Dubito che l’amministratore di Eni Claudio Descalzi leggerà mai queste righe. In ogni caso mi piacerebbe dirgli che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Laureato in fisica, per uno strano destino si è in effetti sempre e solo occupato di petrolio, con risultati tanto impressionanti da portarlo nel 2014 fino ai vertici del grande Ente Nazionale Idrocarburi fondato dal mitico Enrico Mattei.
Il problema di Descalzi sono per l’appunto gli idrocarburi. Sostanze che vengono continuamente bruciate in ogni sorta di apparati fissi e mobili per procurare energia elettrica calore e movimento. Un mercato apparentemente perfetto per fare molti soldi, chi non ha bisogno di energia elettrica calore e movimento?
E in effetti Eni di soldi ne muove e ne fa molti, così come lo stesso Descalzi, che quanto a soldi non se la passa certo male, con qualche milione l’anno di emolumenti. D’altronde secondo Adnkronos Eni quest’anno avrà messo insieme quasi 5 miliardi di utili (per capirci l’ente guadagna 13 milioni al giorno circa, ovvero circa sette euro ogni barile equivalente di petrolio che produce). Quindi Descalzi il suo stipendio da amministratore delegato se lo è guadagnato con onore.
Resta però il problema di cui sopra, gli idrocarburi appunto. La fisica e la chimica che Descalzi senz’altro ricorda bene ci dicono infatti che bruciando idrocarburi si emette carbonio in atmosfera, e che la forma che il carbonio assume durante la combustione come gas biossido di carbonio o CO2 ha alcune sgradevoli proprietà. Si accumula in aria per moltissimo tempo, e soprattutto assorbe molta energia nell’infrarosso termico, contribuendo pesantemente a spostare l’equilibrio climatico del pianeta verso il rosso, ovvero verso il caldo.
Tutte le nazioni della Terra, Italia compresa, hanno firmato nel dicembre 2015 un accordo che Descalzi dovrebbe temere molto. L’Accordo di Parigi in poche parole dice infatti che l’Eni dovrebbe chiudere.
Infatti il mondo intero deve smetterla di bruciare idrocarburi se vuole evitare la catastrofe climatica. Deve smetterla di usare motori a combustione interna, di bruciare gas (e carbone) nelle caldaie delle centrali termoelettriche, e persino in quelle domestiche.
Oggi ogni abitante della terra (e dell’Italia) emette in media (le solite medie del pollo, beninteso) ben settemila chili di CO2 ogni anno. Questi valori dovrebbero dimezzare ogni dieci anni, fino ad arrivare virtualmente a zero entro il 2050. Questo dicono i calcoli più accreditati degli scienziati, impegnati a progettare la salvaguardia dell’umanità dalla catastrofe termica.
E allora torniamo a Descalzi e poniamogli il problema: come farà un uomo intelligente e anche scaltro come lui a evitare di farsi chiudere baracca? Io che non sono molto intelligente e pochissimo scaltro, penso a una sola soluzione possibile.
Riconvertire Eni. Organizzare un grosso piano di riconversione industriale e puntare con decisione all’energia pulita (sole e vento) invece che al petrolio e gas, alla generazione elettrica invece che alla combustione, all’efficienza nei motori e negli edifici invece che alle dispersioni spaventose cui assistiamo adesso (siamo sull’ordine dell’80% di puro spreco in entrambi i settori).
C’è molto da fare per Descalzi e collaboratori. Teniamoli d’occhio.