccanismo dei titoli di efficienza energetica non è perfetto, e in evoluzione. Tra i tanti limiti, l’esistenza di una minima quantità di risparmio di energia necessaria per poter presentare richiesta (dipendente dal metodo di calcolo scelto tra i tre possibili, ma comunque non inferiore a 20 tep). E la non scontata convenienza rispetto ad altri sistemi di incentivazione di cui uno stesso intervento può usufruire (vedasi conto termico, detrazioni fiscali, etc.), da valutarsi caso per caso.
Dal primo gennaio di quest’anno il sistema ha cessato di essere retroattivo: sono ammessi solo i progetti già avviati ma non ancora conclusi oppure non ancora realizzati. Quindi…che aspettiamo a cogliere questa opportunità?

Arriva il Conto termico

Nasce il Conto termico, un programma di aiuti destinato ad incentivare il riscaldamento casalingo da fonti rinnovabili (geotermico, solare, biomassa sostituzione di caldaie datate con nuove a biomassa e l’acquisto di pompe di calore). Si tratta di 900 milioni di Euro di cui 700 milioni saranno destinati a circa 200 mila famiglie che hanno intenzione di ristrutturare il proprio sistema. I restanti 200 milioni sono pensati per le pubbliche amministrazioni che non sono ancora riuscite a superare le restrizioni fiscali e soprattutto di bilancio per sfruttare pienamente le potenzialità offerte dal risparmio energetico. Gli aiuti economici previsti copriranno il 40% delle spese sostenute nell’arco di 2 anni. Gli incentivi così studiati saranno destinati al finanziamento di impianti di 500 kw di taglia e di una superficie massima di 700 mq, ovvero impianti piccoli e medi che potranno essere montati da aziende, famiglie e condomini. Secondo questo schema è ipotizzabile un tempo di ritorno dell’investimento molto rapido e ci si augura che molte famiglie possano decidere di aderirvi, superando alcune strutturali ed ataviche ritrosie all’investimento in materia. La novità principale rispetto al conto energia, ad esempio, è che l’incentivo non verrà calcolato in base alla produzione ma sulla base dell’investimento iniziale. si valutano dai 3000 ai 5000 euro che verranno pagati nei due anni successivi all’installazione del nuovo impianto. I fondi necessari dovrebbero essere reperiti dalla bolletta del gas, che molto probabilmente, dunque, subirà degli aumenti. Non dovrebbe essere, invece, toccata quella elettrica (su cui già gravano gli incentivi per il fotovoltaico e l’eolico)

L’efficienza energetica ai tempi della crisi

C’è crisi, ormai lo sappiamo. Ce lo sentiamo ripetere dalla mattina alla sera. Non ci sono i soldi, non ci sono le risorse, non ci sono i fondi. Ma una cosa ci resta: l’energia. È da qui che si può, e si deve, ripartire. Con il risparmio, prima, e la ricerca, poi.
A casa, nelle aziende, nei Comuni: tutti sprechiamo energia. Chi di noi non ha mai lasciato il carica batterie del cellulare attaccato alla spina o elettrodomestici in stand-by? Bene, se questa cattiva pratica si riuscisse ad eliminare spegneremmo una centrale termoelettrica e sulla bolletta sicuramente avremmo almeno una buona notizia. Chi a capo di un’azienda controlla se nella la sua linea di distribuzione dell’aria compressa ha un foro di 4 mm? Eppure, quel singolo foro, se la linea è per esempio a 7 bar, significa una perdita di potenza di circa 4kW ovvero una perdita di oltre 2.500 euro l’anno. Soldi che, se economizzati, anno dopo anno diventerebbero una buona risorsa da poter reinvestire. Chi amministratore di un ente locale è in grado di dire con esattezza a cosa corrisponde la bolletta che sta pagando? Invece, basta poco per risparmiare sulle utenze inesistenti, sulle dispersioni, sulle tariffe, scegliendo quelle più adeguate alle reali esigenze.
Se tutti facciamo del nostro, da casa al lavoro, di energia da trasformare in risorsa ce n’è. Si stima che l’Unione Europea riuscirebbe a risparmiare, con adeguati interventi, almeno il 20% di energia rispetto all’attuale consumo, pari a circa 60 miliardi di euro all’anno. Che per ogni famiglia vorrebbe dire un risparmio da 200 ai 2.000 euro l’anno.
Quindi, la crisi c’è ma noi rispondiamo. Non c’è più energia da perdere!