Una finanziaria green per rilanciare l’ITALIA – Legambiente
Creare lavoro e investimenti in innovazione e riqualificazione ambientale, senza nuove tasse e a parità di gettito per il bilancio dello Stato.
Le proposte di Legambiente per la Legge di Bilancio 2017
Non è vero che in questa fase complicata dell’economia italiana e globale si debbano rinviare gli investimenti destinati alla ricerca, all’istruzione o all’innovazione ambientale. Non è vero semplicemente perché nell’enorme bilancio dello Stato sono presenti enormi sprechi e vere e proprie distorsioni fiscali a danno dell’ambiente, oltre che a rendite insopportabili che impediscono una corretta gestione di beni naturali e comuni.
Se da una parte è condivisa l’idea che sia quanto mai urgente rilanciare investimenti e politiche che spingano la green economy, dall’altra parte il dibattito politico sembra ignorare che sia possibile fare ciò in tempi brevi contribuendo al rilancio dell’economia italiana. La ricetta è nota da tempo e passa per lo spostamento del peso della fiscalità dal lavoro al consumo delle risorse, e di spingere l’innovazione ambientale in tutti i settori fondamentali dell’economia italiana: dall’energia all’edilizia, dalla mobilità ai rifiuti, dall’agricoltura al turismo.
Legambiente ha messo in fila 15 proposte per rilanciare l’economia italiana in una chiave ecologica. Sono proposte che riguardano ambiti diversi, tutte semplici, fattibili e comprensibili. Se approvate permetterebbero di avviare investimenti in settori fondamentali dell’economia italiana, di cancellare rendite e privilegi contro l’ambiente non più ammissibili. Per evitare equivoci, non esistono impedimenti economici o trattati europei ad ostacolare questo cambiamento – semmai il contrario (in particolare dopo l’accordo internazionale sul clima alla COP21 di Parigi), sono le difficoltà o i rischi possibili legati al bilancio dello Stato.
Perché c’è un dato importante da sottolineare: questi interventi non creano nuovo debito pubblico e non determinano un aumento della tassazione generale. Al contrario, permetterebbero di premiare gli investimenti in innovazione e di reperire le risorse per ridurre il costo del lavoro.
Sono tre i campi di intervento proposti da Legambiente per ridisegnare la fiscalità in chiave ambientale nel nostro Paese. Il primo prevede un intervento con effetti immediati, nella Legge di stabilità, per cancellare privilegi e rendite di cui beneficiano coloro che gestiscono cave, acque di sorgente, concessioni balneari, rifiuti, trivellazioni di petrolio e gas. Cancellare queste rendite e privilegi che producono impatti ambientali consentirebbe di generare quasi 2 miliardi di euro ogni annoi, a partire dal 2017.
Il secondo filone di interventi punta ad aprire finalmente il calderone della fiscalità in settori dove fino ad oggi hanno dominato complessità e assenza di trasparenza che nascondeva privilegi per alcuni, attraverso sussidi diretti e indiretti, e voci di prelievo senza alcun legame con le stesse accise, bloccando una innovazione capace di generare vantaggi generali e di creare lavoro.
Il terzo campo di intervento riguarda l’Iva sull’acquisto di beni e prodotti, dove oggi sono in vigore aliquote diverse, ma anche qui neutrali rispetto al peso che quanto viene acquistato determina nei confronti dell’ambiente. Questi interventi sarebbero a parità di gettito ma produrrebbero investimenti in una direzione virtuosa. Complessivamente tra accise su energia e trasporti, Iva su beni e prodotti, lo Stato attualmente incassa 150 miliardi di euro che, a parità di gettito, vanno ridistribuiti sulla base di criteri ambientali.
Infine, si propone di sbloccare interventi a costo zero per lo Stato, ma fondamentali per il territorio e l’economia italiana, capaci di creare lavoro e vantaggi ambientali, nella riqualificazione del patrimonio edilizio, nelle bonifiche, nell’autoproduzione da fonti rinnovabili, nel ridare valore a boschi e aree agricole abbandonate, nello spostare investimenti dalle autostrade al trasporto ferroviario pendolare.
Perché continuare a difendere questa situazione e non provare a cambiarla? Qualcuno potrebbe obiettare su interventi fiscali di questo tipo? Per fare degli esempi, per l’acqua in bottiglia si passerebbe da 0,1 centesimi pagati per litro a 2 centesimi (il prezzo medio di vendita è 30 centesimi nella grande distribuzione!). Per le cave si pagherebbe il 20% del prezzo di vendita finale come nel Regno Unito, mentre attualmente siamo al 3,5% e in alcune Regioni i canoni di concessioni per le attività di escavazione sono addirittura gratis. Qualcuno può difendere il fatto che non si paghino le royalties per le trivellazioni sotto certe soglie o che quanto pagano le compagnie alle Regioni lo possono dedurre dalle tasse. Oppure che in Italia continuino ad essere diffuse le discariche e si proceda a rilento nel riciclo dei materiali, perché il prezzo di conferimento in discarica è bassissimo? Al contrario, dovrebbero essere le imprese a spingere per un mercato finalmente trasparente che premia chi innova.
Se la situazione economica e occupazionale del Paese è difficile, queste proposte dimostrano che vi sono settori in Italia dove, con adeguate politiche, si possa tornare a creare lavoro e opportunità. Tutti gli studi evidenziano come l’innovazione energetica e l’economia circolare sono i campi dove si può dare risposta a storici problemi nazionali creando opportunità e lavoro nei territori. Ed è nella qualità dell’offerta turistica, nella valorizzazione delle città, nella crescita dell’agricoltura biologica e dei prodotti di qualità, la ricetta capace di far ripartire la domanda interna e di spingere il made in Italy all’estero. Ed è possibile muoversi in questa prospettiva, aiutando l’agricoltura italiana, rilanciando gli investimenti nel recupero urbano delle periferie, nelle fonti rinnovabili. Le 15 proposte qui raccolte spiegano come sia possibile liberare risorse nei diversi settori, da investire in innovazione e riqualificazione ambientale, e di rimetterne in moto per ridurre il costo del lavoro, il debito pubblico e spingere ricerca e istruzione.
Del resto è stata l’Ocse, nelle raccomandazioni date nei confronti dell’Italia, a sottolineare l’importanza di una riforma della fiscalità che riguardasse l’energia e l’uso delle risorse nella direzione di una crescita verdeii. E il Governatore della Banca D’Italia Visco nella sua relazione 2016, ha sottolineato come “Una maggiore attenzione e maggiori investimenti, pubblici e privati, per l’ammodernamento urbanistico, per la salvaguardia del territorio e del paesaggio, per la valorizzazione del patrimonio culturale possono produrre benefici importanti, coniugando innovazione e occupazione anche al di fuori dei comparti più direttamente coinvolti, quali edilizia e turismo”iii. Il bilancio dello Stato e la fiscalità in materia ambientale hanno bisogno oggi più che mai di trasparenza e di chiarezza sugli obiettivi che si vogliono perseguire. Perché da tempo si è perso ogni senso nelle voci di bollette e nella tassazione che riguarda trasporti, energia, ecc. E perché, come ha evidenziato uno studio della Commissione Europea l’economia italiana potrà crescere di oltre il 23% puntando su innovazione, istruzione e detassazione del lavoro.
Siamo davvero in un mondo nuovo, profondamente cambiato dalla globalizzazione e dove a prevalere è la paura del futuro, anche in campo economico. Ma proprio per questo occorre percorrere strade inedite e lungimiranti, che oggi possano tenere assieme il rilancio dell’economia con il benessere dei cittadini e la richiesta di un ambiente più sano con quello di una società con meno ineguaglianze. Altro che utopia, sono i numeri dell’occupazione e degli investimenti nella green economy a confermare come questa ricetta sia vincente, e lo si comprende guardando al futuro del nostro Paese attraverso la chiave dell’economia circolare e della valorizzazione delle qualità italiane. Occorre dare risposte ai problemi di gestione dei rifiuti, di importazione di fonti fossili, di approvvigionamento di beni e materiali attraverso ricette che già oggi sono di successo – come le filiere di raccolta differenziata e riciclo dei materiali – ed altre che possono diventare una straordinaria opportunità per le imprese e i cittadini, come quella dell’autoproduzione da fonti rinnovabili. Se riusciremo ad accompagnare questi cambiamenti con una attenta revisione della fiscalità, che premi l’innovazione e le produzioni di qualità e a basso impatto ambientale, sarà allora possibile rilanciare sul serio la domanda interna e il lavoro mettendo al centro le risorse materiali e immateriali uniche del nostro Paese.
A Governo e Parlamento chiediamo di avere il coraggio di investire in questo tipo di futuro.
I campi di intervento e le proposte
Economia circolare
Dal consumo di risorse al riciclo, riuso e recupero
1- Attività estrattive
La situazione:
I canoni di concessione per l’attività di escavazione stabiliti dalle Regioni sono estremamente bassi (mediamente il 3,5% del prezzo di vendita) o pari a zero come in Basilicata, Sardegna e Valle D’Aosta, con regole di tutela incomplete e inadeguate che premiano rendite e illegalitàv. Questa situazione è alla base dei ritardi nell’utilizzo dei materiali provenienti dal riciclo ed è particolarmente iniqua considerando i guadagni realizzati con la vendita di marmi e materiali lapidei di pregio. Il settore lapideo in generale ha visto risultati record in questi anni, grazie alle esportazioni con un surplus commerciale di quasi 2,8 miliardi.
La proposta:
Fissare un canone minimo in tutta Italia per l’attività estrattiva con l’obiettivo di spingere il recupero e riuso dei materiali ai sensi delle direttive europee. Il canone dovrà essere pari ad almeno il 20% dei prezzi di vendita dei materiali cavati (come nel Regno Unito) e potrà essere differenziato dalle Regioni per le diverse tipologie di materiali. Questo intervento è il primo fondamentale passo per restituire trasparenza e legalità al settore e spingere gestioni virtuose e innovative che permettano di raddoppiare i posti di lavoro. Un intervento che dovrebbe essere accompagnato da un cambiamento delle norme vigenti in modo da garantire il recupero delle cave e spingere il riciclo per ridurre il prelievo.
2- Riciclo e riutilizzo dei rifiuti
La situazione:
Rispetto ad altri Paesi europei in Italia è ancora rilevante la quota di rifiuti smaltiti in discarica (oltre il 31% dei rifiuti urbani pari a 9,3 milioni di tonnellate). Inoltre, sempre in discarica, vengono portati ogni anno oltre 30 milioni di tonnellate di inerti provenienti dalle demolizioni delle costruzioni. Un grande spreco di risorse che penalizza la filiera del recupero e del riutilizzo con relativo aumento di posti di lavoro.
La proposta:
Penalizzare lo smaltimento in discarica per spingere il riciclo, come negli altri Paesi europei, aumentando il costo del conferimento in discarica (ecotassa). L’obiettivo è infatti di spingere il recupero e riuso dei materiali ai sensi delle direttive europee. Attualmente la normativa italiana (legge n.549/1995)vi prevede per l’ecotassa un tetto massimo di 25 euro per tonnellata valido per i rifiuti solidi urbani e di 10 euro a tonnellata per i materiali inerti. Si propone di modificare il tetto massimo con una soglia minima di 50 euro per tonnellata (come in Danimarcavii), per entrambe le tipologie di rifiuti, con sconti progressivi in funzione della capacità di riciclo. In questo modo si spinge il riciclo con risultati positivi anche in termini occupazionali.
3- Iva su beni e prodotti a basso impatto ambientale
La situazione:
L’economia circolare è la direzione oggi imprescindibile per ridurre il consumo di materie prime e risorse naturali, promuoverne l’uso efficiente e sostenibile, aumentarne la competitività dei nostri sistemi produttivi. Eppure attualmente l’IVA (imposta sul valore aggiunto) per l’acquisto di beni e prodotti, è articolata tra il 4 e il 22%viii ma non prevede di differenziare tra i diversi impatti e cicli realizzativi, e dunque di premiare attraverso la fiscalità i beni e i prodotti che hanno un più basso impatto sull’ambiente. Eppure questa prospettiva appare vantaggiosa non solo nella prospettiva di decarbonizzazione dell’economia (coerente con l’Accordo di Parigi sul clima sottoscritto dall’Unione Europea), ma anche rispetto all’obiettivo di valorizzare la produzione nazionale e quindi di mantenere e creare lavoro in Italia.
La proposta:
Rimodulare l’IVA su beni e prodotti, attraverso aliquote differenziate tra il 4 e il 22% sulla base di trasparenti criteri ambientaliix. L’obiettivo è di spingere il mercato e gli investimenti delle imprese verso modi di produzione e consumo sostenibili e a filiera locale. La differenziazione dell’Iva dovrà essere a parità di gettito per lo Stato e dovrà partire dalla individuazione dei criteri per valutare prestazioni e obiettivi, in modo da motivare le differenti aliquote e aprire il confronto con la Commissione Europea. In altri Paesi europei l’Iva è già stata articolata sulla base di obiettivi ambientali e culturali. La Svezia, ad esempio, presto deciderà su una proposta di Legge che prevede la riduzione dell’Iva al 12% su tutte le riparazioni, con la possibilità di dedurre dalle tasse questa spesa. L’obiettivo è di spingere l’industria delle riparazioni, ad alto tasso di lavoro interno, e ridurre l’inquinamento legato alla produzione industriale.
Beni comuni
Basta regali alla rendita
4- Sorgenti di acque minerali
La situazione:
I canoni di concessione per le acque minerali stabiliti dalle Regioni sono estremamente bassi, in media non arrivano a 0,1 centesimi per litro, perfino in aree dove vi sono difficoltà di approvvigionamento idrico, premiando rendite e vantaggi economici per pochix.
La proposta:
Adeguare i canoni per il prelievo di acque minerali ad almeno 20 Euro/m3 su tutto il territorio nazionale. Tale canone può essere elevato dalle Regioni e, in questo ambito, differenziato in funzione di obiettivi ambientali. Attualmente il canone medio è di 0,1 centesimi per litro, con questa proposta si passerebbe a 2 centesimi, a fronte di guadagni per le imprese comunque enormi visto che il prezzo medio di vendita è di 30 centesimi al litro, ma con prezzi all’utente finale che arrivano anche a 2 euro al litro.
5- Concessioni balneari
La situazione:
In larga parte del Paese i canoni per le concessioni balneari sono bassi, ma con grandi differenze e poca trasparenza, e questa situazione ha portato in diversi casi a premiare rendite di posizione e generato abusi edilizi e illegalità nei confronti del diritto di accesso alle spiagge. Attualmente il canone medio è di circa 5 euro a metro quadro, mentre le stime sul rapporto tra entrate per lo Stato e guadagni per i gestori sono di 100 Mln di Euro contro 2.000 Mln di euro.
La proposta:
Adeguare i canoni per le concessioni balneari con l’obiettivo di spingere una corretta e trasparente gestione ai sensi delle direttive europee. Il canone minimo nazionale dovrebbe essere di almeno 10 euro a mq all’anno, ma potrà essere variato da parte delle Regioni, in funzione di premialità e penalità legate alle modalità di gestione e agli interventi di riqualificazione ambientale messi in atto dal concessionario.
Riqualificazione edilizia e manutenzione del territorio
Dal consumo di suolo alla rigenerazione
6- Ecobonus per le ristrutturazioni edilizie
La situazione:
Le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie hanno svolto un ruolo importantissimo nello spingere la manutenzione del patrimonio e far emergere il lavoro nero, ma l’incertezza sul futuro degli incentivi, i problemi di accesso per le famiglie a basso reddito e la divisione tra incentivi senza obiettivi energetici (con detrazione al 50%) e legati invece a miglioramenti delle prestazioni (con detrazione al 65%, ha limitato lo sviluppo di interventi che permettessero davvero alle famiglie di ridurre i consumi energetici e le bollette. Analoghi problemi di accesso agli incentivi hanno evidenziato anche gli interventi di adeguamento antisismico. Inoltre, dopo la cancellazione degli incentivi in conto energia per la sostituzione dei tetti in amianto fotovoltaici, si sono completamente fermati gli interventi. Eppure l’amianto è ancora diffusissimo, in diverse forme, sul nostro territorio. Ancora oggi in Italia muoiono 4mila persone ogni anno per tutte le malattie ad esso correlate, con oltre 21mila casi di mesotelioma maligno diagnosticato dal 1993 al 2012.
La proposta:
Revisione delle detrazioni per la riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio edilizio, attraverso incentivi legati al miglioramento delle prestazioni energetiche e all’adeguamento antisismico realizzati negli immobili. Per la parte energetica si passerebbe da due famiglie di incentivi (50% di detrazioni per ristrutturazioni senza obiettivi energetici, 65% per quelle certificate) a un sistema premiale in funzione del salto di classe energetica realizzato, e quindi di riduzione delle bollette delle famiglie. Per la parte sismica si avrebbe una detrazione pari al 65% per gli interventi di adeguamento sismico, e la stessa detrazione si dovrebbe prevedere per la sostituzione dei tetti in amianto con impianti fotovoltaici. Inoltre, attraverso una estensione per tre anni degli incentivi e la loro trasferibilità alle imprese ed alle Esco che realizzano gli interventi, si supererebbe il problema di accesso agli incentivi da parte delle famiglie a basso reddito. In questo modo si darebbe una spinta incisiva nella direzione della riqualificazione antisismica e energetica diffusa del patrimonio edilizio. È da sottolineare che secondo le stime del Cresme le detrazioni fiscali determinano un saldo positivo per lo Stato grazie agli investimenti e alla fiscalità diretta e indiretta che generano.
7- Bonifiche dei suoli La situazione:
Sono oltre centomila gli ettari di territorio ancora da bonificare, inseriti nel programma nazionale di bonifica (SIN), avvelenati da inquinamento e rifiuti di ogni tipo. A questi si aggiungono 6027 Siti di Interesse Regionale (SIR) e locali. Secondo una recente analisi di Confindustria, le bonifiche che riguardano i siti di interesse nazionale, sono state effettuate su meno del 20% dei terreni e delle acque di falda malgrado l’individuazione delle aree risalga al 1998.
La proposta:
Istituire un fondo nazionale per le bonifiche dei siti orfani e delle aree pubbliche a partire dal contributo economico dei produttori di rifiuti speciali e pericolosi, sul modello di uno strumento attivo negli Stati Uniti dal 1980 (Superfund). In tale fondo dovranno confluire anche le sanzioni pecuniarie previste per i reati minori (relativi all’applicazione della parte Sesta bis del Codice dell’ambiente) dalla Legge sugli Ecoreati. Nella prima fase di applicazione, relativa ai 10 mesi dall’approvazione della legge, tale quota aveva già raggiunto 13 milioni di euro. Parte delle risorse devono essere destinate a promuovere un sistema di premialità per rendere conveniente l’applicazione delle tecnologie di bonifica in situ al fine di ridurre il trasporto e lo smaltimento in discarica dei materiali contaminati e il rischio di attività illecite connesse con tali operazioni.
8- Consumo di suolo e riqualificazione edilizia
La situazione: In questi anni l’utilizzo per la spesa ordinaria degli oneri di urbanizzazione e costruzione, generati dalle nuove costruzioni, da parte dei Comuni è stato uno dei motori del consumo di suolo. Inoltre a differenza di altri Paesi europei, in Italia non esiste una fiscalità vantaggiosa per il riuso di aree e edifici che invece sarebbe l’alternativa più efficace al consumo di suoli agricoli e naturali.
La proposta:
Rivedere la tassazione in materia edilizia, escludendo la spesa ordinaria dall’utilizzo degli oneri di urbanizzazione e costruzione, vincolandoli agli interventi di realizzazione e manutenzione delle opere di urbanizzazione e di recupero del patrimonio esistente, di riqualificazione e bonifica ambientale. Introdurre un contributo per il consumo di suolo negli interventi edilizi legato alla perdita di valore ecologico e paesaggistico che determina, i cui proventi dovranno essere destinati in via esclusiva alla riqualificazione del patrimonio edilizio da parte dei Comuni, e in parallelo ridurre o azzerare gli oneri per gli interventi di riuso e riqualificazione con obiettivi energetici e statici. In questo modo si rendono convenienti gli interventi di recupero del patrimonio esistente, anche da un punto di vista fiscale, scoraggiando invece il consumo di suolo di aree agricole e naturali.
9- Recupero terreni agricoli e boschi abbandonati
La situazione:
Le foreste in Italia continuano a crescere a causa dell’abbandono delle colture agricole, nel corso degli ultimi 50 anni sono praticamente raddoppiate raggiungendo quasi 11 milioni di ettari. Eppure la crescita delle nostre foreste non è il risultato di una politica ma in larga parte è il frutto dell’abbandono, dello spopolamento di aree montane e collinari, dove proprio l’agricoltura e una corretta manutenzione dei boschi rappresentano un fondamentale presidio contro il dissesto idrogeologico. Questi problemi riguardano in particolare le aree interne e i piccoli comuni, dove molti terreni sono stati abbandonati a seguito di migrazioni avvenute tra l’ottocento e il novecento, e dove risulta in molti casi difficile individuare gli eredi. Inoltre in queste aree si possono aprire possibilità di lavoro sia nelle colture di qualità, tipiche e biologiche, legate ai territori, che nella gestione dei boschi e produzione di pellet dove, oltretutto, l’Italia importa oltre l’80% di quanto usa ogni anno per stufe e caldaie. Alla logica dell’abbandono va contrapposta una gestione attiva, sostenibile e responsabile del patrimonio forestale, strumento indispensabile per la tutela del territorio e la salvaguardia ambientale e paesaggistica, la conservazione delle componenti bio-culturali del territorio italiano, la protezione e prevenzione del dissesto idrogeologico e degli incendi, lo sviluppo delle filiere produttive legate ai prodotti legnosi e non legnosi. Tutto ciò nell’obiettivo di contribuire alla crescita economica e sociale delle aree interne, rurali e montane del nostro paese e altresì di mantenere e accrescere il valore questo patrimonio naturale.
La proposta:
Creare opportunità per la gestione del patrimonio boschivo e per il recupero di terreni agricoli abbandonati. Realizzare un censimento delle superfici boscate di cui non si conoscono più i legittimi proprietari e nell’ambito dei Piani Forestali di Indirizzo Territoriale, creare nuove opportunità di lavoro legate alla gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio forestale per il rilancio di filiere produttive legate alle risorse legnose e non legnose. Consentire ai Comuni l’affidamento in concessione a cooperative e imprese, dei terreni agricoli e boschi dove non sono individuabili i legittimi proprietari, attraverso l’Individuazione di una procedura trasparente, per avviare percorsi virtuosi di affidamento e di creazione di risorse da investire nella manutenzione dei territorixiii. Ad esempio vi potrebbero essere occasioni di sviluppo nell’industria di prima e seconda trasformazione del legno e nella produzione di pellet da materia prima locale, oltre alle opportunità legate alla crescita di interesse per il legno in edilizia. Un ulteriore impulso positivo potrebbe anche essere conseguito sottoponendo le superfici forestali valorizzate a certificazione per dare valore alla produzione nazionale.
Clima e energia
Chi inquina paga
10- Tassazione trasparente sull’energia
La situazione:
In campo energetico sono individuabili esenzioni alle accise sui consumi energetici, di cui beneficiano in particolare le fonti fossili, pari secondo il Ministero del Tesoro a circa 5mld di euro all’anno. Inoltre all’interno della componente A3 degli oneri generali di sistema, secondo i dati del GSE, i sussidi per centrali da fonti fossili attraverso il meccanismo delle “assimilate” (CIP6) sono stati pari a 548 milioni di Euro nel 2014 e la spesa complessiva dal 2001 è stata di 43,1 miliardi di Euro. Si tratta di un sistema fiscale complesso, incoerente e costoso che ha introdotto nel tempo sconti, esoneri da accise e altre imposte ambientali, senza una verifica dei risultati e dei costi.
La proposta:
Rimodulare le accise sui prodotti energetici sulla base di criteri ambientali. A parità di gettito complessivo, si dovrà ridefinire ciò attraverso un criterio proporzionale alle emissioni di gas serra medie relative al loro consumo. In questo modo si potrà così disincentivare l’uso delle più inquinanti centrali a carbone, spingendo le fonti rinnovabili e rendendo competitive anche le più moderne e meno inquinanti centrali a gas. Inoltre, nell’ambito della riforma si dovranno abolire tutte le esenzioni alle accise sui prodotti energetici e i sussidi alle fonti fossili presenti nelle bollette.
11- Autoproduzione da fonti rinnovabili
La situazione:
L’autoconsumo da fonti rinnovabili è oggi penalizzato dalla tassazione vigente ed è vietata la distribuzione locale di energia pulita anche all’interno di edifici e tra imprese limitrofe, come ad esempio nei distretti produttivi, sebbene oggi sia competitiva da un punto di vista economico. Inoltre, con la riforma delle bollette introdotta dall’Autorità dell’energia si è spostato il peso più rilevante della tassazione dalla componente variabile a quella fissa, penalizzando proprio l’autoproduzione da fonti rinnovabili e i comportamenti virtuosi.
La proposta:
Rivedere la fiscalità sull’autoconsumo da fonti rinnovabili in modo da spingere investimenti nelle energie pulite. La modulazione del pagamento degli oneri di sistema dovrà essere rivista sulla base del tipo di fonte utilizzata e delle emissioni di gas serra prodotte, nel rispetto dei principi stabiliti dall’Unione europea, e almeno il 75% del gettito degli oneri di sistema dovrà provenire dalla componente variabile, in modo da spingere la convenienza economica per investimenti in autoproduzione da fonti rinnovabili. Inoltre si dovrà consentire la distribuzione di energia da fonti rinnovabili all’interno degli edificixvi e nelle aree produttive.
12- Royalties sulle trivellazioni
La situazione:
Le estrazioni di gas e petrolio in Italia sono esenti in diversi casi dal pagamento di royalties, malgrado siano già estremamente basse, rispetto ad altri Paesi europeixviii. Ad esempio le prime 20mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50mila tonnellate prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard estratti in mare. Completamente gratis sono le produzioni in regime di permesso di ricerca, mentre sono molto bassi i canoni per la ricerca e estrazione se paragonati con altri Paesi europeixix. Inoltre le royalties che le imprese pagano alle Regioni le possono dedurre dalle tasse che pagano allo Stato.
La proposta:
Eliminare tutte le esenzioni dalle royalties, aggiornare i canoni per la concessione delle aree al livello dell’Olanda e abolire la deducibilità delle royalties, in modo da ristabilire subito una più equa fiscalità sulle estrazioni di petrolio e gas. Avviare una revisione complessiva della tassazione in materia di estrazioni, rendendola finalmente trasparente e adeguata a quella in vigore in Norvegia e Regno Unito.
Mobilità sostenibile
Spostare le risorse dalla strada al ferro e premiare gli investimenti in innovazione
13- Autoveicoli
La situazione:
L’Italia ha un tasso di motorizzazione tra i più alti al mondo e rilevantissimi problemi di inquinamento e traffico nelle aree urbane. La fiscalità sul trasporto su strada è rilevante nel nostro Paese (oltre 70 miliardi nel 2015) ma non è legata ai costi che genera diretti e indiretti, ma a una stratificazione di interventi sulle accise incomprensibile e slegato da qualsiasi obiettivo ambientale. Per uscire da questa realtà si dovrebbe puntare da un lato sul rafforzamento di un’alternativa incentrata sul trasporto pubblico e dall’altra spingere l’innovazione attraverso una fiscalità che sia legata alle emissioni di CO2 dei diversi carburanti, in modo da premiare interventi e comportamenti virtuosi. Intervenire in questa direzione consente non solo di contribuire a mitigare i cambiamenti climatici globali e migliorare la qualità dell’aria urbana, ma anche a valorizzare e innovare la filiera italiana dell’automotive.
La proposta:
Rivedere la fiscalità sui carburanti sulla base di obiettivi ambientali per spingere innovazione e mobilità sostenibile. Le accise sui carburanti andrà rimodulata, a parità di gettito, sulla base delle emissioni di gas serra secondo parametri trasparenti e progressivi, come già avviene in 20 Paesi dell’Unione Europea. Occorre inoltre intervenire per fare pulizia delle tante voci di prelievo dall’accisa oramai senza più senso e destinare una quota di quanto recuperato per innovazione (incentivi per la mobilità elettrica) e trasporto pubblico (ad esempio, rifinanziare la detrazione fiscale degli abbonamenti del trasporto pubblico locale). Rivedere la tassa di possesso degli autoveicoli sulla base di obiettivi ambientali (il gettito nel 2015 è stato di 6 miliardi di Euro). La rimodulazione, a parità di gettito, dovrà avere come riferimento l’inquinamento generato e non la potenza.
14- Autotrasporto
La situazione:
Secondo i dati della Ragioneria dello Stato, nel 2016 l’autotrasporto merci ha beneficiato di esenzioni dall’accisa per un valore di quasi 3 miliardi di Euro nel 2016 (1.455 come riduzione di accisa sul gasolio e 1.455 come restituzione dell’accisa relativa ad aumenti dell’aliquota). Inoltre nelle Leggi di bilancio sono ogni anno previsti sussidi nella forma di fondi diretti al sostentamento del settore, sconti sui pedaggi autostradali, riduzioni sui premi INAIL e RCA oltre a deduzioni forfettarie non documentate. Nel 2016 gli sconti per queste voci sono state pari a 250 milioni di euro e dal 2000 al 2015 sono stati pari a oltre 5,85 miliardi di euro. In Italia il trasporto merci è dominato dalla gomma (oltre il 90%), eppure per distanze superiori ai 200 chilometri le alternative possono risultare competitive ma rimangono svantaggiate proprio per il peso dei sussidi all’autotrasporto.
La proposta:
Ridefinire le politiche per il settore dell’autotrasporto cancellando i sussidi in vigore e introducendo premialità (comunque in quota molto minore rispetto ad oggi) legate a innovazioni e interventi di miglioramento delle prestazioni dei veicoli e per la creazione di una logistica integrata gomma-ferro-cabotaggio (come si fa in tutta Europa).
15- Autostrade
La situazione:
Gli introiti delle tariffe autostradali in Italia sono gestiti dai concessionari attraverso convenzioni che vengono continuamente prorogate (in violazione delle Direttive europee), sulla base di progetti di nuove opere e di adeguamenti al di fuori di qualsiasi obiettivo di mobilità o trasparenza delle decisioni, come evidenziato anche dalla Banca D’Italia. Secondo i dati dell’Autorità dei Trasporti i ricavi dei concessionari superano i 6 miliardi di Euro (con un aumento del 270% dal 1993), di cui solo il 25 è girato allo Stato attraverso Iva e canone Anas. Eppure si tratta di beni dello Stato le cui spese di costruzione sono state da tempo ammortizzate. Inoltre in questo modo si aggirano le gare, previste dalle Direttive europee, per l’assegnazione delle concessioni che potrebbero determinare vantaggi ulteriori per le casse dello Stato.
La proposta:
Abolire le proroghe delle concessioni autostradali legate a progetti di nuove tratte autostradali. Attraverso queste proroghe si distorce la concorrenza e si utilizzano risorse generate attraverso i pedaggi da beni di proprietà dello Stato non per interventi di interesse generale ma per opere proposte dagli stessi concessionari autostradali. Prevedere che le convenzioni di gestione delle autostrade siano sempre affidate tramite gara, con contratti di durata breve e legati alla gestione e manutenzione dell’infrastruttura, stabilendo inoltre che le risorse provenienti dai pedaggi autostradali siano trasferite per il 50% a un fondo per l’acquisto di treni per il trasporto ferroviario regionale dei pendolari.
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