Un green new deal è possibile, basta volerlo!

Sono convinto se c’è qualcosa da temere è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di trasformare una ritirata in una avanzata…”. 970421_556187664442237_871917083_nE’ da queste parole del presidente americano Roosevelt che parte l’ebook “Basta volerlo. Soluzioni glocali per un nuovo paradigma energetico” scritto da Francesco Lattarulo, un giovane lucano con una laurea in economia e politica economica e con la passione per l’ambiente, con la prefazione di Giuseppe Onufrio, Direttore di Greenpeace Italia.

È in atto una nuova recessione, questa volta mondiale; l’espressione crisi è entrata nella vita quotidiana con la potenza di un uragano. Stiamo assistendo alla commistione tra due crisi, strettamente connesse, quella economica e quella climatica. Come siamo arrivati a questo punto? Il giovane lucano ce lo spiega in maniera lucida e spietata: a causa della nostra miopia e dal cinismo dei più volti alla ricerca del guadagno nel breve periodo a spese del lungo.

In pochi decenni abbiamo consumato le scorte di combustibili fossili e ne siamo diventati dipendenti, organizzando il nostro apparato energetico su di esse, ignorando non solo la loro esauribilità ma anche l’impatto ambientale derivante dalla loro trasformazione in energia. Il bisogno e conseguentemente la domanda di energia sono cresciuti in maniera esponenziale in pochi anni, e si prevede un ulteriore aumento.

Quando si parla di energia si comprendono tre differenti settori: energia elettrica, energia impiegata per usi termici e il settore dei trasporti. Le fonti energetiche non rinnovabili rappresentano più dell’80% della produzione mondiale. In particolare per l’energia elettrica la fa da padrone il carbone, per i trasporti il petrolio e per l’energia termica il gas. Come ovvio, la domanda di energia e il consumo sono più elevati nei paesi più industrializzati e nei paesi più popolosi. Mentre un’ampia parte della popolazione mondiale non ha accesso all’energia in nessuna delle sue forme; in questo si manifesta il confine tra ricchezza e povertà.

Quanto all’Italia, con il suo 54% di produzione di energia da gas naturale, nonostante la crescita di produzione da fonti rinnovabili, è quasi interamente dipendente da paesi esteri.

La schiacciante dipendenza mondiale dalle fonti non rinnovabili, in particolare dai combustibili fossili non ha fatto altro che aumentare le emissioni di CO2 e di altri gas nell’atmosfera, comportando, per quanto qualcuno cerchi ancora di negarlo, un esponenziale aumento della temperatura del pianeta. Il riscaldamento globale, il c.d. global warming, sta provocando siccità, perdita di raccolti, carestie, scioglimento dei ghiacciai, inondazioni e altre calamità naturali; ma allo stesso tempo rappresenta un vantaggio per i paesi con temperature molto rigide: pensiamo alla Russia, quanto tempo risparmierebbero le petroliere senza ghiacciai? e in vantaggi per le trivelle off-shore nei fondali dell’Artico russo?

Tutto questo oltre ad essere insostenibile, non fa altro che aggravare la portata del vulnus: se non si trova una soluzione non si uscirà dalla crisi. La soluzione non è nel mercato tradizionale, non è prettamente economica. La rinascita non può prescindere da un trinomio: rispetto, sviluppo, futuro. È necessaria una rivoluzione; occorre rovesciare i dogmi del passato che non considerano la tutela dell’ambiente una necessità e avviarsi verso un nuovo new deal: il global green new deal. Occorre però uno slancio reale verso questa rivoluzione: impiantare una strategia energetica di più larghe vedute che si sganci dal predominio assoluto del carbone e guardi oltre il 2020 ormai alle porte; “investire” nell’efficienza energetica per un risparmio economico reale; trovare soluzioni glocali: la crisi ambientale non è un problema territoriale, è una questione mondiale che richiede una politica senza frontiere che ci permetta di passare ad una civiltà post carbon.

Gli strumenti per arrivare al cambiamento ci sono e sono caratterizzati da tecnologie sempre più efficaci (si pensi alle smart grids, agli impianti di geoscambio, ai biocarburanti ecc) che nell’ebook sono descritti molto bene. La sorprendente crescita delle fonti rinnovabili, al di fuori di tutte le previsioni, come spiega Onufrio nella prefazione, è un sintomo della fattibilità del cambiamento. Il Green new deal ed io aggiungerei la rivoluzione ambientale, è possibile, basta volerlo!

3 thoughts on “Un green new deal è possibile, basta volerlo!

  1. sono omero marchetti
    architetto
    autore di residenza isabella latina
    neo 2010 in occasione del primo meeting internazionale delle agenzie locali europee per la sostenibilità delle città tenutosi a latina fui incaricato di stilare il documento ufficiale di quel consesso
    a distanza di tre anni mi rendo conto di quanta strada si sia percorsa in termini di consapevolezza, di informazione, di sensibilità
    e mi pare che le cose lì accennate possano ancora essere di una estrema attualità, forse ancora più stringente, stante la presa di coscienza collettiva particolarmente sentita da parte dei ragazzi, di coloro che di questa devastazione saranno gli eredi.
    ve la accludo.
    ragioniamoci su.

    CARTA EUROPEA PER
    LA CITTA’ SOSTENIBILE

    EUROPEAN MEETING
    LATINA

    LA CITTA’ GENTILE

    Alma Mater.
    Anima Madre.
    Madre Fertile, Madre Amata, così definivano i Romani la Terra, il Territorio.

    In grembo alla quale erano nati, si muovevano, coltivavano campi, intessevano rapporti con altri popoli, sviluppavano gli incunaboli della grande civiltà occidentale in termini di letteratura, di diritto, di architettura, di grandi opere di ingegneria, di elaborazione politica.

    E di essa avevano un rispetto sacrale, ne immaginavano i fiumi e le fonti presidiati dalle Ninfe, e gli acrocori, le strade, i crocicchi vigilati da una infinità di Numi tutelari.

    Così ogni gesto sul Territorio veniva compiuto con rispetto ed emozione, in un contesto di ritualità che propiziassero il gradimento del Genius Loci che da sempre era guardiano divino di quel sito specifico.

    Con quanta diversa gentilezza potremmo distendere i segni della nostra progettualità se solo ci ricordassimo di questa parte forse ormai remota del nostro patrimonio culturale, ed il cui oblio si traduce in questa scompostezza, in questo disdoro, in questa volgarità di fabbricati, di scavi, di sventramenti, di piazzali in cui archistar scintillanti, tecnici frettolosi, sfasciacarrozze, cavatori di sabbia, raccoglitori e predatori di rifiuti rappresentano al meglio lo stato della loro arte.

    Voi vedete come non ci sia segno nell’Universo che sia fine a se stesso, che sia decorativo, artificiosamente costruito, effimero, gratuito. Tutto è logico, rigoroso, indispensabile, e proprio per questo di inarrivabile bellezza.

    Non c’è forma di albero o di foglia, corso di fiume, linea di costa, profilo di monte, ala di uccello o di farfalla, profumo di fiore o di frutto, forma di vita, percorso di astro che non sia il risultato di una categoria di bellezza che attinge direttamente la sua ragion d’essere alla assoluta logicità che sottende l’Universo.

    E quella bellezza potrebbe essere il nostro punto di convergenza, sicché la sfida diventa quella di stendere sul nostro tavolo da disegno i tratti di un’Architettura della logicità, essenziale e calibrata come un albero che in condizioni diverse dispiega foglie e forma dei rami differenti, un appropriato apparato radicale, una mirata strategia di diffusione della specie.

    Immaginate.

    Un’Architettura leggera e bellissima come le ali di un uccello, così sottili ed eleganti, eppure così forti, e così proporzionate allo sforzo cui sono chiamate.

    Un’Architettura che prenda in prestito le risorse naturali che le occorrono per il ciclo temporale che le è proprio e le restituisca intatte al venire meno delle ragioni che l’hanno resa indispensabile.

    Un’Architettura sensibile al contesto che in qualche modo la genera, un’Architettura delle scoperte anziché dell’invenzione artistica personale o di gruppo che sia.

    Immaginate.

    Questa città sognata ma possibile mentre prende forma, bella, logica, amica, come sappiamo che saranno le città da qui a duecento anni.

    Questa città oltre la tranquillità quotidiana dei nostri tavoli da lavoro, dei nostri comuni libri di studio, una città per la quale non guadagnare un po’ di anni di serenità ma di crepacuore, di emozioni tali da togliere l’appetito ed il sonno, per cui dimenticare tutto quello che sappiamo così come lo abbiamo appreso.

    Pur se occorresse riscrivere daccapo le regole dell’ingegneria passando dai modelli semplificati ed approssimativi che abbiamo studiato ed applicato fin’ora contando su una disponibilità presunta come infinita di risorse di tutti i tipi, dall’energia ai materiali da costruzione.

    Riscrivendo contemporaneamente le regole del disegno e del costruire, lasciandoci alle spalle i canoni e gli stereotipi di bellezza presunta delle città, piene di queste costruzioni magnificenti identiche a Toronto come a Phoenix, a Frankfurt am Mein come a Dubhai, a Manila, a Bei Jing, con totale indifferenza per le condizioni climatiche, culturali, ambientali, paesaggistiche.

    Fino ad una nuova, inimmaginabile frontiera di quelle stesse regole, di quelle stesse specifiche.

    Per disegnare facciate che attingano l’energia solare in ogni ora del giorno, per sfruttare le correnti convettive dell’aria calda, quelle stesse che tengono in volo librato le aquile ed i gabbiani, per farsi avvolgere dal vento catturandone la forza, per dotare la nostra città di una corteccia intelligente e capace di avviluppare confortevolmente la vita dei fortunati abitanti del frutto del nostro lavoro.

    Adagiando con delicatezza al suolo i nostri edifici con la mente al sistema con cui gli alberi ancorano se stessi al terreno su cui vivono, adattando le loro radici alle differenti caratteristiche del loro areale elettivo.

    E dal grembo della terra ricavare il tepore materno che a pochi metri sotto i nostri passi segna la vitalità di un pianeta che conserva intatto il fuoco cosmico che lo ha generato.

    Una città di edifici capaci di vivere e di rigenerarsi senza bruciare un gallone di petrolio, senza attingere altrove un grammo di energia, semplicemente programmandone per così dire il metabolismo in sintonia con l’ambiente in cui li concepiremo e li faremo crescere e vivere.

    Frammenti di città in cui abitare entrando nella porta della propria casa o del proprio ufficio con la spesa quotidiana senza l’imbarazzo dei rifiuti, perché per vene nascoste essa provvederà a convogliare nel suo ventre segreto tutti i residui del normale vivere degli uomini già frazionati attentamente per singole componenti,
    trattate in situ e processate per essere direttamente reimmesse nel ciclo produttivo o avviate a generare ulteriore energia.

    Edifici che non si costruiscano, ma che crescano secondo tecniche di assemblaggio mai applicate fin’ora, capaci di elevarsi e dispiegarsi sezione per sezione come fiori logicissimi. Un magnifico meccano di raffinata ingegneria attinta da tutti i campi del sapere umano più che dalle correnti tecniche costruttive.

    Perché tutte le cose di cui stiamo parlando esistono già, vengono comunemente prodotte ed applicate nell’ingegneria dei trasporti, nell’industria aeronautica ed automobilistica, nelle fabbriche, mentre i costruttori di città si attardano ad utilizzare i materiali cui sono adusi e che sentono più familiari: le malte, le pietre, il mattone, la cui invenzione risale ormai a migliaia di anni, il cemento.

    Edifici che alla fine del loro ciclo economico possano essere smantellati secondo un progetto studiato sin dal momento iniziale con modalità certificate per avere un reimpiego totale di tutte le componenti utilizzate a beneficio delle generazioni future, alleggerendo il decadimento entropico delle risorse.

    Una sorta di presa in prestito dal sistema totale per un utilizzo finalizzato e temporaneo.

    In uno con il progetto di costruzione le modalità per la manutenzione integrale e sostenibile, la dimostrazione della routine di aggiornamento dei layout distributivi, delle finiture, degli impianti, delle stesse sezioni strutturali, la garanzia che possa avere una propria totale vitalità energetica.

    Prendendosi cura ossessivamente della salute di chi trasformerà i disegni in spazi costruiti, dedicando attenzione alla sicurezza dell’ambiente in cui si muoveranno e porteranno a compimento il loro lavoro, perché le cose costruite debbono mantenere una memoria implicita e segreta della gioia, della soddisfazione, dell’orgoglio di chi le ha realizzate.

    Un modo gentile e discreto di stare sul pianeta, quasi in punta di piedi, usando con parsimonia quello che ci occorre, pronti a darlo indietro quando andremo via, quando avremo fatto il nostro lavoro.

    Un patto etico, un patto di lealtà verso gli uomini che erediteranno la Terra, perché generazione dopo generazione possano continuare a smagarsi dell’aria tersa del mattino, dell’infinita varietà dei pesci e degli uccelli, del silenzio delle foreste, della magia e della misteriosità insondabile del mare, delle stelle che attraversano serene e indifferenti il blu profondo delle quiete notti d’estate.

    Duemila e settecento anni or sono, appena un centinaio di generazioni prima di noi, un poeta greco poteva guardare all’alba il cielo d’oriente e smagarsi dell’ “…Aurora dalle dita rosate…”.

    Sarebbe bello se lavorassimo con passione a preservare per altre cento generazioni quella stessa possibilità d’incanto, quello stesso colore del cielo.

    Omero Marchetti.

    • La ringrazio Dott. Marchetti per il suo sensibile contributo.Credo che sia importante parlare di queste tematiche e di far sentire a chi dovrà prendere decisioni importanti per la tutela ambientale e per la rinascita economica mondiale le nostre voci. Scrivere, parlare e diffondere possibili soluzioni, buone pratiche (perchè ce ne sono e sono attuabili e in Basta Volerlo troviamo alcuni esempi significativi) è fondamentale, è un nostro dovere. L’ebook che ho voluto recensire è un ottimo punto di partenza

  2. INCENTIVI SULLE RINNOVABILI A CHI?
    INVESTIAMO SULLE FAMIGLIE.

    E così abbiamo scoperto che abbiamo una rete di approvvigionamento dalle fonti di gas fossile che a monte potrebbe presentare qualche criticità, sia da est che dall’altra sponda del Mediterraneo, a causa della instabilità politica e sociale di quelle aree

    Mentre crescono le polemiche sugli incentivi alle rinnovabili, che vengono messi sul banco degli accusati per il differenziale di costo delle bollette che pagano gli italiani rispetto alla media europea e ritenuti responsabili del pesante impatto sul paesaggio: chilometri quadrati di territorio agricolo sacrificato ai campi fotovoltaici, o i crinali dei monti appesantiti dalla teoria infinita delle pale eoliche, impiantate talvolta con un criterio meramente produttivo, come se la bellezza del paesaggio non fosse un valore assoluto, da immettere nel software complessivo delle valutazioni di quegli investimenti, corollario improprio di un teorema secondo il quale di cultura non si mangia.

    Nel frattempo quello spettro del punto di non ritorno dei cambiamenti climatici, mano a mano, viene stimato sempre più prossimo. Le ultime stime rese note lo danno al 2030.

    Domani, praticamente.

    Dopo di ché nulla potrebbe essere più come prima. Intanto la costa est degli Stati Uniti ha passato la peggiore tempesta di neve che si possa ricordare, qualche settimana fa le aree già sconvolte dalla guerra dei Balcani hanno conosciuto la più impressionante alluvione di sempre. E gli anziani montanari avvezzi a conoscere ogni centimetro quadrato delle loro montagne, di fronte alle frane dei costoni alpini, eredi di una sapienza antica, radicata, dicono che è normale che questo avvenga perché il ghiaccio non consolida più quella terra mista a roccia, a sassi.

    E intanto se ne vanno i ghiacciai alpini, e se ne vanno le calotte polari.

    E quello sforzo di investire nelle rinnovabili, nel sole e nel vento, in Italia sembra essersi trasformato da soluzione a problema.

    Può esistere una via d’uscita?

    Ne viene in mente una, proviamo a lavorarci.

    Ipotizzo. Ma se favorissi la diffusione incentivata delle rinnovabili nella microscala, a livello di singola famiglia, di singola abitazione, di singolo insediamento produttivo, affidando incentivi ed agevolazioni fiscali ai singoli soggetti oltre che ai soggetti economici specifici attivi nel campo della produzione industriale di energie rinnovabili, o differenziando l’entità di incentivi ed agevolazioni a favore delle famiglie e delle imprese artigiane?
    Ovvero, se tu famiglia decidi di raggiungere l’autonomia energetica attraverso una tecnica che sfrutti il geotermico, il fotovoltaico, il microeolico, o una combinazione integrata ed efficace di queste, io Stato ti finanzio questo passaggio, interamente.

    Se tu impresa artigiana, piccola industria decidi di dare una mano alla sfida di rimettere in piedi questa residua speranza di salvare quel che resta da salvare del clima del pianeta io ti do una mano, mettendoti a disposizione le risorse, tutte le risorse, per renderti autonomo dal punto di vista energetico.

    I successi della Legge Sabatini sugli incentivi alle aziende che hanno fatto innovazione sono evidenti ed innegabili, basterebbe estendere quel tipo di benefici anche agli investimenti sulle rinnovabili. Ed estendere quel meccanismo alle famiglie.

    Potremmo partire dagli alloggi in costruzione, implementando e non riducendo le varie forme di promozione come gli sgravi fiscali, o sugli alloggi da costruire, individuando ad esempio quelli che potrebbero essere destinati alle giovani coppie, per le quali la casa sta diventando una categoria mentale astratta e disperante: lavoro precario, prospettive del tutto aleatorie, un futuro a perdere.

    Si definisce una categoria di alloggio di certe caratteristiche, e se chi li costruisce, soggetto pubblico o imprenditoriale privato che sia, li rende autonomi energeticamente applicando le tecniche usuali per questo tipo di obbiettivo, viene interamente finanziato per la parte che riguarda questo sforzo di autonomizzazione.

    Sicché entri in casa e sei affrancato dal peso delle bollette energetiche, ti ritrovi in tasca un bonus che a quel punto non è più neanche finanziario, ma è un bonus di felicità, hai la sensazione che qualcuno ti stia vicino, bimestre dopo bimestre avendoti sgravato a monte della bolletta energetica, aiutandoti così ad onorare le rate di mutuo.

    Il secondo obbiettivo sarebbe quello di mettere direttamente nelle mani degli utenti finali le risorse per le rinnovabili messe a bilancio dallo Stato e dalla Regione, collaborando a restituire chiarezza e credibilità ai meccanismi di incentivazione oggi egemonizzati da un circuito piuttosto esclusivo e non sempre limpidissimo.

    Lo skyline urbano subirebbe modifiche, si potrebbe obbiettare.
    Tutti questi microimpianti sui tetti, sulle terrazze. Ma figuriamoci.

    Ma questo skyline è mutato tante volte nel corso della storia della città. E’ cambiato quando si è generalizzato l’uso del fuoco nei singoli alloggi, e sono spuntati i comignoli, è cambiato negli anni cinquanta, quando sono spuntate le antenne della rete televisiva, è ancora mutato in anni più recenti, quando hanno cominciato a fiorire sui tetti le parabole satellitari, e gli impianti di generazione dell’acqua calda sanitaria.

    Lo sforzo verso la cosiddetta “integrazione totale” di queste fattispecie tecniche nel contesto dell’architettura dovrà servire anche , o forse soprattutto a questo: a trovare un punto di equilibrio formale tra l’imago urbis, la forma della città, e gli elementi di un suo nuovo metabolismo che abbia la sostanza e la fattispecie della logicità, della sostenibilità, e perché no, della bellezza.

    Di una bellezza nuova, certamente.

    Ma quante volte ci siamo trovati al capolinea di una epoca nuova, come architetti, e non abbiamo esitato a rinunciare alle certezze rinascimentali per affrontare l’ambiguità dell’ellisse: un cerchio con due centri, roba da mal di stomaco, dopo che ci eravamo incantati della perfezione assoluta della Cupola michelangiolesca.

    E poi tutto daccapo con il neoclassico, e daccapo di nuovo con le intuizioni di Gropius, e di Wright, e di Le Corbusier, e di Liebeskind e via via ancora fino a questi giorni.

    O forse il cielo di oggi sopra Pechino, impietoso e disamico come mai lo è stato il cielo sopra una città potrà mai essere frettolosamente perdonato come effetto collaterale di questo sforzo di avere energia e prodotto interno lordo a costo facile?

    Le immagini di quei bambini costretti a girare per strada con le mascherine verdi potremo mai dimenticarle?

    O possiamo ignorare i recenti allarmi degli scienziati che hanno rilevato che su ampie aree del pianeta la densità di particelle inquinanti nell’aria inibisce il processo di fotosintesi delle foreste e che di conseguenza la rigenerazione di ossigeno attivata dagli alberi comincia a fare difetto?

    Ulteriore obbiettivo sarebbe naturalmente quello di istituire un circuito virtuoso che faccia da traino ad un generale rinnovamento delle tecniche costruttive in cui il nostro paese accusa un colpevole ritardo, si pensi solo al fatto che negli ultimi mesi in Danimarca sono stati messi fuori legge tutti i sistemi di riscaldamento da fonti fossili,e quindi, per esempio, non si possono più installare le caldaie a gas. E la Svizzera ha messo fuori legge anche l’importazione di energia elettrica prodotta da centrali che utilizzano carbone, gasolio o gas.

    Il che porterebbe ad un generale rinnovamento delle tecniche costruttive portando linfa nel comparto dell’edilizia, azzoppato negli ultimi anni da una tempesta perfetta fatta di difficoltà nel reperimento dei mutui, incertezze diverse, crisi.

    Gli esempi recenti di edifici che hanno raggiunto l’autonomia energetica hanno potuto contare sullo sforzo portato avanti dalle industrie attive nel campo delle rinnovabili, grandi soggetti e piccole realtà che con applicazione, coraggio, talvolta con eroismo vero e proprio mettono oggi a disposizione impianti di geotermia a bassa entalpia, fotovoltaico di ultima generazione, sistemi di raffrescamento naturale ispirati dalle case campidanesi ed ancor più a monte dalle termiti, sistemi di depurazione e di riutilizzo delle acque attraverso lo sfruttamento della fitodepurazione o dei piccoli sistemi di biomassa, la realizzazione di serre bioclimatiche attive.
    L’applicazione, eventualmente combinata di questi sistemi, è compatibile con gli attuali sistemi di costruzione, ai quali siamo avvezzi, ed ai costi di costruzione cui siamo abituati.

    Resta l’ultimo tratto di strada da fare, favorirne, incentivarne l’applicazione pratica.

    E’ una sfida per tutti, per chi ha la responsabilità del disegno, del progetto, per chi ha la responsabilità della Politica, per chi ha la responsabilità del cantiere.

    Perché questi traguardi siano finalmente alla portata di tutti. Ford diceva che le invenzioni, il progresso tecnologico diventa avanzamento sociale quando è alla portata di tutti.

    La sfida vera è questa.

    Omero Marchetti.

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