Quand’ero bambino, negli anni Sessanta del secolo scorso, il futuro (il Duemila!) era fonte di grande meraviglia e attesa. Era il periodo della “conquista della spazio”, ero già nella pancia di mia mamma quando il primo Sputnik venne messo in orbita intorno alla terra, quando avevo tre anni fu la volta di Gagarin, il primo uomo nello spazio, e, dopo soli otto anni, la Luna!
L’idea diffusa era che un simile progresso tecnico fosse inarrestabile. Ci attendevamo una vita sana e lunga, un benessere diffuso, una strordinaria capacità e velocità di spostamento e fonti di energia illimitata.
Forse è bene ricordare, o raccontare, che allora i viaggi in aereo erano appannaggio di una minoranza, tanto che venne coniata l’espressione “jet set” a indicare i pochi fortunati che usavano spesso l’aereo, in prevalenza attori, capitani di industria e qualche uomo politico. Anche l’automobile negli anni Sessanta era disponibile a una minoranza, circolavano soprattutto delle scatolette di latta Fiat e si vedevano famigliole intere aggrappate a una Lambretta, ma la massa si muoveva con i mezzi pubblici, in bicicletta nelle città e paesi di pianura, o non si muoveva affatto. L’autostrada del sole, più o meno l’unica che c’era, consisteva di uno stretto budello a due corsie e per andare a Roma in treno da Milano col rapido ci volevano otto ore, una giornata.
La televisione si andava a vedere nei luoghi pubblici (anche se molte famiglie di un certo livello economico cominciavano ad acquistarla, insieme ai nuovissimi “elettrodomestici”) ed era molto in voga il cinema (c’erano sale ovunque, in ogni paesino ce n’era almeno una). Erano arrivate però le radioline giapponesi a transistor, miniature perfettamente funzionanti e portatili, al posto di quei grossi oggetti in legno a valvole che giocoforza dovevano stare in casa attaccati a una presa elettrica.
Cominciava a entrare in ogni abitazione la coloratissima plastica, che andava a sostituire i monotoni oggetti di uso comune, che prima erano escusivamente in legno metallo e ceramica. Nessuno si domandava quali fossero le conseguenze sulla natura e la salute delle nuove cattedrali industriali della chimica della siderurgia del cemento e dell’energia che venivano su come funghi: all’epoca la parola ambiente (per non parlare del ministero) non esisteva proprio.
Ora il futuro è arrivato: i treni viaggiano ad “alta velocità”, le autostrade coprono l’Italia e l’Europa come una ragnatela, l’aereo è diventato “low cost” e lo prendono tutti, moltissime persone campano oltre ottanta, novanta e persino cent’anni. In ogni casa l’elettricità, l’acqua corrente, decine di “elettrodomestici”, computer personali, e ora persino gli apparati minuscoli e allora inimmaginabili che chiamiamo “smartphone”, che ci connettono globalmente in un baleno. Persino i cinesi, che all’epoca della mia infanzia morivano di fame come mosche, ora si sono industrializzati ed arricchiti, fino al punto di aver spedito anche loro un veicolo sulla Luna, e di venire in vacanza in Italia.
Eppure… Eppure insieme a questi enormi progressi materiali non è arrivata quella felicità che ci aspettavamo negli anni Sessanta, anzi ora c’è una diffusa angoscia e il futuro appare minaccioso. Per esempio ieri si celebrava il “giorno della Terra”, una ricorrenza che serve a ricordarci che abbiamo messo il pianeta che ci ospita quasi in ginocchio, sfruttando ogni stilla delle sue risorse e sporcandolo fino all’inverosimile con i nostri scarti. Persino il clima sta cambiando a causa delle nostre frenetiche attività di consumo.
Che fare? Alcuni chiedono di tornare indietro, di recuperare uno stile di vita e un modo di consumare compatibile con le risorse disponibili, per garantire un futuro equo anche a chi viene dopo di noi. Altri chiedono di introdurre massicciamente nuove tecnologie che garantiscano lo stesso livello di benessere ma con impatti assai ridotti. Altri ancora, ho l’impressione che siano la stragrande maggioranza, non si rendono conto di nulla, vivono immersi nella stessa atmosfera consumista che prese avvio proprio negli anni Sessanta. Per loro il giorno della Terra non significa nulla, in tv non c’è.